Rimpianti

[Voltron Legendary Defender] collegata a "Rimorsi"

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    Era vero che Shiro considerava la sua vita noiosa, ora che aveva rinunciato al servizio attivo e che il suo lavoro alla Garrison si esauriva nell'essere un insegnante e il, più delle volte, il poster boy per il recrutamento. Ma era anche vero che essere rapito dagli alieni non era esattamente quello che aveva chiesto per liberarsi un po' dalla noia della routine.
    Non aveva nemmeno capito come potesse essere successo.
    Un momento prima si stava dirigendo alla caffetteria della Garrison per prendersi un milkshake cioccolato e panna (cosa per cui Adam lo avrebbe sgridato poi, perché non voleva che andasse in giro da solo, ma ne sarebbe valsa la pena), un momento dopo si era risvegliato all'interno di quella che pareva una cassa da morto, per quanto ipertecnologica, e per un attimo aveva temuto di aver avuto un infarto improvviso in caffetteria e di essere stato dato per morto.
    Solo la sua autodisciplina gli aveva permesso di tenere l'ansia sotto controllo e di rendersi conto che benché si trovasse in un luogo chiuso e stretto, l'aria passava senza problemi. Solo allora aveva provato a farsi sentire e a battere contro il coperchio della bara. Ma quando questo era stato aperto, Shiro si era trovato al cospetto di alieni dalla pelle viola e pelosa, che avevano sentinelle robot al loro servizio, e che lo chiamavano Paladino. Era come essere finiti in un brutto film di serie Z.
    Ora, nella cella dov'era stato rinchiuso, Shiro osservava le pareti metalliche e la soffusa luce viola, e si osservava il corpo: era sparito lo stimolatore muscolare (per fortuna il dolore al braccio era al momento sopportabile) e al posto della sua uniforme stava ora indossando una armatura con uno strano simbolo sul petto. Era anche bella, Shiro pensò, ma avrebbe voluto capire chi o perché gliel'avesse messa.
    Poi la porta della cella si aprí e una figura venne spinta all'interno. Indossava, Shiro notò subito, la sua stessa tipologia di armatura, ma di un diverso colore, il rosso, e aveva anche un elmetto in testa che ne nascondeva in parte la fisionomia. Ma quando la figura alzò la testa e Shiro poté guardarla in faccia attraverso la visiera in vetro, ebbe la seconda sorpresa della giornata.
    "Keith..."
    Improvvisamente, la sua presenza rassicurò Shiro.
    "Shiro! Stai bene-" E poi Keith si bloccò, lo guardò in viso con un'espressione sorpresa e incredula.
    "Ho qualcosa in faccia?" Chiese Shiro, con una risatina per stemperare l'attenzione.
    "No," rispose Keith, serio, che a volte mancava di senso dell'umorismo. Prese la mano destra di Shiro, coperta dal guanto dell'armatura, e la toccò e palpò con attenzione.
    "Sto bene," gli disse Shiro, quasi stupito da quella preoccupazione che era più tipica di Adam. "Di recente non ho avuto peggioramenti, posso stare qualche ora senza lo stimolatore senza avere degli spasmi."
    Keith tornò a guardarlo perplesso, ma annuí e gli lasciò il braccio.
    "Tu sai cosa sta succedendo, Keith?" Chiese Shiro allora. "L'ultimo ricordo che ho è della caffetteria della Garrison, ed era tutto normale. Siamo stati davvero attaccati dagli alieni? E gli altri? E Adam?"
    "Adam? La Garrrison?" Keith sembrò ancora più confuso, ma poi scosse la testa. "Parleremo dopo. Adesso dobbiamo uscire da qui."
    "Va bene. Qualche idea?"
    La porta della cella si aprí sibilando, e comparvero uno degli alieni viola e due sentinelle robot. Keith si frappose fra loro e Shiro, in posizione di difesa.
    "Uscite, il comandante vuole vedervi."
