Mi sono innamorato di mio marito

[Voltron Legendary Defender] modern!AU, arranged marriage, tranns charachter, codvir

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    “Sei a casa,” disse Keith, e si accorse che era un commento stupido, per cui aggiunse, “non è orario di lavoro, per te?”
    Erano al tavolo della cucina a fare colazione, Shiro stava leggendo il giornale sul suo tablet e contemporaneamente bevendo una grossa tazza di caffè, mentre le briciole del suo muffin giacevano sparse per la tavola. Keith era appena uscito dalla sua stanza, tutto vestito, pronto per andare in università.
    “Sì, ma purtroppo due giorni fa è morto un nostro collega e quindi abbiamo preso la mattina libera per poter andare al funerale. Matt viene a prendermi in macchina fra mezz’ora.”
    “Mi dispiace.” Keith aprì il frigo e si chinò per prendere il latte; di recente aveva preso a indossare pantaloni di pelle attillati che sottolineavano le sue bellissime gambe e il suo bellissimo culo. Shiro concentrò il suo sguardo sulla sua tazza. “Vuoi che venga con te?”
    “No, non è importante, non hai lezione oggi?”
    “Sì, ma non è un corso di quelli obbligatori, basta che faccia i laboratori oggi pomeriggio,” rispose Keith, mentre si versava il latte nella tazza, coprendo completamente i cereali. “Tanto è il corso che ho con Lance, posso chiedere a lui gli appunti. Magari fa strano se tuo marito non viene?”
    I colleghi di Shiro avevano sempre trovato strano che si fosse sposato di nascosto in Giappone senza dire nulla a nessuno, soprattutto Matt si era arrabbiato per non aver potuto organizzare la sua festa di addio al celibato.
    “No, non credo. Anche la ragazza di Matt non viene.”
    “Come vuoi.”
    Keith terminò la sua tazza di cereali, fece un rapido salto in bagno, prese il suo zaino e poi poggiò un leggero bacio sui capelli di Shiro prima di scappare fuori della porta.
    Shiro sentì un tremore dentro di sé.
    E sospirò, arrendendosi all’evidenza: era innamorato di suo marito.

    Shiro e Keith si erano conosciuti nel modo più tradizionale possibile, eppure, paradossalmente, anche in quello meno probabile per due persone come loro per conoscersi: durante on Omiai.
    I nonni di Shiro, unici parenti rimasti dopo la morte dei suoi genitori, non si erano mai rassegnati al fatto che il loro nipote prediletto (nonché unico) fosse gay. Non importa quanto gli avessero detto di accettarlo, di non preoccuparsi, non importava nemmeno che Shiro, in diverse occasioni, gli avesse presentato il fidanzato del momento, ultimo di questi proprio Adam. I nonni erano gentili, accoglienti, ma dentro di loro credevano sempre che sarebbe stata una fase momentanea, che Shiro un giorno “avrebbe messo la testa a posto” e si sarebbe trovato una ragazza di buona famiglia da sposare.
    E sebbene cercassero di non darlo a vedere, accoglievano ogni naufragare delle relazioni di Shiro come un segno che quelle coi ragazzo erano destinate a essere relazioni momentanee e nulla più, anche se Shiro li aveva chiamati nel cuore della notte per lamentarsi della rottura con Adam, che era addirittura venuto a trovarli in diverse occasioni.
    Ma il loro “non ti meritava, vedrai che troverai una persona migliore” suonavano sempre troppo etero alle orecchie abituate di Shiro. Voleva bene ai suoi nonni, e sapeva che erano cresciuti in un altro periodo, per cui li lasciava fare e continuava per la sua strada.
    Certo non si aspettava che, a tradimento, i suoi nonni gli organizzassero un omiai. Era tornato dal Giappone da un paio di giorni, per le solite vacanze estive, e nell’aria non c’era alcun sentore della situazione, anche se, col senno di poi, aveva sentito i nonni bisbigliare in salone, mentre lui faceva colazione in cucina e non riusciva a capire esattamente quello che si stavano dicendo.
    Poi sua nonna era scesa, portando con sé uno degli abiti migliori di Shiro, uno di quelli per le grandi occasioni. Sia lei sia il nonno erano già vestiti di tutto punto, lei con un kimono che Shiro non ricordava di averle mai visto addosso.
