Debolezza

[Voltron Legendary Defender]

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    Aver salvato la Terra era solo il primo passo per la sua effettiva ricostruzione.
    Dopo la sconfitta di Sendak e dello strano mecha arrivato conseguentemente, Keith aveva passato la maggior parte del tempo in ospedale, più di quanto l’avessero fatto gli altri Paladini perché avevano riportato ferite meno gravi delle sue. Poiché sia a Kolivan sia a Krolia era stato permesso di assisterlo e perché nessuno gli aveva detto nulla, Keith era tranquillo che non stesse succedendo niente di particolare.
    Lance, Hunk, Pidge passavano per raccontargli del fatto che stavano usando i Leoni per dare una mano alla costruzione, come quasi a voler chiedere la sua autorizzazione (come se per Keith essere il Leader di Voltron conferisse poi qualche particolare potere a riguardo), e Shiro non riusciva a passare quasi mai, mandava dei messaggi per indicare che stava bene, che aveva da fare, e di solito arrivava la sera tardi che anche se Keith cercava con tutte le sue forze di rimanere sveglio, alla fine crollava miseramente.
    Solo Allura venne un giorno, e sembrava stanca, svogliata, quasi amareggiata da tutta la situazione.
    Inizialmente, Keith pensò che fosse perché l’essere sulla Terra le ricordava Altea, e come all’epoca lei non fosse riuscita a salvarla. Invece, si trattava della sua presenza come aliena non solo sulla Terra, ma anche come membro della squadra Voltron.
    “E allora cosa dovrebbero dire di me?” disse Keith onestamente. “Io che sono mezzo Galra.”
    Allura non rispose, ma si morse il labbro appena, quello che bastava a Keith per fargli capire che c’era effettivamente qualcosa che non andava.
    “Lo stanno dicendo anche di me,” concluse.
    “È una cosa un po’ complicata.”
    “Spiegamela.”
    “Va bene,” Allura annuì. “Ma prometti di lasciare l’ospedale solo quando i medici te lo diranno, e non adesso.”
    “Prometto,” disse Keith, con un sospiro. Ormai Allura lo conosceva troppo bene.
    “La venuta di Sendak ha completamente distrutto il sistema di Governo terrestre,” iniziò Allura. “La ricerca e il salvataggio dei prigionieri, la conta dei sopravvissuti, sono tutte cose che stanno richiedendo tempo, e non c’è quindi il tempo di ricreare il governo com’era in precedenza, considerando la morte di molti leader.”
    “Purtroppo noi non abbiamo una principessa spaziale.”
    “Già, be’, probabilmente sarebbe stata la prima a morire e la situazione non sarebbe stata diversa,” rispose Allura con un breve sospiro. “In ogni caso, l’unica struttura che è in parte sopravvissuta con la propria gerarchia sulla Terra e la Garrison USA. So che stanno cercando di recuperare alcuni ufficiali dagli altri continenti, ma la centrale operativa è da noi, considerando anche la presenza dell’Atlas e di Voltron.”
    “Mi pare ragionevole. Shiro fa parte di questa gerarchia, tra l’altro.”
    “Già, ma la morte dell’Ammiraglio Sanda ha fatto nascere alcune correnti interne,” disse Allura. “Una parte, vorrebbe nominare Shiro come nuovo ammiraglio, Sam e Iverson sono da questa parte. L’altra è capitanata dal Comandante Dos Santos, che era il secondo in commando dopo Sanda, e che vorrebbe essere nominato al suo posto.”
    “Non ha fatto nulla durante la guerra a parte voler consegnare i Leoni a Sendak,” fece una smorfia Keith.
    “Sono d’accordo, ma molta gente si schiera con lui perché ha paura.”
    “E di cosa?”
    “Del troppo potere che l’Atlas e Voltron portano con sé.” Si sistemò un po’ meglio sulla sedia. “Shiro aveva proposto di costruire, con i progetti che abbiamo, la macchina per il portale in modo da poter contattare Matt e gli altri pianeti: dobbiamo aiutarli, e allo stesso modo loro potrebbero aiutare la Terra a ricostruirsi più in fretta, ma molti non vogliono. Sono uscita proprio adesso da una riunione in cui ne abbiamo discusso senza risolvere nulla.”
    “Non si fidano di te.”
