Akemichan's blog

Posts written by Akemichan

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    Genere: commedia, romantico
    Rating: giallo
    Avvisi: One-shot, AU, shonen-ai
    Coppia scelta: Ace/Rufy
    Prompt: sex on the beach
    Riassunto: Ace sta uscendo pazzo per colpa di suo fratello - si rivolgerà prima o poi ad uno strizzacervelli?

    Era una mattinata afosa del mese di Maggio, temperature insolitamente alte per quella stagione. Nell’aula 2b della facoltà di Ingegneria Navale, se possibile, il clima raggiungeva livelli tropicali. La voglia di fare un pisolino era incoraggiata anche dal buio che regnava all’interno, ad eccezione della tenue luce del videoproiettore, e dalla voce monotona del professore che spiegava. Nessuna sorpresa, quindi, sul fatto che Ace si fosse bellamente addormentato, con la fronte poggiata sulle braccia incrociate e la bava che bagnava il quaderno degli appunti sotto di lui.
    Nel pieno della fase REM venne risvegliato di colpo a causa di una forte botta esplosa a pochi centimetri da lui. Sbatté le palpebre per riprendersi e vide il professore in piedi davanti al suo banco, la mano che aveva sbattuto con forza sopra il ripiano per svegliarlo ancora fissa sul posto. Dannazione, pensò Ace. Come aveva fatto ad accorgersene con quel buio?
    “Mi fa piacere che abbia deciso di manifestare contro la mia lezione russando.”
    Ecco spiegato il come. E anche il perché l’intera classe si stesse soffocando nel tentativo di non ridere alle sue spalle, compreso Oars Junior, seduto accanto a lui. E pure Whitey Bay. Traditori.
    “Mi scusi, professor Sakazuki, non volevo,” rispose, trattenendosi dal voltarsi per picchiare il suo vicino di banco, che teoricamente avrebbe dovuto essere suo amico. “Sono stato al lavoro ieri, e il caldo, e il buio e lei è così noioso a spiegare che-” Forse l’ultima parte avrebbe potuto evitare di dirla. Forse avrebbe fatto meglio a stare zitto e basta. I mugugni soffocati di Oars aumentarono, confermandogli la cosa.
    Sakazuki fece un smorfia. “Molto bene, signor..?”
    “Portgas D. Ace.”
    “Molto bene, signor Portgas,” sorrise il professore. “La aspetto all’esame.”
    E con quell’ultima frase terrorizzante, prese la sua borsa, riaccese la luce e lasciò l’aula, permettendo al resto degli studenti di poter finalmente scoppiare a ridere di gusto, liberando tutto quello che avevano trattenuto fino a quel momento.
    “Oh, ma state zitti!” sbottò Ace, infilando disordinatamente tutta la sua roba nello zaino e mettendoselo a tracolla. “Lo sapete che ho ragione, ma nessuno di voi avrebbe le palle per dirglielo.” Quindi si affrettò a lasciare la stanza, sperando di trovare un po’ di sollievo a quella sensazione soffocante all’esterno. Oars Junior e Whitey Bay lo seguirono immediatamente.
    “Avresti almeno potuto evitare di dirgli che le sue lezioni fanno dormire!” gli disse quest’ultima, che però stava ancora trattenendo a stento le risate.
    “Non passerai mai l’esame,” aggiunse l’altro, scuotendo la testa.
    “Sai che mi frega, se non fosse per il vecchio avrei già mollato l’università da un pezzo.”
    Studiare non era mai stato il suo forte: era riuscito sempre ad evitare la bocciatura per un soffio, solo grazie a certi aiuti e alle ripetizioni che suo nonno lo obbligava a seguire. Nonostante sapesse ciò, Garp, l’uomo che si era preso cura di lui dopo la morte dei suoi genitori, era fondamentalmente convinto che sia lui sia il suo vero nipote Rufy dovessero lavorare in arsenale, che fosse come marinai, come impiegati o come ingegneri navali. Dato che il lavoro di Ace come barista, con i tempi che correvano, al momento non gli consentiva per niente di rendersi indipendente, era costretto a sottostare alle sue regole. La speranza di Ace era che prima o poi capisse che tanto non era portato per l’ingegneria e che lo lasciasse fare quello che preferiva. Oppure vincere alla lotteria e andarsene finalmente di casa.
    Prese il cellulare dalla tasca per controllare se qualcuno l’aveva chiamato durante la sua pennichella. Il professor Sakazuki poteva dire quello che voleva, ma alle sue lezioni si dormiva davvero bene. C’era un messaggio di Rufy, che gli chiedeva se poteva passarlo a prendere a scuola dato che il nonno si era tirato indietro per chissà quale problema all’arsenale. Sbuffò sonoramente.
    “Devo andare.”
    “Non ti piace molto tuo fratello, vero?” domandò Whitey Bay.
    “No, no, non è così.” In realtà era l’esatto contrario, gli piaceva troppo. Anche in una maniera che trovava malata e illegale. Per questo motivo avrebbe preferito evitare, per quanto possibile, contatti fisici troppo ravvicinati. “Dai, ci vediamo, e poi stasera devo lavorare.”
    “Ok,” rispose la ragazza. “Ma vieni sabato sera alla festa?”
    “Che festa?” domandò Ace, il quale adorava i party ma non sapeva mai niente. Fortuna che l’amica era una fonte di informazioni da questo punto di vista.
    “Quella sulla spiaggia alla Venere Azzurra, per l’inaugurazione del nuovo bar,” gli spiegò. “Dato il caldo di queste settimane, hanno deciso di anticipare l’apertura. Inizia alle otto, ci sarà da mangiare, da bere e musica fino a tarda notte, tanto non ci sono case nei dintorni.”
    Ace ci pensò su. “Effettivamente, non credo di essere di turno al bar…” commentò quasi a se stesso. Rimasero d’accordo che le avrebbe dato la conferma definitiva quando ne avrebbe avuto la certezza e si salutarono, anche perché aveva solo un quarto d’ora per raggiungere la scuola di Rufy prima dell’orario d’uscita ed era sicuro che ci fosse traffico, oltre al fatto che ci mise una vita a far uscire il suo motorino dal parcheggio visti i soliti deficienti ci avevano parcheggiato davanti.
    Arrivò all’istituto nautico proprio sentendo suonare la campanella che indicava la fine delle lezioni. Si destreggiò fra le varie auto dei genitori e riuscì a posizionarsi dentro il cancello del cortile, sedendosi poi a ciondoloni in attesa del fratello. Tanto sarebbe uscito per ultimo, ne era sicuro, ed individuarlo sarebbe stato facile, bastava vedere la presenza di una specie di corte di persone attorno. Nonostante la propensione a ficcarsi nei guai e un’intelligenza non troppo brillante, Rufy aveva la straordinaria capacità di farsi benvolere da tutti, perciò vantava una nutrita schiera di amici e a scuola lo conoscevano tutti, dai primini a quelli dell’ultimo anno; non solo, l’avevano pure eletto sia rappresentante di classe sia d’istituto, anche se Ace si chiedeva sempre che cosa avrebbe potuto combinare a parte addormentarsi alle riunioni.
    Quel giorno non fece eccezioni, perché dopo una mezz’oretta d’attesa vide finalmente il fratello arrivare con una schiera di gente al seguito, chiacchierando allegramente con tutti. Ace riconobbe sicuramente Coby, un ragazzo dai capelli rosa che era stato parecchie volte a casa loro per aiutare Rufy con lo studio, gli altri invece non gli sembrava di averli mai conosciuti. Oppure sì, chissà: aveva decisamente perso il conto della gente che si portava sempre appresso. Poi il fratello lo vide e finalmente si staccò dal gruppo salutandoli con la mano per andare nella sua direzione. Ace scese dal motorino e appena fu a portata di mano gli porse il casco di riserva.
    Rufy lo salutò sorridendo, quindi si infilò il casco e salì a bordo, aggrappandosi alla sua schiena. Ace deglutì appena sentendo le braccia dell’altro su di sé e decise di concentrarsi più attentamente sulla guida e sullo zigzagare tra le auto che ostruivano la via.
    “Com’è andata all’uni?” gli domandò il fratello, quasi urlandogli nelle orecchie per farsi sentire oltre il frastuono del vento.
    “Mi sono fatto una bella dormita,” fu la risposta, anche questa urlata. “A te?”
    “La supplente, la professoressa Hancock, mi ha dato un otto!” Un otto? Non si vedeva un voto simile dalle elementari, quando gli veniva assegnato anche quando disegnava una banana triangolare.
    “Davvero?” replicò Ace. “Ma non avevi detto che era una tipa che urlava contro chiunque e che i tuoi compagni sostengono che sia una zitella inacidita?”
    Sentì Rufy annuire dietro di lui. “Usop dice che ha un debole per me.”
    E ti pareva! Pure gli insegnanti riusciva a conquistarsi! Non sapeva se essere contento per lui oppure geloso di tutta quella gente che aveva intorno.
    “Invece il professor Smoker continua ad avercela con me,” proseguì il fratello. “Oggi non ha voluto mandarmi in bagno, dice che ci devo andare durante la ricreazione. Ma quella serve per magiare e per beccare quelli delle altre classi, mica per chiudersi in bagno a pisciare!”
    Ace ridacchiò fra sé. Smoker era stata anche la sua bestia nera, quando frequentava il nautico. Durante gli anni in cui sia lui che Rufy erano a scuola, c’era la leggenda che fossero stati loro due, con le loro scorribande, a far riprendere il vizio al professore di fumare i sigari, ben due alla volta. Be’, non si poteva dire che fossero due studenti modello, ma anche Smoker era decisamente troppo severo per i loro gusti. Ora che era rimasto solo Rufy a scuola, non c’erano dubbi che cercasse sempre di prendersela con lui.
    Accelerò leggermente per riuscire a prendere il giallo prima che virasse sul rosso e proseguì sulla strada del porto. Stava superando leggermente i limiti di velocità, ma tanto era una zona poco frequentata e comunque non c’erano autovelox, quindi era abbastanza sicuro della situazione.
    “Passiamo dal Mc?” domandò Rufy, che era geneticamente predisposto per non riuscire a stare zitto per più di cinque minuti. Pure nel sonno parlava.
    “Avresti dovuto dirmelo prima,” replicò Ace. “Ormai sono sulla strada del ritorno.”
    “Possiamo sempre passare da quello sulla variante, basta che allunghi un po’,” propose l’altro. “Ho proprio voglia di un BigMc.”
    “Uno solo?” scherzò Ace.
    Il fratello ci penso un po’, poi disse dopo una risata: “Ho proprio voglia di tre BigMc!” In effetti, passare dal McDonald’s gli avrebbe evitato di dover cucinare e poi, soprattutto, lavare i piatti, già ne aveva abbastanza al lavoro. Inoltre, il vecchio non era in casa, quindi non avrebbe nemmeno avuto la ramanzina sul fatto che mangiavano sempre schifezze. “Per favooreee..?” mormorò Rufy con tono infantile. Era chiaro che gli avrebbe risposto di sì.
    Un’ora e tre menù grandi con BigMc a testa dopo, Ace poteva dirsi soddisfatto e con lo stomaco pieno. Terminò di bere la sua coca-cola facendo un gran rumore con la cannuccia, quindi ruttò sonoramente. Serviva solo un’altra pennichella per rendere memorabile quella mangiata. Scoccò un’occhiata all’orologio: le due e mezza. Il turno di lavoro cominciava alle cinque, volendo aveva tutto il tempo. Oppure avrebbe potuto fare qualche esercizio di matematica per il compitino della settimana prossima, giusto per evitare la pessima figura che aveva fatto l’ultima volta quando quello stronzo del professor Teach l’aveva sputtanato davanti a tutta la classe, dicendogli che avrebbe almeno potuto scrivere il nome. Maledetto bastardo! Avrebbe studiato solo per la soddisfazione di fare un compito perfetto e poterlo poi mandare al diavolo!
    Ma Rufy aveva altri programmi per il pomeriggio. “Ti fai una partita con me alla play? Usop mi ha finalmente prestato Kaizoku Musou.”
    “No, non posso, mi tocca studiare oggi,” rispose Ace, molto a malincuore. Quel gioco sembrava proprio una figata pazzesca dai trailer su youtube e in realtà non vedeva l’ora di provarlo; ma il suo risentimento verso il professore aveva fatto pendere stranamente l’ago della bilancia verso i libri.
    Il fratello continuò a guardarlo mordicchiando la cannuccia della coca-cola, senza perderlo di vista nemmeno quando iniziò a liberare il tavolo dai residui di carta del loro pranzo. “Eddai Ace! Vieni a giocare con me! E’ Kaizoku Musou!” cercò di sfinirlo. Ace lo guardò con l’intenzione di non accettare. Fallì miseramente.
    Il resto del pomeriggio lo passò sul divano, in salotto, premendo le dita sui tasti del joystick con forza, mentre Rufy, seduto accanto a lui, continuava a gridare per incitarlo, indicandogli dove colpire, quali tasti premere e avvertendolo quando la barra dei colpi speciali si ricaricava. In effetti il gioco era una figata e divertirsi assieme a Rufy non aveva prezzo, non ci avrebbe rinunciato per colpa di un professore stronzo. Al termine di un altro livello, che lo aveva stancato fisicamente, guardò l’ora accorgendosi che stava quasi per rischiare di arrivare in ritardo al lavoro.
    “Merda! Devo scappare,” commentò alzandosi di scatto dal divano, gettando il joystick verso il fratello. Afferrando di fretta tutte le cose che potevano essergli utili e che fortunatamente aveva lasciato sparse nei paraggi. “Ciao, ci vediamo stasera,” mormorò uscendo in tutta fretta.
    Inforcò il motorino, ma aveva fatto sì e no due chilometri quando sentì il cellulare nella tasca vibrare insistentemente. Probabilmente era Rufy che lo chiamava per avvertirlo che aveva scordato a casa qualcosa di fondamentale. La testa, almeno, ce l’aveva ancora attaccata al corpo. E a quanto pareva non si era dimenticato del telefonino. Accostò di lato alla strada e rispose in maniera piuttosto scorbutica.
    “Hello! How are you doing?”
    Sabo. “Guarda che se parli in inglese non ci capisco un accidenti, a parte che sei tu e che stai facendo il cretino,” rispose Ace, benché non riuscisse a trattenere un sorriso.
    Lui e Sabo erano migliori amici fin dai tempi delle elementari e anche se successivamente avevano frequentato scuole diverse ed abitavano piuttosto lontani, non si erano mai persi di vista. Era una delle poche persone con cui stesse davvero bene e a cui potesse davvero confidare tutto. Purtroppo in quel periodo Sabo viveva in Inghilterra, ad Oxford, perché i suoi genitori ritenevano che le università italiane non fossero all’altezza di istruirlo come si doveva e quindi l’avevano spedito all’estero. Essendo il padre un chirurgo plastico che inoltre gestiva un centro estetico assieme alla moglie, non c’erano stati problemi economici, dato che i soldi gli uscivano praticamente da ogni orifizio del corpo. Sì, anche dal culo. Sabo non avrebbe voluto andarsene, ma alla fine aveva accettato il compromesso che avrebbe fatto come volevano loro a patto di poter studiare quello che pareva a lui. Ace aveva molto sentito la sua mancanza, ma fortunatamente si chiamavano spesso per telefono anche perché, come diceva sempre Sabo, “tanto paga mio padre”.
    Sentì l’amico ridere dall’altro capo del telefono. “Scusa. Ti assicuro che non ti ho insultato in alcun modo.”
    “Sarà meglio per te. Io sto andando al lavoro, sono in ritardo come al solito.”
    “Ah, ti ho chiamato in un brutto momento allora.”
    “Ma figurati!” Ace non avrebbe rinunciato ad una sua telefonata nemmeno per andare a vedere Teach che veniva investito da un’automobile davanti all’università. Parlarono del più e del meno: Sabo si lamentò ancora della pessima cucina inglese e lui gli raccontò di quello che era successo la mattina col professor Sakazuki, facendolo quasi morire dal ridere. Almeno una cosa buona da quell’episodio era saltata fuori. Poi l’amico decise di passare ad argomenti più seri.
    “Come va con tu-sai-cosa?”
    Quando Ace si era reso conto dell’attrazione malsana che aveva iniziato a provare nei confronti del fratello, aveva deciso di tenere la cosa nascosta a chiunque tranne che a Sabo. Aveva avuto bisogno comunque di poterne parlare e sapeva che l’altro non l’avrebbe giudicato, nonostante tutto. Non l’aveva fatto. Però aveva la tendenza a voler a tutti i costi trovare una soluzione e cercare di dargli dei consigli, quindi finivano sempre per discuterne, più spesso di quanto Ace avrebbe voluto.
    “Mah, lo stesso…” commentò distrattamente. “Tra l’università, il lavoro, il basket, riesco sempre a tenermi abbastanza occupato ma, sai, siamo comunque spesso assieme. È mio fratello.” Per quanto si sentisse male al pensiero di provare dei desideri sessuali, c’era sempre una gran componente affettiva fra di loro, alla quale Ace non si sentiva di rinunciare, anche perché un allontanamento avrebbe fatto soffrire anche Rufy, non solo lui stesso. Se poteva trattenere i suoi desideri fisici, non voleva nascondere un amore più spirituale.
    “E da parte sua?” Sabo si era fatto convinto che il giorno in cui Rufy avrebbe trovato una ragazza le cose sarebbero andate migliorando, per cause di forza maggiore. Al momento, però, non era ancora successo.
    “Macché, calma piatta!” replicò Ace. “Eppure è sempre circondato da ragazze, pure delle belle fighe se vuoi la mia impressione. È che non mi sembra proprio interessato,” spiegò con un sospiro. “Figurati che l’altro giorno pensavo avesse finalmente messo qualcosa di porno sul computer, visto che per la prima volta aveva usato la password…”
    “E invece?”
    “Invece aveva semplicemente scaricato il quarto film di Pirati dei Caraibi e non voleva che il vecchio lo beccasse,” finì Ace tristemente. “Sai che è fissato con le regole riguardo alla pirateria.”
    Sabo non poté trattenersi dallo scoppiare a ridere: conosceva Rufy da una vita, ma riusciva sempre a sorprenderlo. “Come hai fatto a scoprirlo se c’era la protezione?” domandò, cercando di riprendere fiato.
    “La password era carne.”
    Non proprio il massimo dell’originalità, in effetti. Ciò provocò un’altra scarica di risate, molto più difficili da controllare. “Senti, Ace, lo so che te l’ho già detto, ma…” iniziò, una volta che fu riuscito a calmarsi. Il cambiò di tono non gli piacque: sapeva che stava arrivando la predica, sempre la stessa, a cui ogni volta rispondeva nella stessa esatta maniera. “Credo davvero che dovresti consultare uno psicologo.”
    “Non andrò mai da uno strizzacervelli!”