    “Dobbiamo andare in un posto, Takashi,” le aveva detto sua nonna. “Per favore, metti questo.”
    “È un funerale?” aveva chiesto Shiro, quasi scherzando, ma la nonna era rimasta quasi scandalizzata.
    “No, no, è una cosa bella, vedrai.”
    Di nuovo, Shiro avrebbe dovuto sospettare della situazione, ma amava troppo i suoi nonni. Indossò il vestito buono, e seguì i nonni dovunque dovessero andare. Il nonni guidò fino a una villa ai confini della città, e Shiro la riconobbe perché era abbastanza popolare tra i ragazzi del quartiere.
    “Questa è villa Kogane,” disse suo nonno, mentre scendevano dall’auto. “Hanno una nipote che ha perso i genitori come te. Ha quattro o cinque anni meno di te, ed è una bellissima ragazza.”
    “Oh, no,” disse Shiro, finalmente capendo. “Non avrete.” Ma poi li fissò e capì che sì, avevano. “Io torno a casa.”
    Fece per tornare nell’auto, ma sua nonna lo bloccò per un braccio. “Per favore, Takashi, che figura ci fai fare se te ne vai adesso? Almeno incontrala. Potrebbe piacerti.”
    Shiro sospirò: era veramente inutile discutere a quel riguardo, c’era poco da fare. A sua nonna non entrava in testa che il problema erano le donne in generale e non il non aver trovato la donna giusta. Ma amava i suoi nonni e alla fine acconsentì.
    “Shirogane-san, prego.”
    Dopo le presentazioni di rito, Shiro fu accompagnato nella sala dell’incontro: Kumiku Kogane era già seduta ad aspettarlo, con un lungo kimono rosso che le copriva totalmente le gambe. Era, come aveva detto suo nonno, una donna bellissima, con lunghi capelli neri e un viso delicato da bambola, accentuato dalla acconciatura tradizionale e dal trucco leggero. Accolse Shiro con un breve inchino.
    Ma quando furono finalmente soli, Shiro seduto davanti a lei e al tavolino dov’era stato servito il tè, Kumiku alzò il viso e lo fissò con i suoi grandi occhi azzurri, decisi, pieni di fiamme.
    “Ho accettato questo omiai perché i miei zii hanno insistito, sono tradizionalisti, ma io non ho intenzione di sposarmi,” disse. “O per lo meno, sposarmi in quanto donna. Sono transessuale, e sono un uomo. I miei zii non sono ancora riusciti ad accettarlo, ma credimi quando ti dico che non sono la moglie che fa per te. Sono sicura che sia pieno di donne giapponesi là fuori interessate a sposarti.”
    “Oh,” disse solo Shiro, sbattendo le palpebre. La giornata stava diventando sempre più strana.
    “Ti ho detto tutto quello che dovevo dirti, quindi è meglio che la finiamo qui.”
    “Sono gay,” disse Shiro, perché tutta quella situazione lo aveva lasciato un attimo confuso.
    “Oh,” fu il turno di Kumiku di stupirsi. “Bene, cioè… perché hai organizzato questo omiai allora?”
    “Non sono stato io, sono stati i miei nonni, sono ancora convinti che io non abbia trovato la donna giusta,” sospirò stancamente Shiro. “Hanno organizzato tutto a tradimento, fosse stato per me non sarei nemmeno mai venuto.”
    Kumiku, che aveva fatto per alzarsi, si risedette. “A quanto pare, pur in errore, hanno trovato qualcosa in comune fra di noi.”
    “Già. Qual è il tuo nome?” domandò Shiro, “il tuo vero nome,” e finalmente un sorriso si aprì sul volto di Kumiku.
    “Keith.”
    Chiacchierarono per tutto il pomeriggio, e poi si scambiarono i numeri di telefono. Shiro tornò a casa con i nonni estremamente soddisfatti, e per il resto della sua permanenza non venne più disturbato.

    “Ti posso chiedere un favore?”
    Era sera tardi, Shiro era già nel suo letto, e l’unica ragione per cui era ancora sveglio era che stava terminando il primo libro di una saga che lo aveva preso particolarmente e che avrebbe sicuramente consigliato a Keith non appena l’avesse finita, con una delle sue recensioni mega-entusiaste.