    “Non si fidano di nessuno, né di me né di te, né di Shiro,” replicò Allura. “Vogliono semplicemente controllare tutto, e non gli piace l’idea che Voltron sia a disposizione dell’universo senza un vero padrone alle spalle.”
    “Meno male che i Leoni scelgono da sé il loro pilota,” disse Keith. “O c’era seriamente il rischio che volessero rubarseli.”
    “Già, be’, non so se non ci vogliano provare comunque. Questa è la situazione, in ogni caso.”
    Keith le strinse la mano. “Sono sicuro che sistemeremo tutto quando uscirò di qui.”

    Quando finalmente Keith fu dimesso dall’ospedale, non c’era nessuno ad attenderlo. Krolia e Kolivan erano con Sam a cercare di contattare la ribellione e vedere com’era la situazione e se c’erano altre Blade sopravvissute o che erano sotto attacco da parte dei druidi, gli altri Paladini erano in giro con i loro Leoni sempre per aiutare la ricostruzione, invece Shiro e Allura erano a mezzo di qualche meeting diplomatico di cui i dottori non avevano voluto dire molto.
    Così Keith si ritrovò da solo, andò alla base della Garrison e recuperò la sua armatura da, come un cadetto gli indicò, quello che era il suo quartiere privato a bordo dell’Atlas. Voleva volare un po’ con Black, dare un’occhiata alla situazione con i suoi occhi e, dopo così tanti giorni di immobilità, voleva anche riprendere il controllo sul suo corpo.
    L’Atlas era stato creato per contenere i leoni al suo interno, quindi Keith ipotizzò che fossero nel suo hangar e vi si diresse. Ma la porta era chiusa, sorvegliata da due soldati.
    “Scusate, devo prendere il mio Leone,” disse loro, “potreste aprirmi?”
    “Purtroppo no, Signore. Abbiamo ordine di non far accedere nessuno all’hangar di Voltron a meno che non sia stato autorizzato.”
    “Autorizzato da chi?”
    “Dal comando ufficiale della Garrison, Signore.”
    Keith alzò gli occhi al cielo. “Io sono il suo Paladino. Se avete combattuto durante la guerra, sapete bene che posso ordinare a Black di uscire sfondando tutto.”
    I due soldati si guardarono, a disagio. “Lo sappiamo, signore, anche il Capitano Shirogane non è d’accordo, ma è una disposizione ufficiale. Finora gli altri Paladini hanno cooperato.”
    Se gli altri si erano messi a disposizione, probabilmente era perché c’era qualche sottile ragione di diplomazia che a Keith al momento sfuggiva, ma si fidava di Hunk e di Allura più di quanto si fidasse di se stesso, quindi annuì.
    “Dove posso trovare il Comandante Dos Santos?”
    I soldati glielo indicarono e Keith, sempre con l’armatura indosso, camminò in quella direzione. Per fortuna trovò Dos Santos nel suo ufficio, con altri due ufficiali, e non si preoccupò molto di disturbare la lezione.
    “Scusate, sarò breve,” disse entrando. “Mi serve l’autorizzazione per poter recuperare Black.”
    “Ah, Kogane,” disse Dos Santos. “Venga, volevamo proprio parlare con lei. Si sente già in forma dopo il suo ricovero?”
    “Sì, per questo volevo Black.”
    “Lo avrà.” Dos Santos gli fece cenno di sedersi e Keith, pur accigliato, gli obbedì. “Ma prima avrei bisogno di farle un paio di domande. Abbiamo evitato di disturbarla in ospedale, ma adesso che è qui…”
    “Domande di che genere?”
    “Sul Capitano Shirogane. Immagino sappia che la vostra… relazione è già stata rivelata noi dallo stesso Capitano Shirogane, giusto per essere chiari. E non abbiamo intenzione di interferire a riguardo.”
    Keith alzò le spalle. Da parte sua, non aveva problemi che la gente sapesse di lui e Shiro, e dall’altra dovevano solo provarci a mettergli i bastoni fra le ruote.
    “Ma considerando proprio questa relazione, pensiamo che lei sia la persona più adatta a dirci qual è lo stato mentale del Capitano Shirogane.”
    “Lo stato mentale?”
    Dos Santos annuì. “Siamo a conoscenza del fatto che il Capitano Shirogane, negli scorsi anni, sia stato vittima di diverse sfortunate situazioni, alcune delle quali poco chiare, che potrebbero averne compromesso le normali funzioni cognitive. Un peccato, ma comprensibili.”