    *-*-*

    Sabato pomeriggio Ace stava aspettando la fine del turno sciacquando sotto l’acqua calda gli ultimi bicchieri che i clienti avevano restituito. Non era stata una giornata troppo stancante, perciò aveva deciso di accettare l’invito di Whitey Bay e andare a quella festa: aveva giusto il tempo di tornare a casa, farsi una bella doccia e anche riposarsi un attimo prima di ripartire. Evidentemente, però, il destino, sotto forma del suo collega di turno, aveva altri piani per lui.
    “Ehilà, come butta?”
    Satch si era seduto al bancone come un cliente normale, con quella faccia da schiaffi che si ritrovava e quel sorriso da finto latin lover. Dato che si era presentato nel bar dalla porta principale invece che da quella dei dipendenti, Ace sospettò che ci fosse qualcosa sotto. Ormai lo conosceva troppo bene da capire quando cercava di giocargli qualche brutto tiro.
    “Che cosa vuoi?” domandò, senza tanti giri di parole.
    “Ma come siamo scontrosi…” Altra occhiataccia gelida. “Ok, ok, vedi… La tipa che sto puntando da settimane ha finalmente acconsentito di uscire con me, stasera. Capisci bene che non potevo rifiutare anche se sono di turno qui, lo capisci, vero..? Ti prego sostituiscimi tu!” terminò la sua arringa con tono supplichevole e congiungendo le mani in preghiera.
    “Scordatelo.”
    “Ti prego, potrei perdere la donna della mia vita!” La conversazione proseguì sullo stesso tono melodrammatico. “Io ti ho sempre fatto i favori che mi avevi chiesto…”
    “…Combinando più danni che altro.” Ci era già cascato troppe volte a quel riguardo.
    “Ti prego! Ti scongiuro! Faccio tutto quello che vuoi!”
    Satch era arrivato quasi ad urlare, rischiando anche di disturbare tutti i clienti. Ace non aveva la minima voglia di fare altre sei ore e passa di lavoro, ma la realtà era che credeva ancora nell’amicizia e gli dispiaceva lasciarlo nei guai, soprattutto visto che sembrava una questione di vita o di morte. Inoltre, perdere l’inaugurazione di un locale non era la fine del mondo, l’estate non era ancora nemmeno cominciata e ci sarebbero state di sicuro altre occasioni.
    “Va bene, va bene, d’accordo, basta che la smetti,” rispose. “E questa te la farò pagare cara, sappilo.” Infilò la mano in tasca per prendere il cellulare e comunicare subito a Whitey Bay che non si sarebbero visti alla Venere come programmato. Satch scelse proprio quel momento per dargli un’amichevole pacca sulla spalla come ringraziamento e, sia per questo motivo sia per le sue mani ancora umide, il telefonino scivolò e si schiantò a terra, rotolando per alcuni metri. Ace sbuffò, sperando che non si fosse rotto nemmeno quella volta. Di colpi ne prendeva già abbastanza.
    Crack.
    Shirahoshi, un'altra delle cameriere del locale, era appena arrivata dietro il bancone con un vassoio di bicchieri sporchi e, distrattamente, aveva appena premuto il tacco delle sue decolté sullo schermo del suo cellulare. “Oddio!” fece la ragazza, accorgendosi del danno che aveva combinato. Appoggiò il vassoio e si chinò a raccogliere l’oggetto. “Mi dispiace tanto, non l’ho fatto apposta!”
    Ace controllò i danni: ora al posto dello schermo c’era un bel buchetto circolare con tante venature attorno. In realtà sembrava funzionare ancora, perché i tasti si illuminavano e suonavano, ma il video era andato e ciò lo rendeva a conti fatti inutilizzabile.
    “Scusami, scusami, scusami!” Shirahoshi era sull’orlo delle lacrime. “Te lo ripago, giuro!”
    “Poco male, tanto aveva già fatto la guerra del quindici-diciotto, quel cellulare,” commentò Satch distrattamente, già totalmente dimentico di essere stata una delle cause di quel danno. E comunque non era una buona ragione per buttare al macero un telefonino semi-nuovo solo perché aveva preso qualche botta di tanto in tanto. Non fu quindi molto amichevole quando praticamente cacciò l’amico fuori del locale minacciandolo di rifiutarsi di sostituirlo se non si fosse sbrigato ad andare a questo appuntamento super-importante.
    Fortunatamente per Ace, la serata proseguì in maniera migliore rispetto a com’era iniziata. A parte la quantità spropositata di clienti che si presentarono al locale e a parte Shirahoshi che ogni volta che lo incontrava continuava a chiedergli scusa con gli occhi pieni di lacrime, facendolo sentire in colpa, era stato un turno di lavoro come tanti altri. Nessun ubriaco da cacciare fuori, qualche bella ragazza al bancone, il solito. Proprio quando si era accorto che tutto sommato gli era anche andata abbastanza bene con le mance, si vide di nuovo ricomparire Satch al bancone. Dato il vistoso segno rosso che ancora portava sulla guancia, Ace non ebbe alcuna difficoltà a capire com’erano andate le cose. E non fece nessuno sforzo per resistere al ridergli in faccia.
    “Bravo, bravo, me lo merito,” commentò Satch depresso.
    Per consolarlo, Ace decise di offrirgli una birra alla spina, che l’amico si scolò tutto d’un fiato. “Non era la donna della tua vita, dai,” gli disse non appena fu di nuovo in grado di parlare, anche se la voglia di ridere ancora affiorava di tanto in tanto.
    Satch annuì tristemente, poi diede un’occhiata all’ora. “Se vuoi andare, è ancora presto. Posso lavorare, tanto non ho altro da fare.”
    Ace si era rassegnato a rimanere fino alla chiusura, ma pensò tutto sommato che stare al bancone avrebbe giovato all’umore del collega; era certo che sarebbe bastata una bella cliente per fargli dimenticare quella brutta avventura. Quindi accettò di buon grado, avvertì chi di dovere che se ne stava andando e, con un ultimo grido riguardante il cellulare da parte di Shirahoshi, lasciò il bar. Effettivamente, era ancora in tempo ad andare alla Venere Azzurra, ma la musica a palla nel suo locale gli aveva già dato abbastanza fastidio da fargli passare la voglia. Sarebbe tornato a casa e avrebbe passato la notte a spararsi tutta l’ultima serie di Lost. In streaming, in barba alle regole del vecchio.
    “ ‘Sera,” commentò, entrando e poggiando le chiavi sul tavolino della cucina. Garp era in salotto, a leggere il giornale alla luce della lampada mentre guardava Master&Commander sulla televisione. “Rufy è uscito?” domandò.
    “Credevo fosse con te,” rispose suo nonno. “Ha accennato al fatto che Usop non poteva più andare con lui al cinema e che quindi ti avrebbe raggiunto a quella festa di cui parlavi. Ha detto che ti avrebbe mandato un messaggio per mettervi d’accordo.” Peccato che il cellulare di Ace fosse fuori uso al momento, ecco spiegato perché non sapeva nulla riguardo a quella storia. “Ora che ci penso mi ha anche detto che non gli avevi risposto,” proseguì Garp, pensieroso. “Comunque è uscito lo stesso, penso sia andato là.”
    “E tu l’hai fatto uscire senza nemmeno chiedergli dove andava?!” esclamò Ace. A volte continuava a domandarsi come il tribunale avesse potuto affidarlo ancora bambino alle sue cure, dato che dimostrava spesso un disinteresse totale nei loro confronti. Diceva che dovevano imparare a cavarsela con le loro forze: gli poteva anche stare bene, ma certe volte esagerava nel suo non preoccuparsi di niente. “Come ci è arrivato là per prima cosa?”
    “Avrà preso l’autobus suppongo.” Bene, benissimo! L’ultima volta che Rufy aveva deciso di utilizzare i mezzi pubblici per andare da qualche parte aveva aspettato alla fermata per la direzione sbagliata ed era finito all’estremo opposto della sua reale destinazione. Sperò che questa volta avesse almeno fatto più attenzione.
    “E come pensa di tornare, di notte non ci sono più autobus!”
    “Chiederà un passaggio a qualcuno lì alla festa, avanti, ha diciassette anni,” commentò Garp tranquillo, ricordandosi per un attimo di quello che combinava lui alla loro età. “Mi stai facendo perdere il momento topico del film.”
    Ace fece il soggiorno a grandi passi, afferrò la spina della televisione e la staccò di netto. “Io vado a cercarlo,” annunciò, quindi corse in cucina, afferrò le chiavi ed uscì prima che il nonno decidesse di effettuare alcune ripercussioni corporali per lo scherzetto che gli aveva appena combinato.
    Alla Venere Azzurra, la festa era ancora in pieno svolgimento, tanto che le luci e la musica alta si sentivano ancora distintamente prima che girasse la curva sul promontorio che conduceva alla spiaggia. Parcheggiare si rivelò impossibile, quindi mollò tranquillamente il motorino dove gli capitò, contando sul fatto che anche i vigili avessero di meglio da fare il sabato sera. Scese le scalette che collegavano la strada al bar, continuando a guardarsi intorno. Non vide Rufy, in compenso individuò una capigliatura bionda che conosceva bene.
    “Marco!” chiamò. “Non sapevo ci fossi anche tu!”
    “Ciao, Ace! Credevo che Satch ti avesse bloccato al lavoro.”
    Marco era il migliore di Satch ed entrambi, assieme ad Ace, facevano parte di una squadra di basket non professionistica diretta dal coach Edward “Barbabianca” Newgate, un uomo che stimava moltissimo, quasi un padre per lui. Era così che si erano conosciuti. Nessuna sorpresa, dunque, che Marco fosse a conoscenza di tutto ciò che l’altro combinava. Per tutta riposta Ace ridacchiò di nuovo per la scena e fece un sorrisetto eloquente, a cui Marco rispose nella stessa maniera: entrambi conoscevano troppo bene Satch per non capire immediatamente come potevano essere andate le cose.
    “Sto cercando mio fratello, l’hai visto?”
    L’amico ridacchiò. “E come no?” Si voltò ed indicò in avanti, direttamente sulla spiaggia. La gente aveva unito i lettini usati solitamente dai bagnanti per creare una specie di enorme cubo da discoteca. Rufy era proprio lì sopra, e ballava e cantava usando a mo’ di microfono un bicchiere mezzo vuoto di birra. “È stato l’anima della festa fin dall’inizio.”
    Ace emise un lungo sospiro. Meno male. Avrebbe dovuto immaginare che sarebbe andato tutto bene: a parte il viaggio in autobus, Rufy era una persona che adorava le feste, adorava scatenarsi e non aveva il senso del pudore quando si trattava di far casino. Anche per quel motivo la gente finiva per adorarlo, quindi Garp aveva ragione, avrebbe sicuramente trovato qualcuno disposto a dargli un passaggio. Lo sapeva che non si doveva preoccupare, ma non poteva farne a meno, troppi erano i guai in cui Rufy si era cacciato nel corso degli anni e da cui Ace aveva dovuto tirarlo fuori. Essere in ansia per lui era una sua prerogativa. Ebbe per un attimo la tentazione di chiedere a Marco se avesse già fatto il suo famoso numero degli stuzzicadenti nel naso, ma lasciò perdere.
    Nel frattempo l’amico si era allontanato un attimo per andare al bar e gli aveva procurato un bicchiere di birra. “Dai, vai a scatenarti anche tu,” lo incoraggiò con una gomitata sul fianco. “Te lo meriti dopo aver sopportato Satch.”
    Ace lo ringraziò con un sorriso prendendo il bicchiere, quindi annuì. In effetti se lo meritava, che diamine! Aveva lavorato tutto il giorno. Si fece strada fra la folla fino a raggiungere i lettini e a salirci sopra. “Ace! Sei arrivato finalmente!” lo salutò allegramente Rufy, riuscendo ad illuminare la zona con uno dei suoi ampi sorrisi. Allungò il bicchiere mezzo vuoto verso di lui per fare un accenno di brindisi, quindi si rivolse alla folla presentando loro il fratello, anche se molti erano già suoi amici, prima di scatenarsi nuovamente nella danza, a cui Ace finì per accodarsi volentieri.
    Le gambe avevano appena iniziato a fargli leggermente male per il troppo ballo, quando sentì Rufy appoggiarsi contro la sua schiena. “Non mi sento tanto bene…” mormorò. Normalmente, il fratello reggeva bene l’alcol, ma a volte gli capitava, tra il troppo bere, il troppo mangiare, e il troppo movimento, di avere qualche leggero problema di stomaco. La soluzione però era semplice: due dita in gola, un po’ di vomito, e tornava in forma praticamente subito. Perciò, anche in quell’occasione, Ace lo accompagnò in bagno a rimettere. Quando uscirono, la musica era cessata e la maggior parte della gente si era seduta sulla spiaggia a chiacchierare. Marco lo stava aspettando fuori dalla porta con in mano un pacchetto. “Tieni, sono riuscito a salvare qualcosa da mangiare.”
    “Grazie,” gli disse Ace sorridendo. Marco era uno su cui si poteva sempre contare. Assieme al fratello, si allontanò per la spiaggia, in maniera da distanziare il resto del gruppo, fin quasi a raggiungere l’altra estremità della battigia, con il nuovo bar che si perdeva in lontananza. Si sedette vicino all’acqua, ammirando le onde scure che si alzavano ed abbassavano, mentre passava a Rufy l’incarto che conteneva una piccola focaccia, che il fratello mangiò in pochi morsi, ad ulteriore riprova che aveva uno stomaco di ferro. Quand’ebbe finito, si infilò la carta nella tasca per non buttarla a terra ed estrasse dall’altra una mentina, prima di appoggiarsi alla spalla del fratello e socchiudere gli occhi.