    Keith era sulla soglia, il suo computer portatile in equilibrio sul braccio destro e aveva socchiuso leggermente la porta, quel tanto che bastava a farsi vedere, ma non abbastanza da vedere Shiro all’nterno, per ragioni di privacy.
    “Certo, vieni,” rispose Shiro immediatamente, mentre metteva in stand-by l’e-reader e lo appoggiava sulla comodina.
    Pensava che Keith dovesse chiedergli qualcosa sulle lezioni universitarie, invece Keith disse, “ti dispiace fare una videochiamata ai miei zii assieme a me? Chiedono sempre di te e non vorrei si stessero insospettendo. Io dico sempre che hai molto lavoro da fare, ma sai…”
    “Oh, ma certo,” disse immediatamente Shiro. “Non c’è nessun problema.”
    In effetti, avrebbero dovuto pensarci e rendere l’intera questione un attimino meno palese: dormivano separati, ovviamente, ma questo non era ciò che gli zii si sarebbero aspettati.
    “Vogliamo andare in salotto o in cucina?” propose Shiro.
    “No, qui va benissimo,” rispose Keith.
    Era rimasto sulla soglia, ma a quelle parole si avvicinò al letto. Shiro gli fece segno di accomodarsi, mentre si spostava lateralmente (aveva un letto matrimoniale, si stava comodi in due), ma Keith, invece di accomodarsi sulla parte libera del letto, si mise esattamente dov’era Shiro, spingendo le sue gambe dai due lati e sedendovisi in mezzo.
    “Così è più credibile,” disse, come a giustificarsi della situazione.
    “Ah, sì?” fece Shiro, scherzando, e gli avvolse le braccia attorno al corpo, e poi appoggiargli il viso sulla spalla. Keith si paralizzò giusto in attimo, a volte aveva ancora difficoltà con il contatto, ma poi si rilassò e sorrise.
    “Perfetto,” disse.
    Il pc venne appoggiato sul letto, lo schermo leggermente piegato, e Keith avviò la chiamata con i suoi zii, che apparvero contemporaneamente nello schermo.
    “Oh, Takashi-san, non pensavamo ci saresti stato anche tu,” disse uno di loro, con un lieve imbarazzo. “Non avremo voluto disturbarti.”
    “Ma come,” si accigliò Keith, “mi avete sfinito un sacco per chiedermi come stava.”
    “Sì, ma…”
    “Non c’è problema,” disse Shiro, mentre stringeva più strettamente le sue braccia attorno al busto di Keith, e gli poggiava un leggero bacio sulla guancia, facendolo ridere. “È solo giusto che sappiate che mi sto prendendo grande cura di Keith.”
    Ancora imbarazzati da quella palese manifestazione d’affetto, gli zii passarono immediatamente a discutere dell’università con Keith, ragione per cui Shiro fu certo che per un po’ non avrebbero più chiesto di fare chiamate unificate. A Shiro fecero qualche domanda di cortesia sul suo lavoro, e gli chiesero di confermare che Keith si stesse comportando bene, manco fosse un bambino.
    “Vi assicuro che si sta prendendo grande cura di me.”
    “È che sembra così sciatta… Non trovi che stesse meglio con i capelli lunghi, Takashi-san? E quei vestiti…”
    Shiro avvertì chiaramente la tensione in Keith sotto il suo abbraccio, quindi divenne serio e disse, “a me Keith piace proprio così com’è, e se a lui piace questo stile, allora piace anche a me.”
    “Grazie,” gli disse Keith, una volta che la chiamata fu terminata. “Pensavo si fossero rassegnati ormai…”
    “Ci mancherebbe, Keith. Il nostro matrimonio potrà essere una farsa, ma non lo è la nostra amicizia.”
    Keith sorrise. “Ti dispiace se dormo qui? È tardi e non ho voglia di tornare in camera mia.”
    “E’ solo dall’altra parte del corridoio, che pigro che sei,” rise Shiro, ma si limitò a spostare il pc sul tavolino e a fargli posto sotto le coperte. Keith si accoccolò al suo fianco, premendo contro di lui.