    “Shiro s’è messo al comando dell’Atlas e ha salvato il culo a tutti durante la guerra,” affermò Keith. “Le sue capacità cognitive mi sembrano in perfetta forma.”
    “La guerra è stata una situazione eccezionale, di cui chiaramente siamo tutti grati a voi e al Capitano Shirogane, ma in uno stato di pace non credo che l’opinione pubblica si aspetti da noi una semplice stretta di mano. I piloti sono sempre stati soggetti a controlli rigorosi, lei ovviamente non può saperlo perché è stato espulso dalla Garrison prima, ma-”
    Questa volta, Keith lo interruppe alzandosi. “Ho già risposto alla vostra domanda: Shiro sta benissimo e non c’è nessun altro meglio di lui a capitanare l’Atlas, e non ho altro da dirsi.”
    Completamente dimentico della ragione vera per cui era andato nell’ufficio all’inizio, lo lasciò alle spalle e si diresse a cercare Shiro, che trovò nell’hangar della Garrison, intento a verificare lo stato di alcune navicelle degli MFEs, che Sam aveva deciso di implementare.
    “Keith!” lo accolse con un abbraccio. “Scusami se non sono venuto a prenderti all’ospedale, ho un’agenda così fitta che devo trovare spazio anche solo per mangiare…”
    “Non preoccuparti,” gli rispose Keith. “Qualcosa mi dice anche che avevi paura che allontanandoti ti avrebbero rubato il posto da sotto il sedere.”
    Shiro lo guardò sorridendo. “Hai incontrato Dos Santos.”
    “Sì, e quello che mi ha detto non mi è piaciuto per niente.”
    “Non devi prenderla troppo sul personale,” disse Shiro. “Dos Santos sta facendo di tutto per prendere il controllo della situazione, e sa che non potrà farlo finché non avrà il controllo delle due armi più potenti a disposizione. Può provare ad attaccare voi paladini di Voltron, ma questo non cambia la realtà che i leoni vi hanno scelto. Quindi non gli rimane che attaccare me.”
    “Anche tu sei stato scelto dall’Atlas. E dal Black Lion,” ribatté Keith. “Non può semplicemente mandarti via con la scusa che sei malato di mente!”
    “Purtroppo non ha tutti i torti,” mormorò Shiro tristemente.
    “No, Shiro, non è così. Tu non sei malato di mente, soffri di un disturbo da stress-post traumatico che è perfettamente logico considerando tutto quello che hai passato, e ce l’hai ancora perché non sei riuscito a curarlo come si deve,” rispose Keith. “Ma adesso siamo sulla Terra, in un momento di calma. Potresti contattare qualche psicologo disposto-”
    “No,” disse immediatamente Shiro. “Nel momento in cui metterò piede all’interno di uno studio, il mio posto sull’Atlas mi verrebbe immediatamente revocato.”
    “Non possono farlo.”
    “Invece sì. Gli basterebbe distribuire la notizia all’opinione pubblica, e tutti sarebbero d’accordo sul fatto che un uomo che non ha il controllo sulla propria mente non possa comandare la nave più potente della flotta, perché chissà cosa potrebbe succedere.”
    “Be’, ma una volta guarito, potresti tornare,” suggerì Keith.
    “Non mi posso permettere di perdere tempo,” gli disse, “perché qui vogliono togliere i Leoni anche a voi. Devo restare prima che la situazione peggiori.”
    Poiché Shiro era testardo e Keith sapeva che non c’erano grandi alternative per convincerlo, lasciò perdere.

    Tre notti dopo, nel cuore della notte, quando Keith dormiva tranquillamente al fianco di Shiro, si svegliò sentendo dei movimenti sospetti. Era Shiro che si muoveva, spostandosi su di lui. Prima che potesse dirgli qualcosa, con la mano umana Shiro lo bloccò contro il materasso, e con la mano metallica tentò di soffocarlo, le dita rigide che si stringevano contro il suo collo.
    Keith si affannò, si agitò per liberarsi dalla presa, non aveva aria in gola e la trachea gli bloccava qualunque suono, finché non riuscì ad allungare la mano contro il muro dietro il letto e a batterci il pugno contro. Il rumore attirò il lupo, che dormiva nella sala a fianco, che si materializzò a fianco del letto. Keith gli mise la mano sulla schiena e un attimo dopo era stato teletrasportato via dalla morsa di Shiro.