    Ace sentì una fitta, ma cercò di ignorarla. Per una volta si poteva anche fare. Passò un braccio sulla sua schiena, stringendogli poi il fianco con le mani, ma contemporaneamente cercando di concentrarsi su qualcos’altro che non fosse il fiato al sapore di menta di Rufy che sentiva scorrergli sulla pelle. Alla fine individuò sulla sabbia un piccolo quadratino che era caduto dalla tasca del fratello quando prima aveva preso la caramella. Si chinò leggermente per raccoglierlo e se lo rigirò fra le dita. “Rufy… Perché hai un preservativo in tasca?” domandò alla fine, un po’ titubante. Forse non era il caso di conoscere la risposta.
    Rufy socchiuse leggermente gli occhi. “Quello? Ce l’hanno dato a scuola,” disse infine. “Educazione sessuale. Di recente ben due ragazze sono rimaste incinte e così…”
    “Capisco.” Ace glielo passò e il fratello se lo rimise in tasca. Ammise a se stesso di essere un po’ sollevato dal sapere che non l’aveva comprato lui stesso con la probabile intenzione di utilizzarlo con qualcuna. Sabo avrebbe disapprovato questo suo sollievo, ma non poteva farci niente.
    “Va usato anche tra due uomini, vero?” domandò Rufy improvvisamente, facendolo sobbalzare per la sorpresa.
    “Be’, sì, anzi, va usato assolutamente, ci sono più rischi di malattie e-” Si bloccò di scatto. “Perché mi chiedi una cosa simile?”
    Il fratello ci mise un pochino a rispondere. “Mi sa… Che mi piace un ragazzo,” ammise alla fine, quasi sussurrando. “Ma non dirlo al nonno, mi raccomando! Quello si immagina già il mio matrimonio in divisa!”
    Ace si trattenne dal ridacchiare: il vecchio poteva immaginare un po’ quello che voleva, quando il sogno di Rufy era quello di mollare tutto e girare il mondo con uno zaino in spalla e la macchina fotografica al collo per poi pubblicare resoconti di viaggi e vincere qualche premio di fotografia. Lo accarezzò leggermente sulla testa. “Non ti preoccupare, non lo dirò a nessuno. E non c’è niente di male in questo,” aggiunse, pensando che comunque non doveva essere stato facile venire a compromessi con un’ammissione del genere. Be’, rifletté Ace, quello spiegava la sua amicizia con tutte quelle ragazze. Chissà di chi si trattava. Forse di Coby, dato che quei due erano spesso assieme? Che sapesse, Usop era fidanzato da un bel po’ con una ragazza carina, quindi dubitava che si riferisse a lui. Ah, forse era Zoro! Rufy sembrava essere parecchio fissato con lui, anche se era più grande. Eppure, che ricordasse, l’aveva visto uscire con un’altra loro amica… Scosse la testa: era inutile. Il fratello aveva troppi amici, non ci sarebbe mai arrivato senza altri indizi da parte sua. Un angolo del suo cuore era geloso di quella persona, chiunque fosse; un altro, era speranzoso del fatto che a Rufy piacessero gli uomini, gli dava una possibilità in più; la parte razionale cercava di processare le informazioni e giungere alla conclusione che poteva essere positivo per liberarsi finalmente della sua ossessione, anche se sarebbe stato meglio se Rufy si fosse innamorato di una ragazza.
    “Dai, andiamo,” disse infine, notando che ormai il bar aveva chiuso e la maggior parte delle persone aveva già lasciato la spiaggia. Fece cenno di saluto a Marco, riconoscibile anche a quella distanza grazie alla pettinatura, e si alzò praticamente trascinando il fratello con sé per un braccio, quindi si mise a camminare verso la scala più vicina per ritornare sulla strada. A quanto pareva Rufy aveva poca voglia di camminare, perché gli si era aggrappato alla schiena, unendo le braccia sul collo quasi stesse cercando di soffocarlo. Ace decise di lasciar perdere: presto sarebbero stati a casa e avrebbe potuto gettarsi sotto una doccia fredda per cancellare qualsiasi desiderio quella situazione gli stesse facendo venire.
    Si bloccò solo quando avvertì che le labbra di Rufy gli stavano sfiorando il collo e si stavano muovendo in una maniera particolare che faceva presumere che stesse cercando di baciarlo volontariamente. Sentì un’altra fitta terribile all’inguine e, di scatto, si voltò e allontanò da sé il fratello, respirando pesantemente e guardandolo sconvolto.
    Rufy non aveva minimamente protestato, anzi, teneva lo sguardo basso sulle sue scarpe. Quando alla fine alzò la testa per fissarlo, Ace capì tutto, chiedendosi come poteva essere stato tanto stupido da non arrivarci subito. Ma d’altronde, come avrebbe potuto? Già pensava di essere un pervertito, non poteva immaginare che sarebbe stato tanto fortunato da essere corrisposto dal fratello. Aspetta, fortunato non era proprio la parola giusta, anche se era così che una parte di lui si sentiva. “Non possiamo,” mormorò infine. “E’ illegale. Siamo fratelli.”
    “Non di sangue!” replicò immediatamente Rufy, dando voce a certe cose che Ace stesso aveva pensato, ma che si teneva nascosto nel cuore per evitare di avere reazioni poco consone. Il fratello non brillava certo per intelligenza, ma era molto bravo a capire le persone, perciò era indubbio che, dalla sua risposta, avesse probabilmente già intuito di essere ricambiato.
    “Per la legge italiana è lo stesso,” aggiunse ancora Ace, cercando di trovare delle scuse più a se stesso che all’altro. “E poi non importa se non lo siamo di sangue, siamo cresciuti assieme, è come se lo fossimo…” La sua voce diventata sempre più fioca rispetto alla possibilità di realizzare quello che voleva da una vita.
    “Chi se ne importa della legge!” ribatté Rufy arrabbiato. “Io ti piaccio, tu mi piaci, e non facciamo del male a nessuno! Se il nonno non lo viene a scoprire, però…” aggiunse, mentre sul viso gli si formava un leggero sorriso furbo, segno che stava pensando ad una sua ipotetica reazione e la cosa, invece che intristirlo, lo divertiva.
    Ace scoccò un’occhiata attorno, ormai non c’era più nessuno. Allora si avvicinò al fratello e gli mise le mani sulle spalle. Se avesse ascoltato ancora per un po’ le sue rimostranze sapeva che avrebbe ceduto, perché erano le stesse cose che pensava anche lui. L’unica cosa che lo aveva frenato era stato il pensiero di non essere ricambiato, il pensiero che Rufy potesse allontanarlo da sé ritenendolo malato. Ma ora che aveva la certezza di essere ricambiato, era ben poca la parte del suo cervello ancora razionale. “Se non possiamo, non possiamo,” disse, cercando di sembrare convincente. “Troveremo qualcun altro.” Non volendo tuttavia deluderlo troppo – e non volendo lasciarsi scappare un’occasione del genere, soprattutto! – si chinò leggermente per posare le labbra sulle sue, pensando che sarebbe stata l’unica cosa che avrebbero fatto, una sorta di “contentino” prima di dover rinunciare entrambi a quello che volevano. Ma quando sentì Rufy cercare di approfondire quel bacio e si ritrovò a non riuscire a muoversi nonostante gli ordini che il suo cervello gli impartiva, capì di avere sbagliato. Con quel gesto, non aveva chiuso la porta come pensava, al contrario. L’aveva aperta, perché adesso entrambi desideravano molto di più di quello.
    Quando si staccò, fissò Rufy negli occhi. Aveva un sorrisetto furbo in viso. Quindi lo vide alzare le spalle e dire: “Io ho un preservativo.” Ed Ace seppe di essere davvero fregato.
    E lo credeva ancora la mattina successiva. Ripensava a quello che era successo quella notte, sbattendo la testa contro il tavolo della cucina, cercando di distrarsi da quei pensieri concentrandosi su cose di poco conto, come della fatica che aveva fatto per liberarsi di tutta quella sabbia, ad esempio. Non era un pensiero granché utile a distrarlo, in realtà.
    Era felice. Molto, molto felice. Prima cosa, aveva scoperto di essere ricambiato, il che era già in sé una cosa positiva. Seconda cosa, aveva scoperto che era suo fratello quello che ricambiava i suoi sentimenti, cosa che non avrebbe creduto nemmeno nelle sue più rosee fantasie. Terza cosa, aveva scoperto che suo fratello a letto era qualcosa di inimmaginabile, altro che il povero verginello che credeva lui senza nessuna esperienza con le amiche gnocche! No, no, no, male, molto male! Ace sbatté ancora la testa sul tavolo.
    Doveva uscire da quella storia e doveva farlo prima che la situazione divenisse insostenibile, soprattutto per non mettere nei guai il fratello. Se il avessero scoperti sarebbero potuti finire il prigione e questa cosa lo spaventava a morte, non tanto per sé quando per Rufy. Non avrebbe mai voluto essere causa delle sue sofferenze, cosa che sarebbe sicuramente successa se li avessero arrestati o se, soprattutto, li avesse beccati il nonno – fortuna che era già a letto quando erano tornati la sera precedente! A costo di soffrirci per non poter essere di nuovo ricambiato, Ace doveva prendere le cose in mano come un fratello maggiore esemplare e chiudere la storia prima che qualcuno li scoprisse.
    Mentre rimuginava su questa storia, Rufy entrò in cucina fischiettando (o almeno provando a farlo), quindi lo baciò sulla testa prima di sedersi al tavolino di fronte a lui. Ace fu scosso da un brivido sia di piacere sia di ansia, visto che il fratello sembrava voler gettare alle ortiche tutti i suoi buoni propositi. Allora si sistemò meglio sulla sedia, prese un sospiro profondo e decise finalmente di fare a Rufy un discorso serio. Cosa ardua con il fratello davanti a lui che si ingozzava di pane e nutella sporcando ovunque in giro e che sembrava noncurante dell’intera faccenda, come se non avesse un solo problema al mondo.
    “Ascoltami,” gli disse, cercando di attirare la sua attenzione tutta concentrata dal succhiarsi le dita completamente spalmate di cioccolato. “Quello che è successo stanotte è stato bellissimo. Tuttavia, come ti ho già detto noi due siamo fratelli e questa cosa è illegale, soprattutto nel mio caso dato che sono maggiorenne.” Sapeva che Rufy era decisamente incosciente quando si trattava di se stesso, ma molto difficilmente accettava che qualcuno potesse finire nei guai a causa sua.
    Il fratello inghiottì in un sol boccone tutto quello che aveva in bocca. “Ace, sei noioooooso,” ribatté con un grosso broncio sulla faccia. “E poi tu infrangi la legge un sacco di volte!” lo accusò. “Passi col rosso, a scuola copiavi dagli altri e l’anno scorso hai pure rivenduto il tuo biglietto per il Lucca Comics ad un altro!”
    Ace rimase a fissarlo mentre si puliva la bocca con il dorso della mano, aprendo la bocca ma incapace di articolare qualsiasi pensiero coerente. Passava col rosso solo di notte quando in giro non c’era un’anima, copiava perché della scuola non gliene importava una mazza e aveva venduto il biglietto perché quel poveraccio era arrivato alle sei e gli dispiaceva fargli pagare il prezzo pieno per solo un’ora di visita. Quando infrangeva la legge non faceva del male a nessuno. Esattamente quando amava il fratello ed era ricambiato.
    “Devo andare, ho appuntamento con Usop, andiamo in spiaggia a pescare,” commentò Rufy, come se per lui il discorso fosse completamente chiuso, mentre usava la tovaglia per togliere gli ultimi residui di nutella dalle mani. Si alzò ed afferrò lo zaino, mettendoselo in spalla. “Ci vediamo stasera.” Si chinò a baciarlo un attimo a tradimento sulle labbra, prima di avviarsi verso la porta.
    Ace rimase un attimo paralizzato dai brividi. Di piacere, soprattutto. “Rufy!” cercò di bloccarlo. “Non dire niente su di noi, per l’amor del cielo!” finì per chiedergli, evidentemente incapace di poter impedirgli di fare altro.
    “Tranquillo, non lo dirò a nessuno che sei il mio ragazzo!” replicò il fratello mentre usciva di corsa e si chiudeva il portone alle spalle.
    Ancora un po’ scombussolato per la conversazione, Ace restò fermo ad osservare il punto dove il fratello era sparito da casa, indeciso sul da farsi. Rufy riusciva sempre a fargli fare quello che voleva lui, con la sua irruenza e con la sua allegria perciò dubitava che il fatto che si trattasse in questo caso della loro relazione cambiasse qualcosa. Si mise le mani fra i capelli.
    Ora che si sentiva meglio, ora che non credeva più di essere un pervertito o un malato, ora che il fratello lo ricambiava e che stavano insieme… Be’, ora aveva decisamente bisogno di uno strizzacervelli!