    Shiro si svegliò prima di lui la mattina successiva, al suono della sua stessa sveglia, e rimase quasi incantato mentre lo vedeva dormire, la testa mollemente adagiata sul cuscino e i capelli neri sparsi attorno. Poi Keith sbatté le palpebre, aprì gli occhi azzurri e sorrise a Shiro con uno sguardo languido.
    Con il corpo completamente attraversato da brividi, Shiro fuggì in bagno.

    Nei mesi successivi al loro combinato e bizzarro incontro, Shiro e Keith chiacchierarono a lungo, via skype, via telefono, via messaggi. In comune non avevano solamente i parenti, ma anche molti hobby e molti gusti. Shiro faceva l’ingegnere aerospaziale in una delle sedi dell’Ensa in Europa, mentre Keith mirava a studiare fisica astronomica. Erano entrambi dei nerd, soprattutto di serie di fantascienza, e non passava giorno in cui non trovassero una nuova discussione per ravvivare l’atmosfera (Picard vs Kirk, Enterprise vs Millennium Falcon).
    Shiro aveva imparato ad apprezzare i momenti della giornata che dedicava a Keith, anche quando non era in Giappone e quindi non potevano vedersi, ma anche solo sentire la sua voce gli faceva piacere. E così iniziarono anche a confessarsi le rispettive problematiche, soprattutto in riguardo alla loro sessualità.
    Un giorno Keith lo chiamò a un orario insolito, aveva avuto un episodio con sua zia che gli aveva causato un mezzo attacco di panico a causa della sua disforia, e non sapeva con chi parlarne. Shiro fece di tutto per calmarlo.
    “Lo sai,” disse Keith a un certo punto, “io ho un fondo fiduciario, l’avevano messo da parte i miei genitori nel caso fosse successo qualcosa, come infatti è avvenuto.” Erano entrambi morti in periodi diversi, a causa dei lavori pericolosi che facevano. “Mi piacerebbe usarli per pagarmi finalmente una psicologa e le operazioni che mi servono, e gli ormoni… ma non posso farlo finché sto a casa dei miei zii. Dovrei andarmene, lasciarli e cercarmi un lavoro da qualche altra parte, ma gli voglio bene, e mi vogliono bene, e non so cosa fare…”
    “Sposiamoci,” propose Shiro improvvisamente. Era un’idea cretina che gli era venuta in mente sul momento, ma ora che l’aveva formulata poteva funzionare.
    “Che cosa?” disse Keith incredulo.
    “Se ci sposiamo, potresti venire a vivere qui da me in Europa,” disse Shiro, “lasceresti casa dei tuoi zii senza che questi si preoccupino della tua condizione, e potrai continuare a frequentarli. E in Europa, se vorrai, potrai iniziare il tuo percorso di transizione. Saremo separati in casa, e potremo divorziare una volta che i tuoi zii avranno capito che è una cosa seria.”
    Keith rimase in silenzio a lungo. Poi disse, “ma per te? Non vuoi sposarti con qualcuno che ami?”
    “Certo che lo vorrei, ma purtroppo le miei relazioni sono fino a questo momento naufragante miseramente e non ho tanta voglia di mettermi in gioco di nuovo,” mormorò Shiro con un sospiro. “Tu non saresti male come coinquilino, sono sicuro.”
    “Che ne sai, magari sono uno di quelli che non lava mai i piatti,” scherzò Keith, con una risata. “Ma seriamente, non capisco come faccia la gente a mollarti così. Se un ottimo partito.”
    Shiro sorrise. “Allora mi sposi?”
    “Fammici pensare.”
    Lo chiamò un paio di giorni dopo, si era informato delle cliniche in Europa, dell’università, delle possibilità che aveva trasferendosi e sposandosi. “Facciamolo,” gli disse.

    “Posso farti vedere una cosa?” disse Keith, mentre Shiro era seduto sul divano a mangiare patatine e a guardare un documentario sul National Geographic. Keith era appena tornato a casa e aveva delle borse, chiaramente da vestiti di abbigliamento, in mano.
    “Certo.”
    “Solo se prometti di non ridere.”
    “Prometto solennemente di avere cattive intenzioni, aspetta, no, non era così.”
    Keith rise. “Sei proprio un nerd.”
    “È nella mia natura.” Poi sorrise. “Scherzi a parte, lo sai che puoi farmi vedere quello che vuoi e non ti giudicherò.”