    “Shiro,” lo chiamò con delicatezza, mentre Shiro stava ancora artigliando il cuscino come se fosse Keith. “Va tutto bene. Sono io. Rilassati.”
    Shiro sbatté le palpebre, inizialmente non capendo dove si trovasse, poi voltò la testa in direzione di Keith.
    “Ho avuto una crisi?”
    “Sì, ma non ti devi-”
    Non fece in tempo a finire la frase perché Shiro accese la luce e, sotto il fascio della lampada, il rossore che si stava già tramutando in lividi fu estremamente visibile sul collo di Keith. Shiro si accasciò sotto la testiera del letto.
    “Credevo non sarebbe mai più successo…” mormorò. “Ti ho quasi ucciso.”
    “Ma non l’hai fatto.”
    “Stavo per. E se ci riuscissi la prossima volta? Io non posso perderti. È chiaro che-”
    “No,” lo interruppe Keith, e si accoccolò al suo fianco. “Senti, Shiro, io lo so che sei forte e che pensi di dover essere sempre superman, ma una delle ragioni per cui mi sono innamorato di te è che sei stato capace anche di mostrarmi le tue debolezze. Se hai paura di uccidermi, allora devi curare il tuo disturbo.”
    “Abbiamo già parlato di questo.”
    “Lascia che ti aiutiamo,” continuò Keith. “Io e i paladini, e Sam, e Matt, e mia madre e Kolivan. Tu pensa solo a curarti, noi terremo l’Atlas lontano dalle loro grinfie.”
    Shiro sospirò. “Alla fine, sono sempre la debolezza di questo gruppo.”
    “Non è vero,” rispose Keith. “Io non sarei così se non fosse stato per te. Nessuno di noi lo sarebbe stato, senza di te. Tu sei sempre stato la nostra forza, quindi permettici questa volta di essere la tua.”
    “Domani sentirò Sam se conosce qualche buon psicologo per il disturbo da stress post traumatico,” acconsentì Shiro alla fine. “Ma per stanotte, dormirò in soggiorno.”

    Come Shiro aveva promesso, si fece consigliare da Sam una psicologa di fiducia, che accettò con entusiasmo di farsi carico della situazione di Shiro, essendo stata a lungo prigioniera di Sendak. Shiro andò a farsi visitare da lei due volte a settimana e si procurò le medicine per controllare le crisi, anche se continuò a dormire in soggiorno.
    Come Shiro aveva previsto, Dos Santos e i suoi presero immediatamente il polso della situazione, spingendo sul fatto che era meglio se Shiro rinunciava volontariamente al comando dell’Atlas, almeno finché non avesse terminato il suo ciclo di cure.
    “È anche per il suo bene,” dicevano, “così potrà concentrarsi sulla sua salute senza doversi preoccupare di problemi di carattere più amministrativo.”
    Sapevano tutti che erano stronzate, ma anche che non sarebbero riusciti a tenere sotto controllo la situazione ancora a lungo. I Paladini fecero una ricognizione della situazione all’interno dell’Atlas (dov’erano tutti fedeli a Shiro) e della Garrison (dove le cose erano più complesse) e infine si radunarono nel Black Lion per esaminare i fatti.
    “Non credo che possiamo impedire a Dos Santos di chiedere l’allontanamento di Shiro dall’Atlas,” affermò Hunk.
    “Non gli lasceremo portare via l’Atlas a Shiro,” protestò Keith immediatamente.
    “No, sono d’accordo, ma potremo aver bisogno di una piccola ritirata a questo riguardo,” disse Hunk. “Io e Allura abbiamo elaborato un piccolo piano a questo riguardo, in modo da ottenere tutto quello che vogliamo ma facendogli credere che non è così.”
    Keith si voltò verso Allura, e lei annuì. “La nostra idea sia di far dire a Shiro che rinuncia volontariamente al comando dell’Atlas per curarsi, che poi è quello che vuole Dos Santos. Successivamente a questo, tu Keith, in qualità di Leader di Voltron, farai presente che Voltron lascerà la Terra per andarsi a radunare alla resistenza nello Spazio.”
    “Vogliamo farlo davvero?”