    ***

    Akemichan parla senza coerenza[cit.]:
    Nonostante non abbia un debole per le AU moderne, il prompt per partecipare al concorso (di cui non ho più avuto notizie... -.-) era talmente scarno che se l'avessi ambientato in canon avrei scritto una PWP e basta, quindi ho cercato di dargli un tocco un po' diverso, un po' più realistico, anche se non sono del tutto sicura di esserci riuscita. La mia prima Ace/Rufy, che fatica!

    Giudizio del giudice sostitutivo:
    Tot: 35,5/50

    Correttezza grammaticale: 8/10
    Lessico e Stile: 7/10
    Caratterizzazione dei personaggi: 6,50/10
    Utilizzo del prompt: 7/10
    Gradimento personale: 6/10
    Giudizio scritto del Giudice: Ed finalmente arrivata a te! Che dire? Sono rimasta piacevolmente sorpresa, tranne qualche virgola o ripetizione sconnessa... bhe sei riuscita persino a farmi apprezzare una AU, anche se non completamente. Diciamo che l'IC mi h aiutato molto a ricordare chi fossero i pg in tutto e per tutto XD e devi ringraziare anche il buono scritto... è stato quindi gradevole riscoprirla così, forse insolitamente, dolce.
    Devo essere incera, sei partita penalizzata proprio perchè era appunto una AU, non smetterò di dirlo... e probabilmente c'entra anche che lo AceLu lo vedo solo come fratellanza; ma non essendo realmente fratelli posso accettare il paring. Anche perchè, tranne selfcest, sono completamente contraria.
    Non ho molto da dirti... tranne che quando farò un mio porossimo contest spero di vederti, see yaa

    Edited by Akemichan - 21/1/2013, 11:45
  2. .
    Dato che l'epopea della schizofrenia continua, direi che è venuto il momento di raccontare la cosa ancora più nel dettaglio, perché è troppo divertente e troppo disturbante alla stessa maniera.

    La tizia in questione, che definirò Miss X per tutelare la sua identità segreta, ha sviluppato questa insana passione per la coppia Tizio/Caio, che però si manifesta solo e semplicemente in odio profondo nei confronti della coppia Tizio/Sempronio. Dopo aver adottato tutti quei comportamenti schizofrenici che ho descritto nei precedenti capitoli, sembra aver finalmente messo la testa a posto.
    Ad esempio, ha cambiato il suo forum, che all'inizio aveva come regole quella di dover odiare la coppia Tizio/Sempronio e di avere delle sezioni apposta per insultare tale coppia, in uno normale, si è messa a commentare le gallery senza ulteriori frecciate, si è anche iscritta ad un forum Tizio/Sempronio senza esagerazioni. Qualche comportamento schizofrenico rimane, come contattare qualunque persona si dica fan della Tizio/Caio, anche perseguitandoli via MP, cambiare completamente decisione su altre coppie dall'oggi al domani, qualche discorso senza senso, ma, insomma, nulla di così particolarmente eclatante.
    Senonché continua ad avere questa insana passione-odio per la coppia Tizio/Sempronio. Io seriamente non riuscivo a capire che cosa avesse di strano Miss X per voler continuare a rompere nel topic dedicato. In pratica, dopo le prime due/tre dichiarazioni contro la coppia Tizio/Sempronio, ampiamente smentite dalle fan della suddetta coppia (per forza, erano stupidaggini) senza spargimenti di sangue, Miss X decide di cambiare tattica. Inizia a diventare patetica, a continuare a ripetere che lei ama troppo la Tizio/Caio per poter amare la Tizio/Sempronio, che capisce ma proprio la Tizio/Sempronio non le va giù, che gli dispiace ma la Tizio/Sempronio proprio no. A questo punto suppongo che tutte le fan della coppia si siano scartavetrate i coglioni ma, in un impeto di generosità, buon senso ed intelligenza, hanno deciso di non mandarla a quel paese ma, semplicemente, di dirle le cose come stavano. Se a lei la Tizio/Sempronio non piace, andava benissimo! Che andasse a fare i suoi discorsi nel topic della Tizio/Caio che le piace tanto. Non doveva per forza giustificare il fatto che la coppia non gli piaceva, andava benissimo così a tutti, felici e contenti. A me, detta così, sembra una cosa perfettamente sensata. Ma a Miss X ovviamente non va bene e si lamenta 'che è inutile discutere perché lei non diventerà mai Tizio/Sempronio', quando nessuno gliel'aveva mai chiesto. A questo punto, mi chiedo se scrivesse senza leggere o scrivesse con la consapevolezza di dire puttanate.
    Senza contare ovviamente una certa ipocrisia da parte di Miss X, che prima dichiara che non è così immatura/infantile da andare a cercare dei video anti Tizio/Sempronio (lei è quelal del primo post, eh!) e poi li posta, giusto perché non è andata a cercarli.
    Comunque, alla fine Miss X smette di scrivere, frequenta ancora un po' il forum ma poi la sua presenza si fa sempre più sporadica fino a sparire del tutto. Intanto la sua firma ha fatto una rapida quanto complessa evoluzione, passando da un'ode totale a quanto sia bella, splendida, meravigliosa, unica la coppia Tizio/Caio a roba che non c'entra nemmeno più con il fandom in questione, e cambia persino nick più volte. Avviene nello stesso momento un'altra cosa fondamentale: un'amica di Miss X, che condivideva i suoi stessi gusti in fatto di coppie odiate ed amate e con cui aveva messo su il forum, ha una conversione e decide di diventare fan della coppia Tizio/Sempronio. A questo punto, Miss X chiude il forum e ne apre un altro, dedicato a tutt'altro fandom, che chiameremo fandom 2. Successivamente, si cancella dal circuito.

    Ora, in base a tutto quello che è successo, io mi sono fatta un'idea precisa della cosa. Miss X non è schizofrenica, è semplicemente un troll che ama il flame. E' quel genere di persone che cerca volontariamente la rissa, che provoca per scatenare una reazione negli altri e poi ridersela quando succede. Ed è quel genere di persone che ha un comportamento che io definisco orribile, cioè che preferisce spargere veleno sugli altri piuttosto che amore sulle cose che le piacciono.
    Perché dico questo? Perché è chiaro che fin dal principio ha cercato due cose, che non avevano niente a che fare con il divertimento a stare nel fandom e a shippare la coppia che si ama. La prima, persone come lei che volessero spargere veleno sugli altri, da qui lo scopo dell'apertura del blog. La seconda, provocare i fan della coppia Tizio/Sempronio per farle reagire a comportarsi come si stava comportando lei. Però le è andata male. La realtà è che la coppia Tizio/Caio non è molto amata, e quelli che la amano la amano 'placidamente', non è la loro prima scelta e non lo sarà mai, è una sorta di 'massì, esiste'. Molti di quelli che la tifano, inoltre, semplicemente non sono degli attaccabrighe e non gliene importava nulla di sputare veleno. L'unica che aveva trovato l'ha poi abbandonata. Per quanto riguarda la seconda, le fan della coppia Tizio/Sempronio si sono comportate bene, si sono comportate come dovrebbe fare chiunque. Non si sono offese o sentite particolarmente piccate dal suo comportamento, nemmeno seccate probabilmente (forse perché non la capivano e i pazzi è sempre meglio assecondarli); hanno risposto pacatamente alle obiezioni della coppia, dimostrando semplicemente di tifarla senza dover dare contro ad altre coppie, e non se la sono prese se lei continuava ad insistere. In poche parole, non le hanno dato soddisfazione.
    Persi questi due appigli, rimanere nel fandom evidentemente non aveva più senso per lei, perché non c'era mai entrata per tifare la sua coppia. Ecco perché si è cancellata.

    Credete che la storia sia finita qui?Lo credevo anche io. Invece... Qualche giorno fa arriva un utente nuovo, il cui nick è stranamente coincidente con il fandom 2 di ciu parlavamo prima, che si mette a scrivere nella sezione Tizio/Caio dicendo che un tempo la coppia le piaceva, ma ora non più perché ha anche abbandonato il fandom.
    Penso che sia lei? Sì. Il comportamento schizofrenico è lo stesso.
    Mi spiegate, se avete abbandonato il fandom, lo scopo di venirlo a dire in un forum dedicato a quel fandom? Anche perché non gliene importava molto a nessuno, sostanzialmente. Non ti piace, non frequenti il forum, punto. Venire apposta per comunicarlo, col nick cambiato... Anche questo è un comportamento da troll.

    Continua? Speriamo di no, ma ormai penso che non mi stupirò più di nulla...
  3. .
    Fandom: One Piece
    Titolo: Devi dire la verità
    Personaggi/pairing: Marco/Ace
    Citazione scelta: What if you should decide that you don’t want me there in your life?
    Prompt: paura
    Genere: hurt/comfort
    Rating: giallo
    Avvertimenti: missing moment, shonen-ai
    Introduzione: Ace deve dire la verità a Marco su suo padre, ma ha una paura folle di farlo. Teme di perderlo e ha i suoi motivi.
    Note dell’autore: La frase di Ace contrassegnata da * deriva dalla doujinshi Gravity, che io amo troppo. Il resto è tutta farina del mio sacco. Ovviamente gli errori segnalati nel giudizio ora li ho corretti XD