    Keith annuí, e fece come gli era stato ordinato. Ma quando fu sulla soglia della porta, due luci sulla sua gamba si illuminarono, e una spada comparve nella sua mano destra: perforò il petto di una delle due sentinelle, poi girò su se stesso per usare il corpo come scudo, e dopo lo lanciò contro l'alieno. Tagliò a metà la seconda sentinella, mentre uno scudo che sembrava un campo di forza gli comparve sul braccio sinistro, e con un altro calcio mise fuori combattimento definitivamente l'alieno.
    "Dove hai imparato a farlo?"
    Keith non rispose, passò lo sguardo fra le sentinelle cadute e Shiro, quindi disse, "usa questa per ora." Passò a Shiro la sua spada, che nelle sue mani si trasformò, rimanendo sempre una spada ma di forma diversa. Per sé Keith prese una delle pistole delle sentinelle. "Andiamo."
    Seguirono il corridoio, Keith sapeva evidentemente dove andare e Shiro lo seguí con circospezione, imparando che anche dalla sua armatura poteva far comparire uno scudo. Nel corso della loro fuga dovettero affrontare altri alieni, per la maggior parte se ne occupò Keith ma Shiro pensò che aveva dato il suo contributo, per quanto non sapesse bene che cosa stava facendo, ma si trovava a suo agio con quella spada in mano. E suo malgrado, sorrise, era da tanto che non aveva quell'adrenalina in corpo.
    Nell'hangar Keith non puntò a nessuna delle navicelle normali ma fece salire Shiro a bordo di quella a forma di Leone Rosso, e poi sfondò il cancello per uscire nello spazio aperto. Nonostante la situazione, Shiro rimase a bocca aperta: non solo era su una navicella con Keith, e lo vedeva finalmente pilotare, ma erano nello spazio aperto, in una zona che nemmeno Shiro, che era un appassionato di costellazioni, riconosceva.
    Contro la nave degli alieni c'erano altri tre leoni, tutti di colore diverso.
    "Keith! Accidenti a te, perché non ci hai aspettato? Ti sei fatto catturare, vero?" Si lamentò una voce.
    "Stai bene?" Disse un'altra. "Shiro è con te?"
    "È con me," confermò Keith.
    "Puoi portarlo a prendere il Leone Nero?" Chiese una terza voce.
    "No. Shiro non può combattere adesso," disse Keith. "Allura, mi senti?"
    "Ti sento," rispose una voce femminile.
    "Apri un portale, dobbiamo allontanarci da qui."
    "Va bene."
    Shiro osservò con stupore quando nello spazio si formò un cerchio, simile ai portali che aveva visto in film come Stargate. I leoni ci entrarono a uno a uno e bastò quello a far raggiungere loro una porzione di universo completamente diversa. Dopo di loro arrivò un'altra navicella super tecnologica, e poi il portale si chiuse.
    "Ci vediamo alla base," disse Keith, e i leoni, a uno a uno, entrarono all'interno della navicella.
    Shiro era davvero, davvero curioso di capire come Keith fosse diventato una specie di super agente spaziale e pilotasse un leone del genere. Forse la Garrison aveva avviato un programma spaziale segreto e lui non ne era stato informato, ma ovviamente Keith si in quanto neo diplomato all'accademia dei piloti di caccia.
    Ma quando scesero dal leone rosso, le domande si affastellarono maggiormente, perché oltre ad essere accolti da tre terresti con le armature dei colori dei loro leoni, c'erano anche altri due alieni, diversi da quelli viola, ma senza dubbio alieni, con le orecchie a punta e gli strani marchi sotto gli occhi.
    "Ehi, Shiro, ci hai fatto preoccupare!" Disse quello vestito di Blu, poi si bloccò, e Shiro si accorse che tutti lo stavano guardando sorpresi. "Che hai fatto ai capelli? E alla faccia?"
    "Io non credo che questo sia il nostro Shiro," disse Keith, e nel dirlo non stava guardando Shiro in faccia.