    “Ovviamente no,” rispose Pidge. “Il nostro scopo è che ci permettano di costruire la tecnologia dei portali. Useremo questa scusa per forzare loro la mano, diremo che dato che si deve entrare in contatto con queste popolazioni, com’è compito di Voltron, allora dovremo spostarci noi dato che loro non vogliono.”
    “Dovrai usare la tua parte Galra, Keith,” aggiunse Hunk. “Dovrai far presente che tu appartieni a due etnie, e che quindi devi anche render conto a loro, e che ora l’Impero più che mai ha bisogno di essere controllato. Non gli piacerà, temeranno che vorrai riunire i Galra sotto Voltron, e ci chiederanno di mandare l’Atlas con noi.”
    “A quel punto accetteremo con entusiasmo,” continuò Allura, “ma, solo a condizione che chiunque sia il nuovo capitano dell’Atlas sia anche in grado di trasformarlo in un mecha, altrimenti nello spazio, se incontrassimo altri mecha come quello che abbiamo affrontato sulla Terra, rischierebbe di essere distrutto.”
    Keith sorrise, capendo finalmente dove stavano andando a parare. “E nessun altro a parte Shiro è in grado di fare una cosa del genere.”
    “Ovvio,” Lance sbuffò. “Nessuno è all’altezza di Shiro qui, è ridicolo anche solo il fatto che stiano davvero pensando di sostituirlo.”
    “In questo modo,” terminò Allura, “se vogliono farci partire, saranno costretti a reintegrare Shiro, se non vogliono farci partire saranno costretti ad accettare l’implementazione della tecnologia per i portali sull’Atlas. Per noi, in ogni caso, è un win win.”
    “Sarebbe meglio la seconda,” disse Pidge.
    “Ma così Shiro non sarebbe più il Capitano dell’Atlas,” fece presente Keith.
    “Troveremo il modo di reintegrarlo successivamente, tanto nessuno è in grado di pilotare come lui,” rispose lei. “Ma abbiamo bisogno di aiuto qui sulla Terra, adesso. Abbiamo bisogno di quel portale. E Shiro potrebbe dedicarsi unicamente a stare meglio, ha bisogno di tirare il fiato. Da dopo la sconfitta di Sendak non ha avuto un attimo di riposo.”
    Keith annuì. “Shiro lo sa? È d’accordo con questo piano?”
    “Gliel’ho accennato, e mi è sembrato d’accordo,” disse Allura, “ma prima volevamo essere sicuri che anche a te andasse bene, non solo per Shiro ma anche per tutta la questione dei Galra…”
    “No, va bene,” affermò Keith. “Facciamolo.”

    Come Allura e Hunk avevano preventivato, Dos Santos e i suoi non volevano che Voltron lasciasse la Terra senza controllo, ma d’altro canto non volevano nemmeno interrompere la loro campagna denigratoria nei confronti di Shiro e della sua malattia mentale chiedendogli di tornare immediatamente a capitanare l’Atlas, per cui chiesero a Keith e agli altri paladini di attendere il tempo di valutare dei possibili candidati per la posizione di capitano dell’Atlas, cosa che Keith finse di accettare con piacere.
    Nonostante questi colloqui fossero assolutamente confidenziali, Veronica non si fece problemi a passarli a Keith sul suo Datapad, e Keith a mostrare a Shiro scene di persone che, sul ponte di comando, gridavano ordini, facevano strani balletti o danze, o yoga, nella vana speranza di far trasformare l’Atlas.
    Fu una settimana intensa e divertente.
    Poi, Dos Santos comunicò a malavoglia che, stante l’impossibilità di trovare un candidato addestrato in breve tempo, avrebbe dato il suo appoggio alla costruzione del sistema per aprire i portali, purché il consiglio fosse sempre informato ogni volta che Allura necessitava di utilizzarlo.
    “Stiamo attenti,” disse comunque Allura al termine di un altro dei loro meeting segreti, “abbiamo vinto una battaglia, ma Dos Santos non rinuncerà all’idea di dare l’Atlas e i Leoni a qualcuno di sua fiducia.”

    Sei mesi dopo, la situazione sembrava essersi assestata.