    “Sei il figlio di Roger?” Ti guarda e per una volta riesci perfettamente a capire qual è l’emozione che sta provando, la vedi a chiare lettere sul suo viso. Avevi sempre desiderato poterlo fare, ma speravi che fosse diversa da quella che stai vedendo adesso.
    “Fuori di qui.” Tu non ti muovi, anche perché non sai che fare. Che cosa vuol dire? Fuori dalla stanza, dalla nave, dalla sua vita? Continui a guardarlo senza fare niente. Sai che è colpa tua, tutta colpa tua, ma una parte di te si ribella, non vuole. Marco si avvicina, sta per colpirti…
    E poi ti svegli. Hai il respiro affannoso, sei sudato, ma almeno è stato solo un incubo. Ti guardi attorno. Nella grande stanza che viene utilizzata come dormitorio comune dalla seconda flotta regna il silenzio. La maggior parte dei tuoi compagni sta dormendo nei letti accanto al tuo; solo in lontananza c’è ancora accesa una luce e un gruppetto di pirati gioca a carte probabilmente perché non riesce a dormire. Nessuno, comunque, si è accorto di quello che ti è successo. Internamente, tiri un sospiro di sollievo. Dovresti diventare il loro capo, la loro guida, non dovrebbero vederti terrorizzato da un sogno.
    Sono giorni che fai sempre lo stesso incubo, esattamente da quando ti è stata ventilata per la prima volta la possibilità di diventare il comandante della seconda flotta. Una carica importante, rimasta vacante a lungo, soprattutto per te che sei l’ultimo arrivato e un ragazzino inesperto se paragonato ai pirati veterani che fanno parte della ciurma. Sei orgoglioso che il Babbo riponga questa fiducia in te e sei orgoglioso di te stesso, perché la volevi, quella carica, non volevi rimanere uno qualunque in quella marmaglia. Eppure, inconsciamente, ti sei reso conto che non puoi più fare finta di niente riguardo al tuo vero padre, che non sarebbe giusto nei confronti dei tuoi compagni non sapere la verità. Ed ecco l’incubo della reazione di Marco quando gli dici tutto.
    La realtà, Portgas D. Ace, è che hai paura. Una paura folle di quello che potrebbe succedere. So che non ti piace pensarlo, sei un grande pirata con una taglia stratosferica, temuto da molti. Ma è così e prima ci convivrai meglio sarà. Hai paura perché Marco, non appena lo saprà, ti tratterà come te lo stai immaginando tutte le notti. E non sai cosa potrebbe succedere se lui non ti volesse più nella sua vita. Sei preoccupato anche per gli altri compagni, per il Babbo soprattutto, ma Marco è ovviamente speciale. Marco non è solo un compagno e un fratello, è una persona che ti ha dato tutto il suo corpo e che non ha avuto problemi a toccare il tuo con le sue mani e la sua bocca. Solo che non sapeva che cosa stava toccando davvero, da che razza di uomo discende quel corpo che gli piace tanto. Per questo motivo, dirlo a lui ti terrorizza più di qualsiasi altra cosa.
    Che cos’hai intenzione di fare, Ace? Rimanere a letto ancora a crogiolarti nella tua mediocrità, tremando di paura? Che bella cosa per il grande Pugno di Fuoco!
    Decidi di alzarti. Fare piano non è mai stata la tua specialità, ma non vuoi che gli altri ti facciano domande. Ti infili gli stivali ed esci furtivo dalla porta, avviandoti verso il ponte superiore, dove ci sono le stanze private destinate ai comandanti. Nel corridoio scuro si vede solo una piccola luce, è quella che penetra dalla fessura della porta di Marco. Tipico, dato che lui è il cuore pulsante ed il cervello di quella nave e che si occupa sempre di tutto. Ogni tanto ti chiedi se il potere del suo frutto del diavolo non gli consenta di stare sveglio praticamente sempre, altrimenti l’unica altra spiegazione è che sia un vampiro. Per te, che dormi persino mentre mangi, avere l’insonnia è da alieni.
    Non bussi nemmeno, non l’hai mai fatto. Makino ti avrà anche insegnato l’educazione, ma in certe cose ti piace prenderti confidenza. Marco è alla scrivania, a consultare una pila di fogli sicuramente noiosi come la morte. Probabilmente ti ha sentito arrivare grazie al suo haki – maledetto haki, rende impossibile qualsiasi scherzo! – perché non ha fatto una piega. Posa lentamente la penna, si gira verso di te e sorride appena. “Che c’è, ragazzino?”
    In realtà odi che ti chiami così, anche se è vero, e lo sa. Te lo fa apposta. “Ho una taglia di trecento milioni!” protesti. Nessuna persona sana di mente oserebbe chiamarti ragazzino.
    “E chi non ce l’ha?” replica Marco, che sa benissimo essere un bastardo quando ci si mette. Ma dato che la sua taglia è – ancora per poco – superiore alla tua, devi incassare e basta. Non ti piace farlo, gliela farai pagare alla prima occasione di sicuro. “Che c’è? Dubito che sia insonnia, conoscendoti.” Si alza per venirti incontro, mentre tu chiudi la porta.
    Ora, dovresti dirglielo. Dovresti aprire quella bocca fin troppo impulsiva e spiattellargli tutto. Ma nonostante tu abbia avuto il coraggio di sfidare l’uomo più forte del mondo senza averne le minime capacità, hai troppa paura per farlo. Se Marco non ti volesse più nella sua vita, beh, tu non vuoi scoprire cosa potrebbe succedere. Non trovi giusto dover rinunciare a qualcosa per colpa di tuo padre. Ci sei già passato, con Sabo e con Rufy. Ma loro sono diversi. Marco è diverso. E comunque ogni volta è come la prima volta. Dire la verità su te stesso non cade mai in prescrizione.
    Lasci perdere. Codardo, ma preferisci non rovinarti la serata. Ti avventi su di lui, premendo le tue labbra sulle sue, socchiudendole per cercare di far penetrare la lingua all’interno, mentre con una mano gli stringi il fianco e con l’altra cerchi di slacciargli i pantaloni. “Ehi, ehi, calma, ragazzino!” Ma non ti va affatto di calmarti. Per prima cosa, prendere le cose di getto è esattamente quello che hai sempre fatto nella vita… E Marco pretende che tu stia calmo? Proprio tu? Secondo, sai benissimo che alla fine a lui piace. Fa tanto quello rigido, quello che ha sulle spalle il destino di tutta la ciurma, lasciarsi un po’ andare non può fargli che bene, questo è quello che pensi. E che non ti stanchi mai di ripetergli, giusto per vendicarti del ragazzino.
    I vestiti volano un po’ ovunque, anche sui fogli ordinati di Marco. Poco male, non sarai tu a sistemarli. Mentre vieni, lasci scorrere le fiamme libere su tutto il tuo corpo. Quando sei eccitato, rischi sempre di perdere il controllo dei tuoi poteri e questo ti ha creato problemi a relazionarti. Con Marco non hai bisogno di trattenerti, perché il tuo fuoco non può ferirlo. Quando lo sfiori, dalla sua pelle si sprigionano fiamme azzurre curative, così simili alle tue eppure così diverse. Più calme, in un certo senso, come Marco. Se qualcuno vi guardasse da fuori, penserebbe che siete due esseri mitologici destinati a stare assieme. Ovviamente, però, nessuno lo pensa, perché col cavolo che lasceresti che qualcuno vi spiasse. Satch ci ha provato e adesso sa cosa lo aspetta.
    Ti senti finalmente appagato, l’incubo sembra un ricordo lontano e ti sta finalmente tornando il sonno, segno che ti senti meglio. Non hai più paura. Ma non hai risolto le cose comunque, stai solo imbrogliando te stesso. Come un vero pirata, alla fine. Ti alzi da letto, recuperi i tuoi pantaloni ed inizi a rivestirti. Marco rimane a guardarti sdraiato, nudo. “Perché non rimani qui?” ti domanda.
    Non vuoi farlo. Di nuovo, hai paura. Se sognassi certe cose mentre sei lì con lui? “Io russo,” rispondi, cercando di scherzare.
    “Lo so,” risponde Marco sorridendo. “Fin troppo bene.” Lo guardi male: le frecciatine sulla tua narcolessia sono all’ordine del giorno, ma non puoi farci niente. Marco scuote la testa e si alza a sedere sul letto. “Avanti, Ace, dimmi cosa c’è.” Desideri sempre che ti chiami per nome, eppure in questo momento ne faresti a meno. Almeno potresti sviare il discorso facendo battutacce sul ‘ragazzino’.
    Lo guardi. Nel sogno non era nudo, il che è distraente, ma la situazione è più o meno uguale. Deglutisci. Smettila di avere paura, Portgas D. Ace! Sei un pirata. I veri pirati non hanno paura. E tu vorresti essere uno dei migliori? Sei patetico. Ci credo che nessuno ti ama. Apri leggermente la bocca, sperando che non ti manchi la voce. “Se Roger avesse un figlio… E se questo figlio fosse qui a bordo… Tu cosa faresti?”*
    Marco ti fissa, senza battere ciglio. È troppo intelligente, probabilmente avrà capito la verità nel momento stesso in cui hai finito di parlare. A differenza del sogno, non vedi emozioni sul suo viso. Si limita a fissarti e a riflettere. Poi piega leggermente l’angolo della bocca. “Beh, suppongo che me lo farei.”
    Digrigni i denti. “Non scherzare!” Lo sai, il fatto che la prenda a ridere dovrebbe essere positivo. Ma a te la cosa non fa ridere. Ha segnato la tua infanzia, quella parentela. La tua vita, anzi. No, non fa ridere per niente.
    “Non stavo scherzando.” Evidentemente, capisce che c’è qualcosa che non va. Si alza, si infila i pantaloni, ti viene vicino. Tu non fai altro che fissarlo per tutto il tempo con il sangue che ti pulsa così forte nel cervello che ti sembra di scoppiare. “Che tuo padre si chiami Roger, o Carlo, o Pincopallo, questo non cambia niente. Tu saresti sempre il pazzo che sei.” Ti mette le mani sulle spalle. “Quello che ha combattuto per cinque giorni con Jinbe, quello che voleva uccidere il Babbo e ci ha provato più volte, quello che si addormenta nel piatto e quello che ci fa morire di fame perché si sbafa tutte le scorte di cibo.”
    E poi ti sorride.
    Normalmente, quello che ha detto di te non sarebbe affatto lusinghiero. Normalmente, gli faresti presente che non è colpa tua se sei narcolettico, né se hai così fame. Piuttosto, sono loro che mangiano poco. Ma in quel momento è il sorriso di Marco l’unica cosa di cui ti importa. È lo stesso che ti ha rivolto quando ancora non facevi parte della ciurma ma eri solo una spina nel fianco, il sorriso che ti ha convinto a dare una possibilità ai pirati di Barbabianca. Una delle migliori decisioni della tua vita – ed è stato merito di Marco. È bastato semplicemente quello per spazzare via completamente tutta la paura che ti ha attanagliato per tutti quei giorni. E ti senti un cretino per esserti angosciato troppo… Be’, tanto intelligente non lo sei mai stato. Ti chini, e nascondi la testa contro la sua spalla. I veri pirati non piangono, Ace – ma sei così sollevato da non poterci fare nulla.
    “Sei proprio uno stupido a preoccuparti per queste idiozie,” scherza ancora Marco, stringendoti a sé. “Al babbo l’hai detto?” Scuoti la testa. Adesso, però, come prospettiva non ti sembra più così orribile. Marco ti dà una pacca sul sedere, spingendoti verso la porta. “Vai a raccontargli tutto, fatti ridere in faccia e poi torna qui.” Inaspettatamente, sai benissimo che andrà così. Se Marco è riuscito ad accettarlo, probabilmente lo farà anche il babbo. Un po’ di paura c’è sempre, ma ti senti meglio. “Io intanto penso a come potremmo organizzare la festa per la tua promozione a comandante.”
    Sorridi anche tu, finalmente. Sei molto più carino quando lo fai, è il tuo stato naturale. “Voglio un mucchio di carne,” commenti, facendolo ridere. Ok, sei prevedibile, ma la carne è buona, non c’è niente da fare. E poi è la tua festa, no?
    Avviandoti per il corridoio che porta alla cabina del babbo, pensi che non hai scoperto cosa ti potrebbe succedere se Marco non ti volesse più nella sua vita. Ma la risposta non ha più importanza, perché tanto non succederà.

    Giudizio di Soly Dea

    Grammatica: 9,5/10
    Ho trovato un paio di ripetizioni:
    - Sono giorni che fai sempre lo stesso incubo ricorrente (questo aggettivo è superfluo perché riassume il significato delle parole precedenti)
    - E comunque ogni volta è come la prima volta.
    Anche la punteggiatura è buona, solo nella frase “Ti chini, e nascondi la testa”, la virgola è di troppo, perché c’è già la congiunzione “e”. Infine, nella frase “Io intanto penso a come potremo organizzare la festa”, il verbo corretto è “potremmo”.
    Per il resto, grammatica e forma sono ottime.
    Stile: 9/10
    Il tuo stile mi è piaciuto moltissimo: pulito e scorrevole, descrizioni dettagliate e realistiche, ottima introspezione dei personaggi, dialoghi ben strutturati. Ho apprezzato anche la scelta di rivolgerti ad Ace con la seconda persona, con tutti quei rimproveri che mettono in risalto i suoi sentimenti più nascosti. Non posso darti il punteggio pieno per il fatto che - nell’ultima parte della storia - sei passata alla terza persona per due volte e non credo che sia stato qualcosa di voluto, dal momento che risulta scorretto.
    - “Sei proprio uno stupido a preoccuparti per queste idiozie,” scherza ancora Marco, stringendolo (stringendoti) a sé.
    - Inaspettatamente, Ace sa (tu sai) benissimo che andrà così.
    Originalità e trama: 9/10
    Non sarà originalissima ma la trama è ben delineata e coinvolgente. Ho apprezzato molto l’introspezione di Ace, curata nei minimi dettagli. Anche il dialogo con Marco mi ha entusiasmata parecchio, niente è lasciato al caso e da ogni singola battuta traspaiono la delicatezza e l’accuratezza del tuo lavoro. Hai fatto benissimo a mantenerti sul rating giallo, concentrandoti maggiormente sui pensieri dei personaggi e sullo sviluppo della citazione. Però ti dirò la verità: il finale mi ha lasciata un po’ con l’amaro in bocca.
    - Ma la risposta non ha più importanza, perché tanto non succederà.
    Questa frase non mi è piaciuta molto, la trovo un po’ scontata. Comunque, ribadisco che nel complesso hai fatto un ottimo lavoro. Forse non sapevi come terminare e ci hai messo la prima cosa che ritenevi più adatta, senza pensare che stonava con ciò che hai scritto prima. Ma non te ne faccio una colpa, sei stata ugualmente molto brava.
    Aderenza alla citazione: 5/5
    Come ho detto prima, davvero ben trattata la citazione.
    Bonus prompt: 3/3
    Hai reso il prompt il filo conduttore dell’intera storia, complimenti.
    IC dei personaggi: 9,5/10
    Ace è Ace, esclusa qualche sfumatura. Invece Marco è ancora più Marco di quello originale. XD Dico davvero, le sue azioni e le sue battute sono perfettamente in linea con il personaggio che noi tutti conosciamo. Il suo IC è perfetto, nonostante potesse risultare difficile da caratterizzare nel contesto che hai scelto.
    Giudizio personale: 9/10
    Bella. Non ho mai letto niente su Ace e Marco, quindi sono rimasta piacevolmente soddisfatta della tua storia. Mi è piaciuto soprattutto il modo in cui hai reso il rapporto tra i due, senza inutili fronzoli: li hai resi dolci e spiritosi allo stesso tempo, due amici e amanti che si completano e comprendono a vicenda con semplici sguardi. La maturità di Marco, l’innocenza di Ace con tutte le sue paure e preoccupazioni, condividere queste ultime con la persona che si ama e dimenticare per un attimo il proprio ruolo lasciandosi andare ai sentimenti: è questa la tua storia e mi ha fatta sorridere. L’ho apprezzata nel complesso.
    Totale: 54/58

    Giudizio di Nini

    Grammatica: 4.85/5
    Personaggi: 20/20

    Tot : 24.85/25

    Grammatica secondo Nini

    Non ho scorto errori grammaticali da segnalare e nemmeno di battitura. Niente che potesse bloccare la scorrevolezza del testo.
    L’unica cosa che mi sento da segnalare è l’uso della parole ventilata nel seguente contesto:

    …Sono giorni che fai sempre lo stesso incubo, esattamente da quando ti è stata ventilata per la prima volta la possibilità di diventare il Comandante della Seconda Flotta ecc…

    Non né capisco il senso, o meglio credo di aver intuito ciò che volessi dire, come a volerlo usare al posto di sventolata o parole simili. Solo non mi era mai capitato di leggerla usata in questo modo.
    Comunque nel complesso la storia appare davvero piacevole e ben congeniata.

    Il personaggio secondo Nini

    La caratterizzazione del personaggio qui mi ha colpito molto, naturalmente in modo positivo.
    La lettura scorre veloce e senza intoppi. Le descrizioni, sia del personaggio principale, sia degli altri come Marco o dei pirati che giocano a carte, mi sono parse essenziali.
    Tutto il corso dei pensieri di Ace riesce a coinvolgere il lettore che si sente come se lui stesso fosse all’interno di quei dubbi, di quel non sapere cosa fare e soprattutto come agire.
    Mi ha fatto sorridere in vari punti, come nell’ingenuità del chiamare ‘ragazzino’ Ace da parte di Marco, quanta tenerezza nasconde questo gesto. Oppure nel momento in cui il fratello di Rufy si rende conto che ci sono cose importanti che nessuno potrà mai togliergli.
    La scena d’amore tra Ace e Marco non è una di quelle spinte fino all’eccesso, ma nella sua esposizione appare non troppo esplicita e nemmeno volgare. Nella sua semplicità fa trasparire dolcezza mista a essenzialità dei movimenti e dei gesti.
    I dialoghi appaiono ben strutturati e non sono mai lasciati a sé stessi, vengono sempre commentati scrivendo come si sentono o cosa fanno coloro che li esprimono. Facendo sì che ci si possa immaginare le scene, senza problemi.
    Il momento più piacevole da leggere, almeno secondo la mia opinione, è quello delle fiamme: quelle aggressive di Ace che si uniscono a quelle curative di Marco. Quasi una poesia del loro amore.

    Giudizio secondo Ay

    Grammatica 4.75
    Personaggio 19.50

    Totale: 24.25

    Grammatica

    Un'unica piccola sbavatura:
    “Ti alzi da letto […]” -> che sarebbe “dal letto”.
    Per il resto tutto perfetto. La grammatica sostiene il testo: la malinconia e la speranza che pervadono l’intera storia non si fermano di fronte a fastidiosi refusi. La lettura scivola via insieme ai pensieri del personaggio, in un’armonia perfetta.