    "Oh. Ooooh, adesso mi ricordo," disse l'alieno maschio con i baffi arancioni. "Mi ricordo a cosa serviva quella macchina."
    "Intendi la strana bara in cui era stato rinchiuso Shiro?" Domandò blu.
    "Esattamente! Fra i nojah era molto in voga, perlomeno una decina di millenni va, la prova sui rimorsi e i rimpianti. La persona si metteva dentro il sarcofago rituale e viveva per qualche momento un'altra vita, come sarebbe stata se avesse fatto una scelta diversa."
    "Quindi questo è lo Shiro di un'altra vita?" Chiese quello vestito di giallo, passando lo sguardo da Shiro all'alieno.
    "Esattamente!" Confermò l'alieno. "Quello che i nojah comuni consideravano spirituale era in realtà provocato dalla tecnologia. Loro attivavano la macchina, e la persona all'interno si scambiava di posto con quella di un'altra dimensione. Lo scambio durava poco, il tempo per l'altra persona di capire le differenze. E ovviamente non era previsto che la macchina venisse aperta prima che la persona tornasse nella sua corretta dimensione."
    "Ma qui i nojah hanno tentato di vedere Shiro ai galra, i galra hanno aperto il sarcofago e quindi lo scambio è rimasto?" Domandò l'aliena donna. "Vuoi dire che Shiro, il nostro, è intrappolato in un'altra realtà?"
    "Oh oh, ebbene sí," poi l'alieno arancione capí di essere un po' troppo entusiasta e finse un'espressione contrita. "Un vero peccato."
    "Ma se recuperiamo la macchina e mettiamo questo Shiro dentro, non riusciamo a recuperare il nostro?" Chiese quello vestito di verde. "L'abbiamo lasciata su Nojah, no? Senza offesa, Shiro," aggiunse al suo indirizzo, "ma non possiamo sapere se le realtà collassino l'una sull'altra a causa di questi scambi, credo che sia meglio per tutti se ognuno ritorna al suo posto."
    Shiro non sapeva bene come rispondergli, aveva ascoltato tutta la loro conversazione ma aveva ricevuto cosí tante informazioni tutte assieme che non sapeva come mettere assieme bene alieni, un altro Shiro, un'altra realtà.
    "Bene," disse Blu. "Allora andiamo a recuperare la macchina da Nojah!"
    "Tutto bene?" Sussurrò allora Keith a Shiro, una mano poggiata sulla sua spalla, mentre gli altri continuavano a chiacchierare fra di loro.
    "Penso di sí? È tutto cosí confuso..." Poi fece un sospiro. "Qual è la decisione che lo Shiro di questa realtà ha voluto mettere alla prova? Lo sai?"
    Keith annuí gravemente. "Kerberos."
    Oh, certo. Ovvio che era Kerberos, quello era stato il punto di svolta della vita di Shiro, e non era strano pensare che lo fosse stato anche per lo Shiro di questa dimensione. "C'è andato?"
    "Si."
    "Raccontami tutto."
    E Keith lo fece. Mentre gli altri si organizzavano per recuperare la macchina, Keith portò Shiro nella sua stanza e gli disse tutto, di come Shiro non avesse accettato l'ultimatum di Adam e avesse deciso di partire comunque (nella sua realtà, le cose non erano arrivate a quel punto limite, Shiro si era lasciato convincere molto prima), di come ci fosse stato ugualmente lo schianto attribuito a un errore di Shiro, con conseguente espulsione di Keith dall'accademia (dove Keith invece si era diplomato, perché a morire non era stato Shiro), di come Shiro fosse tornato dopo un anno di prigionia, coi capelli in parte bianchi, la cicatrice sul naso, il braccio di metallo ma apparentemente guarito dalla malattia, di come Keith l'avesse recuperato dalla Garrison e insieme agli altri cadetti avessero trovato il leone blu e ora stessero combattendo gli stessi alieni che avevano rapito Shiro che poi erano anche della specie di conquistatori spaziali.
    "Wow. Wow."
    "Stai bene?" Gli domandò Keith.