    I portali avevano permesso il passaggio dalla Terra a ogni angolo dell’universo, in modo da ricevere aiuti come cristalli (i piloti degli MFEs avevano potuto finalmente provare l’ebbrezza di pilotare una navicella stimolata con vera potenza) e tecnologia di ricostruzione, mentre Voltron poteva andare in loro aiuto se gruppi di Galra cercavano di attaccare pianeti o la resistenza.
    Kolivan sosteneva che c’era bisogno di Voltron non più sulla Terra ma nell’universo, a recuperare tutti i gruppi di Galra che ormai non avevano più una guida, e indubbiamente questa era anche l’intenzione di Allura, fermare ogni possibile scalata di un nuovo Impero Garla. Keith esitava, Shiro faceva possibili piani per la partenza che passava a Iverson di nascosto.
    Poi, un giorno, Keith ricevette una chiamata dalla psicologa di Shiro. Preoccupato, si precipitò nel suo studio, ma Shiro non c’era.
    “No,” disse la psicologa, indicando la sedia di fronte alla sua scrivania. “L’ho chiamata perché vorrei parlare con lei.”
    “Di Shiro?” domandò lui, e si sedette un po’ stupito.
    Lei annuì. “Ovviamente non ho intenzione di rivelarle nulla di quello che il Capitano Shirogane mi ha rivelato nella confidenza del nostro rapporto professionale,” spiegò, “ma mentre la sua guarigione prosegue spedita, credo che sia importante che lei diventi una parte fondamentale di questo percorso.”
    “Sono disposto a fare tutto, per Shiro.”
    “Di questo ne sono venuta a conoscenza dettagliatamente durante queste sedute,” ridacchiò lei. “E non mi fraintenda, è positivo che il Capitano Shirogane, vista la sua situazione, abbia qualcuno su cui contare. Ma dall’altro lato questa situazione potrebbe diventare deleteria.”
    “Deleteria?”
    “Il disturbo post traumatico del Capitano involve numerosi fattori, e posso candidamente ammettere che si tratta di un caso unico nel suo genere. Probabilmente, un’altra persona con meno forza di volontà della sua sarebbe già crollata.” Poi guardò Keith fisso negli occhi, “lei lo ha salvato in diverse occasioni, è vero?”
    “Penso di sì. Lui avrebbe fatto lo stesso per me. Anzi,” si corresse immediatamente, “lo ha fatto, in passato.”
    “Quand’è l’ultima volta che il Capitano l’ha salvata?” domandò la psicologa.
    Keith ci pensò. “Penso che sia quando è riuscito a trasformare l’Atlas in un mecha per difendere Voltron dall’altro mecha che ci stava attaccando.”
    “No, parlavo di salvare lei specificatamente.”
    Keith si accigliò. “Non so esattamente questo cosa abbia a che fare…”
    “Mi risponda, prego.”
    “Non… non mi ricordo,” disse Keith. Poi si illuminò, “ah, sì, è stato quando ha fatto venire il Black Lion a prendermi quando la fabbrica dei cloni era stata distrutta. Lei sa della fabbrica dei cloni, vero?”
    “Lo so, e anche se non posso scendere nei dettagli, ho l’impressione che il capitano ricordi questo particolare salvataggio in maniera molto differente.”
    “Era nel piano astrale, forse ha la memoria un po’ confusa,” disse Keith. “Ha portato il Black Lion a prendermi, e poi mi ha aiutato anche a svilupparne i poteri in modo che potessi raggiungere gli altri non più facilità. E ha salvato se stesso, dato che avevo il corpo del clone con me.”
    “Capisco,” annuì la psicologa. “E quand’è l’ultima volta che lei ha salvato il capitano?”
    “Con Sendak, direi.”
    “E com’è andata?”
    “Be’, Shiro ci stava combattendo, li ho visti, era in difficoltà e mi sono precipitato ad aiutarlo…”
    “Non nota delle differenze nelle due situazioni?”
    “No?” E poi, sentendosi stupido, “dovrei?”
    “Probabilmente no, dato che lei non ha tutte le confidenze che ho io, e io non gliele posso rivelare,” disse la psicologa, con un sospiro. “Quello che mi ha detto potrebbe essermi utile nelle sedute successive, quindi la ringrazio. Però la pregherei di prestare davvero attenzione a quello che sa del capitano, e da come quindi potrebbe prendere alcuni determinati fatti del vostro rapporto.”