    Il personaggio secondo Ay

    Una coppia che mi fa accapponare la pelle e che, per qualche ragione, nella tua storia mi è piaciuta tanto. Un Ace che, nonostante la taglia, è ancora ragazzino, proprio come ci tiene a precisare Marco. Un Marco che ne riconosce le debolezze, ma che, allo stesso tempo, ne coglie la forza e le qualità. Hai fatto un bel ritratto del rapporto che interessa i due personaggi, è evidente la passione che hai messo nello scrivere e molte sono le frasi che mi hanno catturata, molti i passaggi che ho trovato accattivanti.
    Senza troppe parole hai delineato il rapporto fra i due e il rimestare dei dubbi di Ace, dubbi infantili, legati al dolore del passato, dubbi che trovano la soluzione in un sorriso. Hai reso perfettamente il lato introspettivo del personaggio. Come hai ben reso la relazione con Marco. Mi è piaciuto molto il tuo enfatizzare l’ansia che precede la sofferta rivelazione, e il tentare di smorzarla con un po’ di velato erotismo e con qualche battuta leggera non fa che accentuarne l’importanza.
    Ho apprezzato anche l’impatto che hanno avuto i pochi dialoghi. È bastato calibrare le parole per far sì che la storia trovasse il suo fulcro - almeno per me è stato così - nelle battute.
    Un paio di frasi non mi hanno, invece, convinta del tutto. Si tratta di sottigliezze che vanno a interessare interamente la sfera del gusto personale e che, quindi, non sono considerabili errori veri e propri:
    “Dovresti diventare il loro capo, la loro guida, non dovrebbero vederti svegliarti nel bel mezzo della notte terrorizzato da un sogno.”
    L’accostare “vederti” e “svegliarti” dà un brutto effetto. È tutta una questione di suono stridente. Quando una storia mi piace, avverto subito quelle frasi che, in qualche modo e per svariate ragioni, ne infastidiscono la naturale scorrevolezza. Come ti ho accennato, il tuo stile è molto fluido, la resa dell’atmosfera è ottima, ecco perché piccole imperfezioni, come quella citata, sono più fastidiose di quanto dovrebbero.
    Altra frase è:
    “I vestiti volano un po’ dovunque, […]”
    Su internet ho trovato questa frase, ma c’è qualcosa di innaturale nel “dovunque”, che sarebbe meglio fosse sostituito da un “ovunque”, la forma più comunemente usata in questo tipo di frase. Mi sono orientata digitando su google la frase fra virgolette e vedendo quanti risultati uscivano. Anche in questo caso, non si tratta di un errore vero e proprio, ma solo di una questione di naturalezza nella lettura.
    La storia resta comunque molto suggestiva proprio perché resa al meglio. C’è il gusto di attendere i risvolti della faccenda, di assaporare le parole e di anticipare le reazioni. Un lavoro coinvolgente.

    TOTALE ASSOLUTO: 49.1/50

    04/09: betaggio di Eterea
    05/08: betaggio di Mad_Fool_Hatter

    Edited by Akemichan - 5/8/2014, 09:31
  4. .
    Ho fatto un test su che tipo di scrittrice di fanfiction sono (lo potete trovare qui), e questo è il risultato:

    THE WEIRDO

    You are pretty weird. It's hard to put you in a box. On one hand, you might lean towards the bizarre subgenres; recklessly slash people with inanimate objects, create alternative universes where Harry Potter is a 7 years old girl named Annie and don't take fanfiction very serious. On the other hand, you might be a misunderstood genius that could write Tolkien, Roddenberry and Rice into the ground, and your ideas are simply totally ahead of their time.
    However, the chances you're the latter are rather small.



    Sinceramente, non so se sono davvero così. Di sicuro non sono un genio, ma questo era già stato appurato XD Non mi dispiacciono le cose bizzarre, ma senza esagerazione: ad esempio odio con tutto il mio cuore le Mpreg e non sono nemmeno così fissata con lo slash (il 90% delle coppie che shippo sono etero), né con il crack (le coppie che tifo crack lo sono perché comunque potrebbero avere un background canon).
    Ma forse, il "weirdo" è la cosa che mi si addice di più perché, effettivamente, sono un mix di varie cose non ben definibili, e quindi non sono inquadrabile in una precisa categoria. Prendiamo altri due tipi di risultati del test.

    THE MINDGAMER

    Fanfiction is a creative outlet for you. You don't intentionally write it, it just happens. You find inspiration in several fandoms, but are not obsessed with only one.
    You like to explore "what if" situations. What if this character had never made this very choice? What if this event had taken place sooner, never, elsewhere? What if these people had never met?
    You are likely to write Alternative Universes, fan seasons or sequels and just follow your (sometimes pretty strange) plot bunnies.



    THE TRUE FAN

    Once you fall in love with a movie, book or TV series, you are loyal like an old dog. You take fanfiction quite serious and use it as a substitute after the canon ran out.
    You are probably a walking dictionary of your favourite fandom and you are picky about what you write and read. The closer to the "real thing" fanfiction is, the more you like it.
    You rather explore a character in all depth, see new sides and learn more about them than creating new characters or mix up the situations they are in.



    Non scrivo mai su fandom di cui non so vita, morte e miracoli, come un True Fan. Ma non resto sempre in canon, specie se quello che è successo nel canon.
    Mi piacciono da morire le AU e le What If..?, come un Mindgamer, ma adoro profondamente anche i missing moment o le introspettive su certi passaggi del canon.
    E sì, fondamentalmente sono "weirdo" XD
  5. .
    Le strane creature continuano ad imperversare i forum, facendo chiaramente cose assurde tipo:

    - Dare il benvenuto a gente che si è presentata anni prima e che ha già abbandonato il forum da una vita
    - Parlare della propria coppia preferita in qualunque posto tranne che in quello deputato
    - Ribadire la propria opinione identica a post successivi uno di seguito all'altro
    - Dare un'idea e subito dopo dire una cosa completamente diversa
    - Dire cose che non hanno il minimo senso

    IO continuo a ribadire che sono comportamenti schizzofrenici...
  6. .
    Riassunto: Ace è morto. Ma avrebbe la possibilità di tornare in vita se...
    Rating: giallo
    Personaggi: Ace
    Genere: commedia, ecchi
    Avvertimenti: genderbender

    Capitolo uno

    “Chi sei tu?”
    “Entri nel mio ufficio, e poi sono io quella che si deve presentare?”
    “Be’, forse ha ragione, anche se non so come sono finito qui…”
    “Allora accomodati.”
    “Ehm, sì, grazie. Io sono A-”
    “Lo so chi sei.”
    “E allora perché prima… Ma scusi, lei chi è?”
    “Ho una falce e un lungo mantello nero… Prova un po’ ad indovinare…”
    “Uhm… Una contadina con pessimo gusto nel vestire..?”
    “Molto divertente.”
    “Non sta ridendo.”
    “Ovviamente, sono la Morte.”
    “Avrei dovuto capirlo…”
    “L’intelligenza non è mai stata il tuo forte.”
    “Be’, cosa succede ora? Mi infilzerà con quella falce oppure siamo qui per fare qualche gioco psicologico… Una partita a scacchi?”
    “Sempre più divertente.”
    “Lei non ha senso dell’umorismo.”
    “Ti manderei volentieri all’inferno.”
    “Immaginavo qualcosa di simile…”
    “Invece no. Abbiamo cose più importanti di cui discutere.”
    “Tipo?”
    “Tuo fratello.”
    “Rufy?! Tieni quella falce lontana da lui, eh!”
    “Calmo. Non lo posso toccare, questo è il problema.”
    “E meno male!”
    “Tuo fratello non può morire, non ora. Eppure, vuole morire. Capisci il mio dilemma?”
    “…No.”
    “Non posso portare via la vita ad uno che è destinato a compiere grandi imprese, ma se quest’uomo decide di morire, be’, io devo fare il mio lavoro.”
    “Ma Rufy non vuole morire.”
    “Invece sì. E per colpa tua!”
    “Mia?!”
    “Perché sei morto. Si sente in colpa.”
    “Ok… Allora riportami in vita.”
    “Va bene.”
    “Io stavo scherzando… eh? Davvero? Sul serio?!”
    “Calmo, non posso farlo così con leggerezza. Prima dovrai farmi un favore.”
    “Un favore? Tipo uccidere qualcuno? Posso prendere in prestito la falce?”
    “Tieni giù le mani. No, un favore più complicato.”
    “Cioè?”
    “Ti spedirò in una dimensione parallela. Lì incontrerai persone che conosci, ma alcune cose potranno essere diverse. Il tuo compito sarà riportare ciò che è sbagliato alla normalità. Solo allora potrai tornare in vita.”
    “Non sembra molto complicato.”
    “Ingenuo…”

    Poi la morte agitò la mano pallida dalle lunghe dita ossute, ed il paesaggio cambiò improvvisamente. Ace si ritrovò sulla grande terrazza di un edificio che riconobbe come uno degli alberghi di Sabaody, viste le bolle con cui era costruito. Si guardò: aveva indosso dei pantaloni di pelle nera, una camicia bianca ed un lungo mantello nero. Uhm, la Morte non ha cattivo gusto in fatto di vestiti… Effettivamente, era meglio che per il momento nascondesse il tatuaggio, ed anche il volto, visto che non sapeva che cosa avrebbe incontrato di lì in avanti. Una dimensione parallela… Per il momento non sembrava molto diversa da quella che aveva conosciuto lui.
    All’improvviso, il suo istinto gli disse di difendersi, ed alzò il braccio giusto in tempo per parare un potentissimo calcio che una bella donna bionda vestita da cameriera stile Ghotic Lolita gli aveva tirato. Poi lei si scansò, e si abbassò la gonna con una mano. “Me le hai viste, vero?”
    “Be’, sì, ma…” Nel senso, se andava in minigonna a tirare calci in giro… “Erano bianche.”
    “Ecco perché odio i maschi, sono tutti dei pervertiti!” E cercò di colpirlo ancora, incurante che in questa maniera Ace potesse ancora godersi lo spettacolo.
    Lo scontro, se così si poteva chiamare, visto che lui stava solo cercando di evitare che l’altra gli ficcasse un tacco in un occhio, venne interrotto da due spade che si frapposero fra i due contendenti. “Insomma, la volete piantare di fare casino? Non riesco a dormire.” A parlare era stata un’altra bella donna, dalla strana capigliatura smeraldina tenuta in una coda alta.
    “Non ti ci mettere pure tu! Vatti a fare una tinta ai capelli, piuttosto!”
    Mentre le due litigavano, Ace pensò che fosse venuto il momento di andarsene: si avviò verso il bordo della terrazza con l’intenzione di scendere direttamente da lì per passare inosservato, quando notò che al di sotto dell’edificio si era radunato un vero e proprio esercito di marine.
    “Pirati! Arrendetevi!”
    Mapporc… Sono qui da meno di cinque minuti e già mi stanno girando le balle…
    “Ecco, hai visto, questa è tutta colpa tua! Con quei capelli ad alga, sei peggio di un faro.”
    “Ma non scherziamo! Sono quelle sopracciglia a ricciolo che ti fanno riconoscere ovunque!”
    “Cretina! Ma se non somiglio nemmeno all’avviso di taglia.”
    “Sei uguale, solo senza trucco…”
    Ace indicò i marine, che stavano continuando ad intimargli di arrendersi. “Avete intenzione di fare qualcosa?”
    La donna bionda gli scoccò un’occhiataccia. “Ne vuoi approfittare per sbirciare ancora, eh?”
    “Io non posso, mi sono appena data lo smalto alle unghie,” disse invece l’altra.
    “Vabbé, ho capito.” Ace si voltò e, abbandonando l’idea di passare totalmente inosservato in quella dimensione parallela… “Hiken!” …Spazzò via tutto l’esercito che si era radunato sotto la terrazza, lasciando solo terra bruciata.
    “Wow, che figata!” esclamò una voce dietro di loro. “Hai mangiato un frutto del diavolo anche tu, vero?”
    “Oh, capitano, già qui?”
    Ace si voltò tremando. Be’, la persona che aveva davanti era chiaramente Rufy: sandali, jeans corti, maglietta rossa abbottonata, il cappello di paglia sopra i capelli corti spettinati e la cicatrice sbarazzina sotto l’occhio. Solo che… Oh mio Dio… Forse la Morte aveva uno strano senso dell’umorismo, oppure amava semplicemente l’orrido, perché…
    “Dai, entra a far parte della nostra ciurma!” si sentì dire, senza essere capace di replicare. “Io mi chiamo Rufyko, e diventerò la regina dei Pirati!”

    Edited by Akemichan - 28/8/2014, 10:29
  7. .
    Aggiornamento: la tizia stramba in questione, dopo aver causato diversi problemi in un forum, ha deciso di iscriversi. E come prima cosa ha deciso di ribadire il suo odio per la coppia Tizio/Sempronio dicendolo ad ogni suo post.
    Avrei voluto rispondergli con la stessa moneta, ma non l'ho fatto perché sono una persona moderata ù.ù Invece un'altra utente gliel'ha fatto notare, speriamo che basti a farla smettere.
    Tra l'altro ha fatto pure una recensione negativa ad una ragazza che scrive benissimo... O.o
  8. .
    Il fandom è popolato da strane creature, è proprio il caso di dirlo, nel senso che si comportano in maniera che sembra che si sono appena svegliati da un'anestesia e non stanno capendo una minchia. Questa è solo l'ultima avventura che è capitata sul fandom.

    Una ragazza pubblica una storia scrivendo nell'introduzione "questa è sulla coppia Tizio/Caio. I fan della coppia Tizio/Sempronio non sono ammessi". Ora, il punto è questo: capita spesso che uno scrivi su una coppia e si trovi recensioni stupide di fan di altre coppie che gli criticano solo la scelta e basta. In questo caso, però, la colpa è del recensore stupido. Ma se io tifo la coppia Tizio/Sempronio ma mi piace anche quell'altra? Perché devo sentirmi vietare di leggere una storia? Insomma, sembra una frase per scatenare la "rissa" perché sembra indicare che le fan Tizio/Sempronio siano stupide/attaccabrighe.
    Morale della favola: ha ricevuto quattro recensioni negative da fan Tizio/Sempronio XD Io non l'avevo aperta non tanto per l'avviso ma perché non mi interessava la coppia, e non ho approvato molto la decisione dei recensori di introdurre i loro commenti (giustissimi, perché la storia, dall'occhiata che ci ho dato, aveva seri problemi, tra cui l'HTML) con 'io tifo la coppia Tizio/Sempronio', però, ecco, non è che l'autrice in sé si sia comportata proprio bene.