    Keith annuì. “Be’, ti ricordi il lavoretto che ho trovato, temporaneo? Quello al bar dell’università.”
    “Certo che mi ricordo.”
    “Mi hanno pagato la prima mensilità, non è che siano così tanti soldi, ma quando li ho visti arrivare non ho resistito e….”
    Shiro scoppiò a ridere. “Fammi indovinare, li hai già spesi tutti.”
    “Avevi detto che non avresti riso!”
    “Scusa, scusa,” Shiro alzò le braccia, arrendevole, mentre Keith cercava di tirargli addosso i sacchetti che aveva in mano. “Ma l’ho fatto anche io, al primo stipendio, ho preso, sono andato alla fumetteria e ho preso tutta l’opera omnia di Tolkien, edizione speciale, comprensiva di un’action figure di Gandalf, solo trecento copie. Almeno tu hai comprato vestiti, quindi plaudo al tuo self control.”
    Fu il turno di Keith di ridere. “Va bene, perdonato solo perché mi sento meglio.”
    “Ma me li fai vedere allora sì o no?”
    “Aspetta un attimo.” Keith si precipitò nella sua stanza, si sentì da fuori un rimestare di scatole e carta, e cose leggere che venivano gettate sul pavimento, finché Keith non riemerse da dietro la porta, e Shiro si pentì di averglielo chiesto. Perché con quei vestiti, i jeans neri attillati con un leggero strappo sui lati, la maglia nera larga stretta con una cintura argentata, stivali neri che arrivavano alla coscia, e sopra una giacca di pelle rosso fiammante, be’, era davvero bellissimo.
    “Come sto?” Keith fece un giro su se stesso, in modo che Shiro potesse anche ammirare la curva del sedere sottolineata da quei pantaloni.
    “Hai buon gusto,” commentò Shiro, il cui corpo era completamente attraversato da un brivido.


    Si sposarono nella maniera più tradizionale possibile, per accontentare i loro parenti, i quali invitarono quante più gente possibile per dimostrare finalmente al mondo che i loro figli erano assolutamente normali e avevano fatto un matrimonio perfetto.
    Keith era bellissimo con il kimono bianco tradizionale, ma Shiro non glielo disse, perché sapeva che si trovava a disagio con tutta quella gente che ancora lo chiamava al femminile. Lo portò via dalla cerimonia il prima possibile, senza curarsi troppo dei festeggiamenti.
    Non fecero nemmeno il viaggio di nozze, con la scusa che Shiro aveva un progetto importante da ultimare e Keith doveva subito adattarsi al nuovo paese e iniziare al più presto l’università. Avevano deciso di comune accordo che non aveva senso fare il viaggio di nozze, essendo sposati per finta, ma avrebbero magari fatto più avanti un piccolo viaggio, come amici.

    “Vieni, ti faccio vedere una cosa!”
    Keith si precipitò in stanza, rise solo un attimo di Shiro che stava ammirando la sua (quasi inesistente) abbronzatura allo specchio, poi lo prese per un braccio e lo trascinò fuori dall’albergo.
    “Ti prego,” disse Shiro, a metà tra la supplica e la risata, “non un’altra serata alcolica, non credo di poterla reggere ancora. Ho ormai più alcool corpo che sangue.”
    “Che vecchio che sei,” ribatté Keith, prendendolo in giro.
    Ma non lasciò il suo polso, e continuò a trascinarlo finché non si lasciarono l’albergo prima e il villaggio poi alle spalle. Quindi Keith prese una viuzza laterale che, dalla discenza, probabilmente portava a una delle spiagge.
    Mikonos era stata la scelta più ovvia per la loro vacanza. In realtà sia Shiro sia Keith preferivano la montagna al mare, ma la ritrovata libertà di Keith li aveva spinti a provare a sentirsi come nel musical Mamma Mia! (un preferito di Shiro, con grande divertimento di Keith).
    E dopo cinque giorni di relax assoluto in spiaggia e di grandi bevute di cocktail la sera, e la quantità di gente che alternativamente cercava di provarci con Keith o con Shiro (e a volte anche con entrambi), Shiro ammise che non era stata una cattiva idea per niente, ma doveva anche ammettere di essere stanco e di desiderare di tornare alla normalità del lavoro.