    "A parte il fatto che sono momentaneamente bloccato in una realtà alternativa e che apparentemente ho appena scoperto di aver preso una decisione stupida che mi ha rovinato la vita e forse condannato l'universo, si, tutto bene."
    Keith lo guardò con uno sguardo dolce. "Non hai preso una decisione stupida, era quella che ti sentivi in quel momento. Non credo tu abbia mai fatto cose senza volerlo."
    "No..." Shiro abbassò lo sguardo e pensò al suo Keith, che l'aveva sempre supportato anche se gli aveva detto che perdere Kerberos per Adam poteva essere un errore. Eppure il risentimento di Keoth era sempre e solo verso Adam (al punto che Shiro cercava di mediare, lo riteneva ingiusto), e cercò di immaginarsi quel Keith che supportava il suo Shiro oltre la rottura di Adam, per la missione Kerberos, e che lo supportava ancora adesso, dopo tutto quello che Shiro aveva patito.
    Bussarono alla porta. Era Hunk. "Keith, Shiro? Abbiamo trovato la macchina e l'abbiamo rimessa a punto. Possiamo vedere se funziona."
    "Arriviamo," disse Keith, e Shiro immaginò fosse impaziente di riavere indietro il suo Shiro, non quello noioso e malato che aveva adesso.
    "Vorrei non tornare," mormorò, quasi a se stesso.
    "Shiro," Keith disse, deciso, "io sono contento che esista una versione di te che non ha dovuto subire tutto quello che ha subito il mio Shiro. Ma tu sei destinato comunque a grandi cose, lo so. Non lasciarti scoraggiare solo perché un rituale assurdo ti dice che hai sbagliato."
    Suo malgrado, Shiro sorrise. "Grazie."
    Raggiunsero uno dei laboratori che Pidge usava, Shiro salutò e ringraziando tutti aggiunse, "speriamo che funzioni almeno tutto ciò sarà stato imbarazzante," giusto prima di entrare dentro la macchina.
    "Ora la attivo," gli comunicò Pidge.
    "Sii paziente," disse invece Keith, con voce dolce, ricordandogli uno dei suoi insegnamenti.
    Shiro sorrise e si rilassò, e cosí si sentí per un attimo galleggiare, prima che la voce di Keith lo chiamasse e lui si accasciasse in qualche modo nelle sue braccia.
    "Stai bene?"
    Non era più nel sarcofago, ma in quello che sembrava la cabina di pilotaggio di uno dei leoni (non il rosso, però, non ne riconosceva la forma del pannello). Keith, con la sua divisa da ufficiale, lo stava aiutando a rialzarsi, e gli altri, Pidge, Lance e Hunk, lo stavano guardando perplessi. Aveva di nuovo indosso la sua divisa, e lo stimolatore muscolare.
    Era tornato a casa.
    "Siamo... sul leone blu?" Disse.
    "Come fai a saperlo?" Si stupí Keith, e poi capí. "Sei stato nella dimensione dell'altro Shiro?" Lui annuí.
    "Altro Shiro? Dimensioni? Qualcuno mi spiega qualcosa?" Si lamentò Lance.
    "Dopo," disse Shiro. "Adesso dobbiamo aspettare che il Leone Blu ci porti al suo castello, poi tutto sarà chiarito."
    "Non dovremo, tipo, avvisare qualcuno della Garrison?" Si domandò Hunk, ma Shiro scosse la testa, ricordandosi di come era stato trattato il suo alter ego nell'altra dimensione.
    "Non possiamo. Capirete poi."
    Keith gli era al fianco, e si avvicinò ancora. "Nemmeno Adam?"
    "Lui meno di tutti, non approverebbe quello che stiamo per fare, ma io devo farlo."
    Keith annuí. "Io sono dalla tua parte sempre, lo sai."
    "Certo."
    E lo sapeva davvero, che non importa che decisione sarebbe stata presa, in ogni universo ci sarebbe stato un Keith a supportare Shiro.
     
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