    Gli porse la mano, e Keith lo prese come segnale che la conversazione era finita. Ma continuò a rimuginarci per tutta la settimana, finché non comprese una cosa: forse Shiro aveva iniziato ad avvertire i salvataggi di Keith come un peso a cui non poteva ricambiare. Da una persona che aveva difficoltà ad ammettere le proprie debolezze, era una seria possibilità.

    “Credo di sapere che cos’ha in mente Dos Santos,” disse Pidge, e ficcò in mano a Keith un volantino informativo.
    “Che cos’è?” domandò Keith. Lo aprì: sembrava un manifesto contro i Galra, e apparentemente c’era anche il suo nome scritto da qualche parte.
    “È un gruppo mezzo organizzato di persone che sono razziste verso i Galra,” spiegò Pidge. “Hunk e Allura hanno cercato di contribuire a un’informazione corretta, tramite documentari delle imprese delle Blades e anche sulla biografia della tua storia, ma sai com’è, a volte la gente sente quello che vuole sentire.”
    “E Dos Santos con loro cosa c’entra?”
    “Ovviamente questo gruppo non è favorevole alla tua permanenza come leader di Voltron, a causa della tua discendenza Galra. Inutile dire che Dos Santos sta tentando di cavalcare questo malcontento per avere la possibilità di assegnare il Black Lion a uno dei suoi.”
    “Black non sceglierà mai qualcuno di loro,” disse Keith. “Se proprio dovesse stancarsi di me, riprenderà Shiro.”
    “Be’, Dos Santos è convinto del contrario. E penso che possa incorrere in qualche… mossa più estrema per provare il suo punto. Stai attento.”

    La mossa più estrema, a quanto pareva, era un rapimento.
    Keith si ritrovò circondato da un gruppo di persone armate e mascherate durante uno dei suoi normali controlli agli orfanotrofi della zona, compito che aveva preso su di sé ben volentieri. Quello che sembrava il capo di quegli uomini armati gli intimò di arrendersi e di seguirli a bordo di un furgone.
    L’intera situazione era surreale, perché Keith aveva cin sé sia il suo coltello, sia il suo bayard, poteva chiamare il suo lupo in qualsiasi momento e anche Black, nonostante fosse rimasto parcheggiato alla Garrison. Che queste persone pensassero davvero di rapirlo con facilità voleva dire che la persuasione di Dos Santos era più efficiente di quello che pensavano.
    Però Keith alzò le braccia. “Non vi preoccupate,” disse ai bambini, che stavano osservando la scena con gli occhi spalancati, “qualunque cosa succeda il Capitano Shirogane salverà la situazione.”
    Perché quello che a Keith importava non era fare bella figura, ma sapere che Shiro stava guarendo.
    I banditi gli legarono le mani dietro la schiena, gli misero un sacco nero sulla testa e poi lo spinsero a forza nel furgone e partirono. Dal tempo che impiegarono per raggiungere la loro base, Keith ipotizzò che la base in questione non fosse troppo distante dalla città vicina alla Garrison, anzi, probabilmente era all’interno degli edifici ancora ridotti in macerie.
    Keith fu fatto scendere dal furgone, spinto in una stanza, dove venne legato meglio a una sedia, ma gli venne tolto il sacco nero, in tempo per vedere che avevano allestito una specie di sala conferenze per la trasmissione in internet. Un altro grosso errore: Pidge li avrebbe trovati in meno di cinque minuti.
    Evidentemente non avevano paura, perché sistemarono meglio le luci e la telecamera, quindi due uomini armati e mascherati si misero al fianco di Keith, e davanti a lui fu sistemato un datapad da cui poteva leggere una dichiarazione.
    “Vogliamo che tu la legga alla telecamera.”
    “E se non volessi?” domandò Keith.
    “Penso che tu ci tenga alla tua vita.”
    “La vostra dichiarazione è stupida,” gli fece presente Keith. “Nessuno di noi può decidere chi pilota i leoni tranne i leoni stessi. Anche se dovessi dire che rinuncio, anche se tutti i paladini dovessero dirlo, non significherebbe niente. Potrebbero benissimo scegliere un altro Galra, o nessun terrestre. In passato, non c’erano terrestri a pilotare Voltron, adesso ce ne sono tre e mezzo, potete accontentarvi.”
    “Non vogliamo galra di merda o altri alieni su Voltron. Ora leggi.”
    “No.”