    Però era curioso di capire che cosa Keith avesse in serbo per lui, quindi lo seguì pedissequamente finché non raggiunsero una piccola insenatura, che aveva a malapena lo spazio per una piccolissima spiaggia, e poi era composta di sole rocce. Era ormai sera, e così lontano dalle luci della città la zona era scura.
    In quel modo, era molto più facile vedere le stelle e la luna piena che brillavano nel cielo blu sopra di loro, e che si riflettevano nell’appena increspato mare quasi nero al di sotto, facendo credere a Shiro, per un momento, di essere immerso davvero nello spazio.
    “Questo posto me l’ha consigliato una signora all’albergo quando ha saputo che eravamo appassionati di astronomia,” spiegò Keith. “Mi ha detto che questo è un ottimo posto per osservare il cielo.”
    “Aveva ragione,” commentò Shiro, gli occhi alzati verso il cielo e la bocca spalancata. Fece un tentativo passo in avanti, temendo di scivolare perché non si vedeva bene il terreno scivoloso.
    “Sembra proprio di essere nello spazio,” disse Keith, dando voce agli stessi pensieri di Shiro.
    Si era seduto su una roccia proprio all’estremità dell’insenatura, i piedi a ciondoloni sull’acqua scura sotto di lui. Si teneva con le mani appoggiate, e aveva lo sguardo leggermente rivolto verso l’alto, fisso nella luminosa luna al di sopra. Questa e le stelle si riflettevano nei suoi occhi blu come facevano sul mare, e quella luce soffusa gli illuminava i capelli neri in modo da farli quasi luccicare.
    In un impeto di improvvisa dolcezza, Shiro pensò che di tutte le stelle, la più luminosa era proprio Keith, che lui aveva visto sorgere piano piano al suo fianco.
    “E’ davvero bellissimo.”
    “Già, bellissimo…” esalò Shiro.
    “E lo sai qual è un’altra cosa bella?” aggiunse Keith. “A quest’ora l’acqua è caldissima. Potremo farci il bagno immersi nella luce delle stelle.”
    “Ah, non ho portato il costume da bagno.”
    “E che problema c’è? Nemmeno io!”
    Un secondo dopo, Keith si era praticamente buttato in acqua, e Shiro ringraziò improvvisamente perché, per un attimo, aveva temuto che si sarebbe spogliato completamente e sarebbe entrato in acqua nudo come una vera ninfa dell’acqua.
    “Dai, vecchietto, l’acqua è bellissima!” lo chiamò Keith, che ormai si era allontanato e stava nuotando esattamente sotto la luce della luna. Quando Shiro lo raggiunse, non era sicuro se il brivido che provava fosse per il freddo, con i vestiti zuppi che gli si appiccicavano alla pelle, o per qualcos’altro.

    I primi tempi furono difficili per Keith, che di lingue conosceva solo il giapponese e qualche appunto di inglese, e non aveva amici al di fuori di Shiro. Ma si impegnò molto, prese diverse lezioni e finalmente iniziò a farsi strada da solo, senza più contare sull’aiuto di Shiro.
    Iniziò a farsi degli amici, trovò un lavoro temporaneo per poter contribuire alle spese di casa, l’università gli piaceva e andava bene. Era diventato ancora più bello di quanto non fosse in Giappone.
    Subito dopo l’arrivo in casa di Shiro, si era tagliato i capelli in un corto caschetto e aveva iniziato a indossare unicamente abiti che nascondevano la sua femminilità completamente. Poi Shiro gli aveva dato una mano a cercare un terapista e aveva iniziato a prendere degli ormoni. Si vedeva che aveva iniziato a essere a suo agio in quel nuovo corpo, e che ai suoi amici ci era presentato come Keith Kogane e ad alcuni di loro aveva anche raccontato del suo percorso di transizione. Stava anche iniziando a preparare il percorso per le operazioni da fare.
    I suoi zii, dopo il primo momento di smarrimento, parevano aver accettato la cosa, finché a Shiro andava bene, ed erano grati che nonostante tutto fossero riusciti ad accasare quello strano nipote a un buon partito.
    A Shiro faceva piacere semplicemente averlo in casa, parlare con qualcuno a colazione e a cena che non fosse solo Atlas, il suo gatto nero, anche se avevano ognuno la propria stanza e facevano degli orari molto diversi che spesso li portava a non vedersi per un paio di giorni, a cui rimediavano magari passando il sabato o la domenica assieme quanto possibile.

