Non ho paura di te

[Voltron Legendary Defender]

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    Si svegliò dall’incubo in un bagno di sudore.
    La camera era buia, e silenziosa. Keith individuò nell’angolo Kosmo, che dormiva nella grossa, e poco più lontano, nella branda, Krolia, anche lei appariva addormentata. Invece Shiro non si vedeva da nessuna parte. Con lentezza, i postumi dell’incubo ancora addosso, a rendergli le gambe molli, si alzò e camminò verso la plancia di comando del Leone Nero, laddove si sarebbe andato a rifugiare lui se non fosse riuscito a dormire.
    E infatti lo trovò lì, non seduto sulla postazione del pilota ma per terra, l’armatura ancora addosso (non aveva permesso a Keith di aiutarlo), ma non stava dormendo, aveva lo sguardo languido e guardava verso il vetro della cabina di pilotaggio, lo spazio fuori. Non si voltò nonostante avesse chiaramente sentito avvicinarsi Keith.
    “Stai bene?”
    “Sì.”
    Bugiardo, pensò Keith, ma non lo disse. Si sedette a terra di fronte a lui, gambe incrociate. Fu Shiro il primo a parlare. “Domani vado a stare nel Leone Verde con Pidge.”
    “Perché?”
    Finalmente Shiro si voltò a guardarlo. “Stavi gridando, prima, nel sonno. Chiamavi il mio nome, mi supplicavi di smetterla.”
    “Era solo un incubo.”
    “No, Keith, conosco i sintomi. Quelli sono i postumi di ciò che è successo con il mio clone.”
    Keith non poteva negare che fosse così, che il fantasma della battaglia che aveva affrontato lo stesse ancora tormentando di notte in notte, a ritmo continuo. Ma non poteva pensare che avrebbe sofferto molto di più, la sua paura si sarebbe materializzata in maniera ancora più forte se, nello svegliandosi, non avrebbe trovato più Shiro al suo fianco. Perché quello avrebbe rappresentato la realizzazione dell’incubo nella realtà, mentre lui preferiva scacciarlo nel mondo dei sogni.
    “Lo so che quello non sei tu,” gli disse. “Lo so che non mi faresti mai del male.”
    “Questo non è vero.”
    “Sì, invece. Il clone-”
    “Il clone non c’entra,” ribatté Shiro. “Io ti ho già fatto del male. Tutte le volte che sono morto, e che tu sei venuto a salvarmi…” Poi chiuse gli occhi e sospirò. “Anche io ho la PTSD. E mi sono svegliato nella notte pensando che mi stessero attaccando. Pensavo fosse migliorata, invece la permanenza nel piano astrale l’ha peggiorata. Sono notti che rischio di soffocarti nel sonno, Keith.”
    Keith spalancò gli occhi. “Perché non me l’hai mai detto?”
    “Perché fa male,” disse Shiro, gli occhi lucidi. “Fa male sentirti implorare e pensare che anche io sono come lui. Involontariamente, certo… ma è così. Per questo devo andare. Voglio fare i conti con me stesso, prima.”
    Lentamente, Keith si spostò, e andò a sedersi praticamente in grembo a lui, la schiena contro il suo petto.
    “Non ho paura di te,” gli disse. “Lo so che non mi faresti mai del male.”
    “Vorrei esserne sicuro anche io.” Ma non si scostò da lui, né lo cacciò..
    “Io sarò sempre qui per te, lo sai. Senza paura.”
    Shiro lo avvolse con il braccio e appoggiò la testa sulla sua spalla.
    Dormirono assieme così, quella notte.
     
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