    Dopo qualche giorno, cancella le storie, lascia una recensione negativa ad uno di questi recensori e pubblica una nuova storia. La leggo perché stavolta il primo capitolo era su una coppia che mi interessava, ma resto molto delusa dalla situazione, quindi lascio una recensione negativa e me ne vado. Non ricevo risposta.

    Dopo qualche altro giorno, cancella quella fanfiction e ne pubblica un'altra (tra l'altro sostenendo 'è la mia prima fic!', complimenti per l'onestà!), dando l'elenco delle coppie su cui vuole parlare, e poi aggiungendo: 'all'inizio è sulla coppia Tizio/Sempronio ma poi diventerà sulla coppia Tizio/Caio', che va benissimo, per carità. Però fra gli avvertimenti ha messo che la coppia presente è solo la Tizio/Sempronio XD Cosa che ai fan darà poi fastidissimo perché quando vanno a cercare le loro storie si trovano questa che, a conti fatti, è un inganno vero e proprio.

    Forse per essere stata recensita solo da fan di quella coppia ha cercato di ingraziarsele? Mah XD Io l'ho trovato un comportamento oltremodo strambo, di una persona a cui non gliene frega una beata mazza della fanfiction ma cerca solo di ingraziarsi il pubblico per avere finalmente delle recensioni 'ma qst fic è tpp bll continua!'. Cioè l'atteggiamento che sopporto di meno.
  9. .
    PERSONAGGI: Sengoku, Garp, i tre ammiragli (con la partecipazione straordinaria di Jinbe)
    GENERE: commedia
    RATING: per tutti
    NOTE: Missing moment


    Quando si era unito per la prima volta alla Marina Militare, non era soprattutto alla carriera a cui mirava; ma era ambizioso, e le occasioni per salire di grado non gli erano di certo mancate, né aveva fatto qualcosa per evitarle, al contrario di qualcuno di sua conoscenza. Però sapeva fin dall’inizio che accettare la posizione di Grand’Ammiraglio avrebbe comportato un aumento sia dei diritti che dei doveri. Tra i primi, il prestigio della posizione, il dover prendere ordini solo dalle alte sfere, tra i secondi… Una lunga serie di gatte da pelare!
    E con l’era della pirateria in pieno svolgimento, Sengoku ne aveva dovute sistemare parecchie, di pellicce: l’ultima, ad esempio, era il rapporto della CP5 su un giovane pirata, il quale aveva dalla sua parte una taglia da ottantacinque milioni di Berry, un Rogia, e soprattutto una D. nel cognome che non lasciava presagire nulla di buono – come in effetti le ricerche confermavano.
    Non era insolito che la polizia segreta del governo mondiale svolgesse indagini sui pirati che sempre più numerosi invadevano la Rotta Maggiore – conosci il tuo nemico – ma in questo caso c’era un ulteriore motivo per scavare nel passato di Portuguese D. Ace, un sospetto… Che la CP5 aveva purtroppo confermato.
    Ogni tanto Sengoku avrebbe preferito non avere una mente così logica che gli consentisse di fare due più due con quella facilità.

    “…Testimonianze della presenza di una donna dal nome Portuguese D. Rouge sull’Isola di Baterilla, nel Mare Meridionale, la medesima isola in cui abitava la presunta amante del Re dei Pirati, meglio conosciuto come Gold Roger… …Suddetta donna sarebbe scomparsa, presumibilmente morta, il primo gennaio di diciassette anni fa…”
    “…Testimonianze nel Regno di Goa, nel Mare Orientale, di un ragazzino di nome Ace… Abitante della montagna di spazzatura ai confini della città principale nota come Gray Terminal… Responsabile di una serie di furti cittadini, mai arrestato…”
    “…La presenza nel Villaggio di Fooshia dell’attuale Imperatore Shanks il Rosso, ex-membro della ciurma di Gold Roger, sembra confermare ulteriormente…”


    La cosa che in quel momento lo faceva più imbestialire non era tanto scoprire che diciassette anni prima avessero fallito la missione di uccidere il figlio del Re dei Pirati, dandogli ora la possibilità di scorrazzare liberamente per i mari, ma il come ciò fosse successo. La CP5 aveva casualmente dimenticato di menzionarlo nel rapporto, ma il Regno di Goa era anche l’isola natale di una certa persona… Capacissima di contravvenire in quel modo ad un ordine impartitogli.
    Ogni tanto Sengoku avrebbe preferito non avere una mente così logica che gli consentisse di fare due più due con quella facilità.

    “L’hai scoperto, vero?” Di Garp non si poteva certo dire che l’intelligenza fosse la migliore qualità, ma non ci voleva un genio a capire la situazione, visto il cipiglio scontento dell’amico e la taglia di Ace in bella vista sulla scrivania, tra i fogli sparpagliati di un rapporto della CP. Negarlo non sarebbe servito a nulla, e comunque non era nella sua natura.
    Sengoku si era ripromesso di rimanere calmo, ma inflessibile. “Come. Hai. Potuto?” E con Garp significava parlare a monosillabi per evitare di iniziare ad urlare.
    “Lo sai, è una delle frasi che ho detto a Roger, quando me l’ha chiesto,” rispose lui, conversando in tono naturale. “Ma non ne sono pentito. Mi chiedi come ho potuto salvare dalla morte certa un bambino appena nato, condannato solo per colpa di suo padre; un padre che non avrebbe comunque mai incontrato. Era un neonato indifeso ed innocente…”
    “Già, proprio questo,” lo interruppe Sengoku. “Un indifeso ed innocente ragazzino che, nel caso ti fosse sfuggito, ultimamente è sempre in prima pagina, e certo non perché ha vinto il concorso di Marine del Mese!”
    “Io ho fatto del mio meglio per farlo diventare il migliore dei marine,” mise il broncio Garp, incrociando le braccia. “Potresti almeno dimostrare di apprezzare i miei sforzi.”
    “I tuoi sforzi..?” ripeté l’altro. “Sai, contando che tuo figlio è considerato il peggior criminale del mondo, sarei proprio curioso di conoscere i tuoi metodi di allenamento.”
    “Se ho un figlio degenere non è colpa mia,” iniziò a borbottare il vice-ammiraglio sottovoce. “E dire che gliel’avevo detto, a Dadan…”
    “Dadan non è quel capo dei banditi di montagna di cui mi hai parlato?” domandò Sengoku, cosciente che la successiva risposta avrebbe potuto causargli un notevole aumento della pressione sanguigna. “Quelli che hai lasciato andare contro ogni buon senso?”
    “Sì. Le ho affidato Ace con la raccomandazione-” Non terminò la frase, perché il collega si era alzato in piedi, sbattendo le mani sulla scrivania.
    “Tu, nel tentativo di far diventare un marine un ragazzino con il sangue del peggior pirata di sempre nelle vene, lo hai fatto crescere a dei banditi?!” esclamò a voce altissima. “La vedo solo io la contraddizione qui? Ma quanto puoi essere idiota?!” Poi si calmò, e riprese il suo sangue freddo usuale, risedendosi. “Scusa, ma sono rimasto scioccato dalla notizia. Nel senso, perché mai il figlio di Roger, allevato da una banda di furfanti, sarebbe dovuto diventare a sua volta un criminale? Con un curriculum come il suo, aveva un destino sicuro come impiegato in una banca!”
    “Era ironia, quella?” replicò Garp, che preferiva le ramanzine; erano più semplici da comprendere. “Comunque, per prima cosa non che avessi molta scelta, dato che dovevo tenerlo nascosto. E poi… Può essere considerata una terapia d’urto. Come gettare qualcuno in mare per insegnargli a nuotare.”
    “Hai mai sperimentato questo metodo?”
    “Una volta, credo…”
    “Per caso, su quella recluta che poi ha rassegnato le dimissioni perché assolutamente terrorizzata dal pensiero di avvicinarsi all’acqua?”
    “Ehm…”
    Sengoku scosse la testa. Sapeva com’era fatto Garp, anche se in qualche modo ogni volta lo sorprendeva con un’idiozia diversa, ma non riusciva a non prendersela, visto che poi era lui che doveva spiegare le cose alle alte sfere. “A questo punto, mi auguro solo che tu non abbia affidato a Dadan pure tuo nipote,” commentò.
    Seguì un silenzio imbarazzante.
    “L’hai fatto, vero?”
    “Rufy e Ace sono praticamente fratelli… Ma Rufy diventerà un marine!” si affrettò ad aggiungere Garp. “Sono assolutamente certo di questo. Ho mai fatto una previsione sbagliata?”
    “Vuoi la lista completa?” Poi Sengoku emise un profondo sospiro, mentre iniziava a raccogliere i fogli. “Il rapporto della CP5 non ti menziona, ed io non ho motivo di comunicarlo ai superiori… Considerando soprattutto che non posso darti nemmeno una nota disciplinare, per quella storia sull’Eroe della Marina e tutto.” L’ultima frase era inserita solo per mettere in chiaro che la loro amicizia non aveva certamente peso nella decisione. “Ma dobbiamo prendere provvedimenti, prima che la cosa diventi ingestibile.”
    Garp annuì, convinto. “Gli farò una ramanzina con i fiocchi, vedrai!”
    “Sì, peccato che affiderò la missione all’Ammiraglio Akainu.”
    “Cos..?” L’amico rimase veramente interdetto.
    “E’ un incarico troppo importante perché l’affidi a qualcuno di un grado più basso, ed ho bisogno di una persona senza l’idiozia di Kizaru, la compassione verso di bambini di Aokiji e, soprattutto, che abbia un potere sufficiente a superare il Foco-Foco.” Aveva definitivamente indossato la maschera da Grand’Ammiraglio che troppo spesso le stupidaggini di Garp lo costringeva a togliersi, per via della rabbia che gli provocava. “Questa è una colpa grave, te ne rendi conto? Non si tratta di una questione di parentela – hai consciamente violato degli ordini del Governo Mondiale, per diciassette anni, per non parlare delle conseguenze che la tua sconsideratezza potrebbe provocare. Stanne fuori.”
    “Sissignore,” fu il commento secco di Garp, prima di lasciare la stanza mestamente.
    Ace aveva scelto la sua vita, a prescindere da tutto quello che aveva cercato di inculcare in quella testa calda. Sebbene non l’approvasse, era la sua. Da marine, non poteva farci niente. Non poteva fare niente.

    Se un incarico veniva affidato al comando di un ammiraglio, poteva significare solo due cose: o riguardava i Draghi Celesti, o era qualcosa di estremamente grave. Quando Sengoku gli aveva spiegato il problema, Akainu aveva subito compreso la necessità di questa missione. Il suo Rogia e la sua preparazione militare erano più che sufficienti per ultimarla, perciò si era messo sulle tracce della nave dei pirati di Picche con una sola corazzata: meglio fare meno schiamazzo possibile.
    La marina non voleva certo un altro martire.

    Akainu non aveva molta simpatia per i membri della Flotta dei Sette, che erano e rimanevano pirati, ma dato che gli ordini erano di non toccarli e, se necessario, collaborare con loro per la Giustizia, avrebbe eseguito.
    Camminando tra ciò che rimaneva della spiaggia e dei faraglioni che la circondavano posteriormente, ormai ridotti ad un cumulo di sassolini, molti dei quali sembravano ormai carbone raggiunse l’altro uomo seduto al limite, con le gambe in acqua.
    “Lord Jinbe,” lo salutò serio.
    L’uomo pesce non si voltò neppure, ma accennò leggermente con il capo. Era risaputo che odiasse pirati e marine.
    “Che è successo?” domandò Akainu, sebbene in parte già conoscesse parecchi particolari, forniti dagli abitanti del piccolo villaggio dall’altra parte dell’isola, dove aveva ormeggiato la corazzata. “Una battaglia?” aggiunse, vedendo che l’altro continuava a non rispondergli.
    “Già,” ammise Jinbe infine. “Con un pirata. Non sono i membri della Flotta dei Sette pirati che combattono contro altri pirati?” Si alzò in piedi, pronto a scomparire in acqua.
    Non era un avversario facile. “E’ una bruciatura?” Akainu accennò leggermente ad una delle ferite sul braccio, poi sorrise come se non si aspettasse risposta, e si rivolse a guardare l’orizzonte. “Ma guarda, quella laggiù non è forse la nave di Barbabianca?” Naturalmente, non c’era nessuna imbarcazione visibile.
    Jinbe gli scoccò un’occhiata di traverso. “Cosa sta cercando di dirmi, Ammiraglio?”
    “Io? Niente,” replicò l’altro, senza distogliere lo sguardo dal mare. “Ma, naturalmente, se ci fosse qualche sospetto di contatti fra un membro della Flotta dei Sette ed un Imperatore… Voglio dire, sarebbe un bel problema per l’equilibrio del mondo, non crede? E purtroppo la marina sarebbe costretta ad indagare e la cosa potrebbe rivelarsi… Spiacevole, per entrambi.”
    L’espressione di Jinbe indicava chiaramente che non credeva ad una parola del soldato che gli stava di fronte, ma doveva innanzitutto proteggere la sua posizione, da cui dipendeva anche quella dei suoi simili. Inoltre, niente di quello che era successo poteva danneggiare in qualche modo il babbo. “Ho combattuto contro ‘Pugno di Fuoco’. Abbiamo pareggiato. Poi è arrivato Barbabianca, l’ha sconfitto e se l’è portato via. Fine della storia.”
    Ora Akainu lo stava osservando interessato. “Portato via?” ripeté.
    “Già.”
    Poteva significare solo una cosa: Newgate aveva intenzione di prendere quel ragazzo sotto la sua ala. Non era certo insolito che gli imperatori inglobassero nelle proprie ciurme i pirati più deboli appena arrivati nel Nuovo Mondo.
    L’Ammiraglio tornò a fissare il mare. “Questo potrebbe essere un problema…”