    “Che cosa sta succedendo?”
    Shiro si era svegliato nel cuore della notte sentendo degli strani rumori provenienti dal bagno, e per un attimo temette che fosse lo scarico intasato, o la lavatrice che stava dando i numeri. Di certo non si aspettava, sbirciando dalla porta spalancata, di trovare una ragazza bionda che vomitava rumorosamente nel suo cesso, con Keith che le teneva delicatamente la testa e le accarezzava i capelli.
    Keith ebbe almeno il buon gusto di sentirsi per un attimo imbarazzato. Non che dovesse qualcosa a Shiro, era adulto e maggiorenne e Shiro di certo non gli metteva il coprifuoco nelle sue serate.
    “Scusami, non volevo svegliarti,” disse. “Romelle ha lasciato il fidanzato ed era un po’ depressa, così ha bevuto un po’ troppo… non volevo farla andare a casa da sola in queste condizioni.”
    “Mi dispiace,” disse Shiro onestamente. Non si era di certo mai ubriacato così tanto, ma aveva subito delle rotture con precedenti fidanzati ed empatizzava con lo stato mentale successivo. Aprì lo sportello dei medicinali ed estrasse una scatoletta. “Falle mangiare qualcosa e poi dalle questo con qualcosa di caldo, è un toccasana.”
    “Grazie. Torni a dormire?”
    “Ci provo,” disse sorridendo. In tutta quella discussione, Romelle non sembrava aver fatto cenno di aver sentito l’arrivo di Shiro, e probabilmente era meglio così perché non era in una condizione in cui probabilmente avrebbe apprezzato farsi vedere. Mentre lasciava il bagno, sentì Keith le rivolgeva dolcemente delle parole di incoraggiamento a Romelle e si sentì involontariamente geloso.
    Riaddormentarsi non fu facile, finì a rigirarsi nel letto e a percepire le chiacchiere basse di Keith e Romelle dalla cucina, finché anche loro non si ritirarono in camera di Keith. La mattina dopo, quando finalmente aveva iniziato a sonnecchiare, venne svegliato di nuovo, questa volta da dei colpi molto forti che provenivano dalla porta dell’appartamento, e dal campanello che suonava incessantemente.
    “Aprite questa cazzo di porta o la sfondo!” gridò una voce maschile al di fuori. “Romelle! Aprimi e vieni a parlarmi, lo so che sei qui!”
    “Qualcosa mi dice che il tuo ex non ha preso molto bene la vostra rottura,” commentò Shiro gentilmente all’indirizzo di Romelle che, con indosso uno dei pigiami di Keith, non appariva particolarmente entusiasta, e ancora non particolarmente sobria, e stava attaccata al braccio di Keith come una bambina.
    “Che stronzo,” commentò Keith.
    “Immagino tu non voglia parlargli,” chiese Shiro gentilmente. Romelle scosse violentemente la testa, per cui Shiro aggiunse, “bene, chiamiamo la polizia, così gli passa la voglia.”
    “Non serve,” disse Keith.
    Si staccò Romelle dal braccio, camminò sicuro verso la porta e la aprì, rilevando un uomo grosso quanto Shiro, ma molto più basso, col pugno stupidamente alzato e la faccia rossa.
    “Romelle non ti vuole più vedere,” affermò Keith. “Vattene.”
    “Questo me lo deve dire lei! Romelle!” gridò l’uomo. Di risposta, Romelle gridò indietro, “vattene, non ti voglio più vedere!” e corse a nascondersi in bagno.
    “Romelle! Torna subito qui!” L’uomo fece per entrare, ma Keith lo bloccò con una mano sul suo petto.
    “L’hai sentita.”
    “Ma levati dal cazzo, puttana.”
    Avvenne tutto in un attimo: Keith lo afferrò per un braccio e, con una mossa di karate studiata, lo abbatté a terra e poi lo spinse fuori dalla porta. “Se ti fai rivedere ti spacco la faccia.” E poi sbatté la porta.
    “Che figo,” commentò Romelle, che si era affacciata alla porta del bagno e Shiro, sentendo un brivido dentro di sé, non poté far altro che annuire.