    L’uomo alzò la mano, come se fosse pronto a colpirlo, e Keith lo fissò negli occhi come a sfidarlo, ma il colpo non arrivò mai, perché la porta venne buttata giù con un calcio e Shiro e Lance comparvero al di fuori di essa, entrambi con la loro armatura. Da distanza, Lance colpì i due uomini armati, disarmandoli, mentre Shiro balzò in avanti e usò il suo braccio meccanico per far schiantare l’ultimo uomo contro il pavimento.
    “Stai bene?” domandò Shiro, accarezzandogli il viso per controllare che non gli fosse successo nulla.
    “Per favore, la smettiamo?” attirò la loro attenzione Lance. Con una punta di imbarazzo, Shiro slegò le corde che tenevano legato Keith.
    “Come mi avete trovato così in fretta?” domandò Keith.
    “Dall’orfanotrofio ci hanno avvertiti subito e Pidge ha fatto una ricognizione tra i sensori della tua armatura e il furgone mentre entrava in città. Questi erano degli incapaci.”
    “Bizzarro che tu ti sia fatto catturare,” commentò Lance, con una finta presa in giro.
    “Be’, capita anche ai migliori,” disse Keith, e benché non ce ne fosse bisogno lasciò che Shiro lo aiutasse ad alzarsi. “Credo che queste persone siano state spinte a farlo da Dos Santos, o da qualcuno dei suoi. Potremo avere una leva per toglierci il suo fiato dal collo per un po’.”
    “Speriamo,” disse Lance, “vado a controllare gli altri così poi possiamo trasportare tutta la banda alla base.”
    Una volta che se ne fu andato, Keith si voltò sorridendo verso Shiro e disse, “ma tu non eri in congedo?”
    “Tecnicamente ferie pagate, tutte quelle che non ho usufruito in passato,” scherzò Shiro. “Ma pretendevi che non venissi a salvarti?”
    “Se ero tranquillo era proprio perché sapevo che saresti venuto,” rispose Keith. “Ci hai solo messo molto meno di quello che avevo preventivato.”

    La sera, Keith sentì la porta della camera aprirsi, e Shiro comparve sulla soglia. Keith era a letto, il lupo accoccolato in un angolo, stava leggendo un articolo sul datapad. Era una storia dettagliata, creata su misura da Allura, su come Shiro lo avesse eroicamente salvato, dimostrando di essere in possesso di tutte le sue facoltà mentali, per quanto ne dicessero gli altri.
    “Posso dormire con te stasera?”
    “Guarda che questa è camera tua.”
    “Lo so, ma…” E agitò le braccia, per far capire a Keith che intendeva far riferimento all’incidente dell’ultima volta.
    “Quello non è mai stato un problema, per me,” disse Keith. “E poi sono passati più di sei mesi. Non hai mai più avuto un attacco da quando prendi le medicine, no?”
    “No,” confermò Shiro. “Ho smesso un paio di settimane fa, la psicologa ha detto che ero pronto. L’ho informata di quello che è successo oggi, ha detto che è stata una buona conferma che sto bene.”
    “Sono contento per te, Shiro.”
    Si scostò e gli lasciò il posto: Shiro si sdraiò al suo fianco, comunque per sicurezza spense il braccio meccanico, e poi si accoccolò contro la sua schiena, un braccio attorno alla sua vita e la testa appoggiata contro i suoi capelli. Keith allungò il braccio per spegnere la luce.
    Per un po’, nella stanza non si sentì altro rumore che i loro fiati leggeri, ma da quella vicinanza Keith poteva avvertire il battito del cuore di Shiro e il fiato caldo che gli solleticava il collo. Poi Shiro si mosse leggermente.
    “Dimmi, Keith,” sussurrò all’orecchio di Keith. “Ti sei fatto catturare apposta per farti salvare da me?”
    Keith trattenne il fiato per un secondo, non era bravo a mentire. “Sì. Volevo che sapessi che non ho mai dubitato che l’avresti fatto. Tu non hai problemi mentali, Shiro, e non se la debolezza di nessuno.”
    Shiro si accoccolò di più contro di lui. “Grazie,” disse solo, e poi crollò in un sonno profondo, il sonno di chi ha finalmente trovato un po’ di pace. Anche Keith immaginò che avrebbe dormito bene come non aveva fatto da mesi.
     
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