    Kizaru sedeva alla sua scrivania, scarabocchiando disegnini sui fogli in cui avrebbe dovuto scrivere un rapporto. Sul divano davanti a lui era comodamente sdraiato Aokiji, con un giornale che gli copriva il viso.
    “Uffa,” commentò il primo dopo un po’. “Da quando Sengoku-san e Garp-san hanno bisticciato, c’è un’aria deprimente qui.”
    Ci volle qualche minuto prima che il collega desse segno di aver sentito, ed altri ancora prima che si mettesse seduto, appoggiando il giornale sulle ginocchia. “Sembra una cosa grave, vero?”
    Non era insolito che i due litigassero, ma nella maggior parte dei casi era perché Garp aveva combinato qualche casino dei suoi; Sengoku gli urlava contro per una decina di minuti, poi si rassegnava al fatto che fosse del tutto inutile e, dopo poco, erano di nuovo insieme a prendere il tè. Invece, quella volta, non si stavano più parlando da quasi un mese. E naturalmente la tensione che c’era fra di loro aveva coinvolto anche il resto dei soldati.
    Tsuru doveva aver sentito le lamentele dell’uno e dell’altro perché, qualche giorno dopo il litigio, aveva richiesto un permesso di congedo per motivi familiari - cosa mai successa in precedenza! - e quindi non avevano avuto possibilità di parlarne con lei.
    “Tu non ne sai proprio niente?” domandò Kizaru.
    Aokiji scosse la testa. “Per altro c’è pure di mezzo l’incarico di Sakazuki… Forse quando tornerà scopriremo qualcosa di più.”
    In quel momento la figura del diretto interessato comparve sull’uscio aperto dell’ufficio. Si fermò solo in tempo di scoccare ai colleghi un’occhiataccia per nulla rassicurante, prima di proseguire verso l’ufficio di Sengoku.
    “Direi che non dev’essere andata benissimo…”
    “Oh, spaventoso…”
    A quel punto, Aokiji decise che aveva dormito abbastanza, e che abbastanza ne aveva di aspettare senza sapere quello che stava succedendo. Si alzò lentamente per recarsi nell’ufficio di Garp. Lo trovò seduto alla sua scrivania a lavorare. Un ulteriore cosa che doveva essere aggiunta alle stranezze di quel periodo, insieme all’assenza di qualunque biscotto o tazza da tè nei paraggi.
    “Signore…” mormorò, per attirare la sua attenzione, dato che né i colpi alla porta, né i suoi passi all’interno della stanza sembravano averlo distratto dai fogli su cui stava scrivendo.
    “Kuzan…” replicò l’altro senza alzare lo sguardo.
    “Lo sa,” iniziò allora Aokiji. “Prima ho scommesso con Borsalino su chi per primo ci avrebbe detto quello che sta succedendo, se lei spifferando un segreto di stato come se niente fosse o il Grand’Ammiraglio urlandole contro in corridoio…”
    Garp allora alzò lo sguardo sorridente, ma gli occhi dicevano che non era affatto in vena di scherzi. Infine allungò un foglio sulla scrivania prima di appoggiarsi più comodamente allo schienale della sedia, incrociando le braccia e guardando fisso i movimenti di Kuzan.
    Questi si avvicinò al tavolo ed esaminò l’avviso di taglia di Portuguese D. Ace. “E quindi?” domandò dopo un po’, continuando a non capire. “La D. dovrebbe dirmi qualcosa… Ma non ho mai sentito questo cognome.”
    “Perché è quello di sua madre, Portuguese D. Rouge,” gli spiegò il viceammiraglio. “Il nome originale sarebbe Gol D. Ace.”
    Kuzan, allora, ricambiò lo sguardo con uno più addormentato del solito. “Ah.”
    “Sono stato io a salvarlo, diciassette anni fa,” terminò la spiegazione l’altro, gesticolando. “Sengoku l’ha scoperto e adesso ce l’ha con me. Come se fosse colpa mia se quel deficiente ha deciso di fare il pirata…” Aveva l’espressione accigliata pronunciando quest’ultima frase, ma il tono era più preoccupato che arrabbiato.
    “Non sarò certo io, signore, a criticarla per aver salvato un bambino,” mormorò Aokiji, appoggiando la taglia sulla scrivania, con la mente che ritornava inevitabilmente ad una certa ragazzina dai capelli mori. “Ma è sicuro che il Grand’Ammiraglio se la sia presa per questo?”
    “E per cos’altro?!” ribatté Garp. “Si è convinto che io abbia salvato il probabile futuro Re dei Pirati e che sarò responsabile di qualunque disastro questo comporti…”
    “Sengoku-san è troppo intelligente per pensare che una cosa del genere possa essere dipesa unicamente da lei,” replicò calmo l’ammiraglio. “Lei ha salvato la vita ad una persona, non poteva sapere cosa sarebbe successo dopo. Però, forse, a Sengoku-san avrebbe dovuto dirglielo prima.”

    Erano di nuovo faccia a faccia. Sengoku seduto alla scrivania a compilare un rapporto e Garp in piedi dall’altra parte. Nessuno dei due sembrava intenzionato ad iniziare una discussione.
    “Sono arrivati i biscotti dal Mare Settentrionale, quelli che piacciono a te,” disse infine il secondo, poggiando un sacchetto marrone spiegazzato sul tavolo. “Versi il tè?”
    Nessuna risposta, nemmeno un minimo accenno, a parte il continuo muoversi della penna sul foglio.
    “Mi dispiace,” proseguì allora il viceammiraglio. “Ma, onestamente, puoi giurarmi che non saresti andato ad uccidere Ace, obbedendo agli ordini, se te l’avessi detto?”
    La penna s’interruppe. Sengoku alzò lo sguardo, lo fissò intensamente, poi si voltò indietro per recuperare la teiera e riempire due tazze. “Probabilmente no,” ammise.
    Garp si decise a sedersi, poi sorseggiò il suo tè per un attimo. “Cosa credi che avrei dovuto fare? Non potevo lasciar uccidere un bambino innocente…”
    “Io non sarei mai finito in una situazione come la tua,” replicò l’altro. “Ma comunque, di sicuro non l’avrei affidato a dei banditi. L’avrei dato ad una famiglia di marine, piuttosto. E non gli avrei mai detto chi era.” Fece una pausa, mentre si portava la tazza alla bocca. “Perché lo sa, vero?”
    “Sì.” Il vice-ammiraglio annuì. “E odia suo padre. Pensa che sia colpa sua se la madre è morta, per questo ha preso il cognome di lei.”
    Questa volta, Sengoku rimase stupito. “Però sta seguendo le orme di lui.”
    “Già. Pensa di non poter essere nient’altro che un pirata, per via del suo sangue,” sospirò gravemente Garp. “E’ cresciuto con gente che gli ripeteva continuamente che era il figlio del demonio, e che non meritava di vivere. Alla fine, ci avrà creduto veramente,” gli spiegò.
    “E, come volevasi dimostrare, ho ragione io,” disse l’amico con tono meno serio. “Perché gliel’hai detto? Perché ti sei preso la briga di allevarlo? Avresti potuto lasciarlo alla prima famiglia che-”
    “Lo so, lo so,” lo interruppe l’altro. “Era quello che avevo intenzione di fare, infatti. Ma poi… La prima volta che ho tenuto quel cosino fra le braccia, io… Ho pensato che non sarei mai riuscito a lasciarlo a qualcun altro. Gli volevo già bene.” Prese un altro sospiro. “Che ci vuoi fare, sono sempre stato io quello emotivo. E tu quello coi piedi ben piantati per terra,” aggiunse.
    “Già.” Sengoku afferrò la cartella con il rapporto della CP5 e si sporse in basso, per fare in modo che la capretta che stava seduta ai suoi piedi potesse morderlo e divorarlo tutto. “Ma se con questo intendi dire che sono anche quello che deve sistemare i tuoi casini, scordatelo!”

    “Secondo te come sta andando?” domandò Kizaru al collega. Lui e Aokiji si erano sistemati nel corridoio, giusto vicino alla porta del Grand’Ammiraglio, ma non riuscivano comunque a sentire niente della discussione.
    “Non saprei…” rispose l’altro. “Sengoku-san non ha ancora iniziato ad urlare… Sarà un buon segno oppure no..?”
    Dietro di loro si materializzò improvvisamente l’Ammiraglio Akainu. “State origliando?” chiese, in tono polemico.
    Aokiji si rimise la mascherina sugli occhi e fece finta di dormire, mentre Kizaru fissò Sakazuki con uno sguardo vacuo, finché questi non si decise a spiegargli, in un linguaggio più elementare: “Origliare vuol dire ascoltare volontariamente le conversazioni degli altri. È una cosa che non si fa!”
    “Aaaah…” capì allora l’altro. Poi aspettò un attimo prima di rispondere: “…No.”
    “E allora che stavate combinando?” domandò ancora Sakazuki, per niente convinto.
    Aokiji si decise a riemergere dal suo letargo. “Siamo solo preoccupati per quello che sta succedendo fra Sengoku-san e Garp-san…”
    “Lo so, ma non sono fatti nostri. Non dobbiamo immischiarci nelle faccende dei nostri superiori,” commentò Akainu incrociando le braccia. “E poi, mi dispiace per il vice-ammiraglio, ma stavolta ha decisamente oltrepassato il limite.”
    “Intendi per il fatto che ‘Pugno di Fuoco’ è il figlio di Roger? E vabbé, che sarà mai…”
    “Come lo sai? Te l’ha detto Garp, vero? Dovevo immaginarmelo!” protestò Sakazuki. “E non andare in giro a rivelare segreti di stato così!”
    “Scusa, ma se tu lo sapevi già, non mi pare di aver rivelato proprio niente…” cercò di difendersi Kuzan.
    Borsalino, seccato per essere stato escluso dalla conversazione, alzò una mano per cercare di attirare l’attenzione. “Ehi, spiegate anche a me! Non ci sto capendo nulla!”
    Gli altri due inarcarono un sopracciglio, convenendo silenziosamente che quella ‘non era certo una novità’, ma dato che per una volta non era colpa di Kizaru, gli raccontarono quello che sapevano.
    “Aah, ci sono…” disse lui alla fine, sebbene la sua espressione sembrasse indicare decisamente il contrario.
    Poi, qualunque altra discussione fu bloccata dall’uscita rapida della stanza del vice-ammiraglio, il quale sogghignava fra sé. Il che era un buon segno per tutti, probabilmente, a parte per le coronarie del Grand’Ammiraglio.

    Garp mangiò l’ultimo biscotto, terminò di bere il suo tè e fece per alzarsi. “Ora è meglio che vada.”
    “Aspetta,” lo fermò Sengoku. “Non vuoi sapere la novità sul tuo protetto?”
    L’altro si bloccò, annuendo. Sapeva da Aokiji che il suo collega era tornato non di buon umore, per usare un eufemismo, e quindi già immaginava che Ace si fosse in qualche modo salvato, ma non sapeva come.
    “Abbiamo aspettato un po’ prima di averne la conferma, dopo il ritorno di Akainu,” spiegò Sengoku. “Ma pare proprio che ‘Pugno di Fuoco’ sia entrato nella ciurma dei pirati di Barbabianca. E sai cosa significa questo, vero? Che non possiamo più toccarlo.”
    L’espressione di Garp passò da sorpresa a soddisfatta. “Questo significa però che posso andargli a fare una ramanzina coi fiocchi!” esclamò esultante.
    “Se ha l’effetto contrario di tutte le altre, evita, te lo chiedo per favore,” disse Sengoku, seccato.
    “Sciocchezze, andrà benissimo,” replicò lui avviandosi verso la porta. Afferrò la maniglia, ma rimase un attimo fermo a riflettere su qualcosa. Quindi si voltò verso l’amico ed affermò, con un sorrisone: “Comunque, non è il mio protetto. È mio nipote, e devo dire che sono piuttosto orgoglioso di lui!”
    Quindi, uscì in fretta dalla stanza, e la tazzina da tè che Sengoku gli aveva appena lanciato contro si infranse contro il muro.

    *.*.*



    Note: Di questa storia sono particolarmente soddisfatta. Era da tempo che volevo far interagire Sengoku e Garp assieme, e sono contenta del risultato che sia venuto. Ovviamente molto è andato anche a mia interpretazione, ma credo di non essere lontana dalla verità immaginando che siano effettivamente grandi amici separati però dalle responsabilità che hanno. Anche muovere gli ammiragli mi è piaciuto, anche se su di loro non sono totalmente convinta. Jinbe ha avuto una piccola parte, ma non potevo non inserirlo, potendo ù.ù
    Qui sotto metto il giudizio che mi è stato dato al concorso:
    - CORRETTEZZA: 10. Su questo punto nulla da dire, non ho visto errori.
    - TRAMA: 10. L’hai elaborata molto bene, c’è un unico filo conduttore che però viene sviluppato da più punti di vista, con diverse scene. L’insieme risulta molto ricco ed interessante, davvero ben fatta.
    - STILE: 10. Non ho trovato punti deboli nello stile, è scritta in maniera semplice, ironica, incalzante in certe parti, appropriata e molto buona. Davvero lineare, aiuta a ‘divorare’ la fic in un attimo e a renderla ancora più piacevole da leggere.
    - ATTINENZA AL TEMA: 10. Si parla principalmente di Ace, dopo tutto, anche se i protagonisti sono i pezzi grossi della marina. Si parla soprattutto del rapporto e dell’amicizia di Sengoku e di Garp, quindi anche questo punto è perfetto.
    - CARATTERIZZAZIONE DEI PERSONAGGI (l’IC in pratica): 10. Sei quella che ha usato più personaggi, tutti fra gli ‘altri’, e non ne hai trascurato nessuno, pur tu magari ne inserissi alcuni per poco. Hai reso bene tutti i rapporti che ci sono, quello fra il grand’ammiraglio e il viceammiraglio, quelli fra i tre ammiragli, quelli fra i primi e i secondi… insomma, hai pensato a tutto, hai approfondito almeno un po’ ogni parte che li riguardava e non manca di niente. Per di più per quel po’ che si sa di questi personaggi, sei stata molto in gamba a tirare su i loro caratteri così fedelmente e così bene. Brava.
    - COINVOLGIMENTO PERSONALE: 10. L’ho divorata e solo questo indica quanto mi sia piaciuta e mi abbia coinvolta. È ironica e seria il necessario, un equilibrio perfetto. Ci sono parti in cui ho riso tantissimo, alcuni dialoghi sono delle chicche, altre in cui mi sono rattristata molto e poi ho sorriso. Sei riuscita in ogni punto perfettamente. La tua risulta una storia completa perché c’è spazio per riflettere, per rattristarsi anche alla luce di come andranno poi le cose, di sorridere, di rilassarsi e di interessarsi agli eventi esposti e resi bene. Il punto che mi piace di più è come si parla di Ace dal punto di vista di tutti, però implicitamente, senza quasi farlo di proposito. A chi gli sta indifferente, a chi lo vede come un piantagrane, a chi gli fa tenerezza, a chi lo ama lo stesso… ma comunque molto bello il rapporto che hai reso fra Garp e Sengoku. Però una chicca i tre ammiragli che origliano alcuni preoccupati altri curiosi per sapere cosa è successo fra gli altri due superiori, proprio come fossero i loro tre figli! Fantastico.
    Punteggio massimo 60
204 replies since 24/3/2008
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