    Dopo più di un anno, la loro amicizia era diventata più forte che mai. Shiro temeva, inconsciamente, il giorno in cui Keith sarebbe arrivato a casa chiedendo il divorzio perché aveva finalmente incontrato una persona di cui si era innamorato e voleva vivere la sua storia senza sotterfugi.
    Non lo disse mai a Keith, ovviamente, per quello era parte dell’accordo ed era chiaramente stupido che Shiro se ne tirasse fuori in quel momento, millantando un improvviso amore che non era assolutamente previsto. Quindi taceva, per amor proprio e di Keith, e si limitava ad appoggiarlo durante il suo passaggio e ad essergli vicino come si supponeva che un buon amico avrebbe dovuto fare.
    E poi avvenne la quarantena.

    “Basta, non ne posso più!”
    Shiro esalò un sospiro amareggiato e si appoggiò allo schienale del sofa. Keith, che era seduto al suo fianco e sgranocchiava patatine mentre ascoltava un podcast col suo cellulare, si voltò in maniera sorpresa. Si tolse le cuffie.
    “Che succede?”
    “Non ne posso più di questa quarantena. Mi sto sciogliendo. Mannaggia a me quando ho pensato che non mi servisse una casa con un giardino.” Sospirò ancora. “E poi sto lavorando come un matto, tutti hanno preso questa cosa del telelavoro come una sfida a chi manda le mail più tardi, credo che per ora sia in vantaggio Matt che l’ha mandata alle sei del mattino, ma dopo essere stato sveglio tutta la notte.”
    Con un terzo sospiro, affondò la testa nelle mani. Keith alzò i piedi dal tavolinetto basso dove li aveva appoggiati, e li usò per abbassare lo schermo del pc che Shiro aveva sulle ginocchia, quindi glielo tolse e lo appoggiò a terra, ma continuando a tenere le gambe su quelle di Shiro.
    “Perché non ti prendi un giorno di riposo?” gli propose allora. “Possiamo fare qualcosa noi?”
    “Tipo?”
    “Non lo so, guardare un film, fare una partita a scacchi 3D, baciarci, provare un corso di cucina on-line…”
    “Baciarci?” fu l’unica cosa che percepì Shiro.
    Keith fece una risatina nervosa. “Sono solo idee. Pare che il sesso sia un ottimo modo per smaltire calorie.”
    Probabilmente era la quarantena che lo spinse a parlare. “Sei così bello, Keith, e io non ce la faccio più ad averti attorno così tanto. Ti guardo continuamente e vorrei baciarti continuamente, ogni parte di te. Non era previsto dal nostro accordo, ti chiedo scusa, ma non l’ho fatto apposta a innamorarmi di te. E almeno prima potevo evitarti, sperare che mi passasse, ma adesso…”
    Keith sbatté le palpebre. “Sei innamorato di me?”
    “Da tempo, ormai. E te l’ho detto nel momento peggiore, vero, quando sei obbligato a stare in casa con me… adesso mi chiudo in camera con la mia vergogna e non mi vedrai più fino alla fine della quarantena.”
    “Shiro,” disse Keith seriamente. “Sono mesi che sto cercando di flirtare con te. Pensavo che non ti interessassi.”
    “Tu… cosa…” E improvvisamente tante delle situazioni che erano capitate negli scorsi mesi apparvero sotto una luce completamente diversa, a cui Shiro non aveva mai pensato. “Potrei aver frainteso alcune situazioni a nostro riguardo.”
    “Okay,” disse Keith, spostandosi per mettersi direttamente in faccia a Keith. “Sono innamorato di te, e voglio che mi baci, adesso, e che spendiamo il resto della quarantena a fare sesso per impegnare il tempo. Pensi che si possa fare?”
    “Sì? Credo di sì.”
    E poi lo baciò, e riavvertì di nuovo quel brivido che aveva costellato le sue interazioni con Keith da quella famosa vacanza a Mikonos, e fu come se ogni cosa fosse finalmente arrivata al punto giusto, e la cosa migliore era che avevano già bruciato tutte le tappe e quell’uomo meraviglioso era già suo marito. Lo afferrò e lo prese in braccio per portarlo in camera da letto, a consumare la prima notte di nozze.
    “Iniziamo a passare il tempo da adesso.”
     
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