Sarò qui per te

[Voltron Legendary Defender] collegata a "Sono stato qui per te"

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    “Vuoi fermarti a dormire da me?” gli propose Shiro, una volta che Keith ebbe chiuso il libro di appunti su cui avevano studiato tutta la sera. “È tardi, così non devi andare fino a tuo dormitorio adesso.”
    Keith rimase incerto per un attimo. Ovviamente rimanere a dormire da Shiro era un suo desiderio da sempre, era successo qualche volta in passato ma non era un’occorrenza fissa. Allo stesso modo, però, Keith non voleva dargli dei disagi. Sapeva che di recente i contrasti tra Shiro e Adam si erano intensificati, Shiro tendeva a non parlarne mai perché non voleva scaricare i suoi problemi su Keith e voleva approfittare della sua compagnia per rilassarsi, ma ogni tanto venivano fuori, e per Keith era abbastanza difficile ignorarli.
    Probabilmente perché non capiva Adam abbastanza, per lui non ci sarebbe stato niente di più bello che poter stare al fianco di Shiro e incoraggiarlo in tutto il suo percorso. Ma sapeva che Shiro teneva ad Adam e quindi non voleva intromettersi o parlarne male.
    “Non vorrei che Adam si lamentasse,” disse quindi.
    “Oh, non credo tu te ne debba preoccupare,” si schernì Shiro. Scostò lo sguardo imbarazzato. “Io e Adam ci siamo lasciati, lui si è fatto assegnare un altro alloggio qui nella base.”
    “Oh,” mormorò Keith.
    Aveva sentimenti contrastanti, una parte di lui era quasi sollevata, adesso Shiro non era più fidanzato, era libero, aveva una piccola possibilità (piccola, quasi insignificante, perché Keith sapeva benissimo che non aveva possibilità finché Shiro continuava a ritenerlo un ragazzino da istruire). Ma dall’altro canto saliva anche il dispiacere per Shiro, che sicuramente da quella rottura ci stava soffrendo, e anche la rabbia per Adam che lo aveva lasciato in un momento così delicato della sua vita. Non sapeva però come esprimere tutta quella miriade di sentimenti in una maniera che potesse essere di sostegno a Shiro.
    Quindi disse solo, “Mi dispiace.”
    “Be’, oh, prima o poi doveva succedere, eravamo in rotta da un po’.” Shiro alzò le spalle e provò a sorridere, con scarsi risultati, almeno per quanto concerneva Keith. “Però non ti devi preoccupare di lui se vuoi restare.”
    “Va bene, allora.”
    Per un attimo Keith pensò che Shiro l’avrebbe fatto dormire nel suo letto, adesso che Adam non c’era più. Invece, quando lo vide tirare fuori la coperta, capì che avrebbe dormito sul divano come tutte le altre volte. Andava bene, non c’era grande problema, tanto anche se avessero dormito nello stesso letto non sarebbe successo nulla, perché Shiro non ci avrebbe nemmeno pensato, ma a Keith avrebbe fatto piacere stringersi contro il suo corpo e avvertire il suo calore, il suo respiro, e il battito del suo cuore.
    “Tieni,” disse Shiro, passandogli una delle sue maglie che avrebbe potuto utilizzare come pigiama e la coperta. “Il bagno è tutto tuo, ti ho già messo gli asciugamani. E domani, se vuoi, possiamo andare a fare colazione fuori dalla base, magari alla pasticceria sulla quinta?”
    “Ci vuoi andare tu, dì la verità,” rise Keith.
    “Ebbene sì. Ma tanto piace anche a te, no?” gli fece l’occhiolino, poi sorrise dolcemente e passò le mani fra i capelli neri di Keith. “Buonanotte.”
    Keith lo osservò con lo sguardo mentre andava nella sua camera e chiudeva la porta alle spalle, quindi sospirò. Sentiva che Shiro alzava spesso un muro in sua compagnia, come faceva con altri, ma sperava che un giorno Shiro capisse che Keith non l’avrebbe abbandonato nemmeno se si fosse mostrato completamente indifeso.
    Andò in bagno, si lavò, si mise la maglia (che gli arrivava quasi alle ginocchia, da quanto era lunga), si sdraiò sul divano e si addormentò con la coperta addosso. Non sapeva da quanto si era addormentato, ma si svegliò di soprassalto quando avvertì la scossa di terremoto. Almeno pensava fosse terremoto, era un tremolio costante e anche una sensazione come se qualcuno gli tirasse contemporaneamente ogni centimetro di pelle per strappargliela di dosso.
    “Shiro!” tentò di gridare, sentendosi la voce impastata dal sonno e dallo spavento.
    Mise un piede fuori del letto e inciampò, cadendo a terra. Quando fece per rialzarsi, il tremolio era terminato, ma Keith non si trovava più all’interno della stanza di Shiro, ma in una piccola cabina di metallo, che sembrava molto tecnologica, ma grande a malapena a contenere una persona in piedi. Keith si guardò intorno, cercando di tenere il respiro e la paura sotto controllo.
    “Keith? Ci sei? Rispondimi? Che cos’è successo?” lo chiamò una voce dall’esterno, attraverso un altoparlante. Non era una voce che Keith ricordava o conosceva.
    “Ci sono. Non lo so cos’è successo. Dove sono? Chi siete?”
    “Uhm… e tu non sei Keith,” disse la voce. Poi, sottovoce a qualcun altro, “forse è meglio se apri la porta.”
    “Sì, aspetta che stacco tutto,” disse un’altra voce, di nuovo, Keith non l’aveva mai sentita.
    “Apritemi! Fatemi uscire!” Keith sbatté i pugni sulla cabina, preoccupato. Che cos’era successo, dov’era Shiro?
    “Stai fermo un attimo, mi distruggerai tutto,” disse la seconda voce, annoiata. “Ecco, ho fatto!”
    Nella cabina si aprì una piccola porta e Keith immediatamente sgusciò all’esterno, libero, solo per rendersi conto che non aveva idea di dove si trovasse, né chi fosse quella gente che lo guardava con gli occhi spalancati. D’istinto, fece un altro passo indietro e inciampò, cadendo con il sedere sul pavimento duro.
    “Keith?” disse l’uomo che aveva parlato per primo, un ragazzone alto e largo che indossava un camice da laboratorio e una bandana arancione. “Sei Keith, vero? Che è successo? Pidge, com’è possibile? Non era un effetto previsto il ringiovanimento!”
    “Ma che ne so!” rispose alta la seconda voce, che apparteneva a una persona in tutto e per tutto identica a Matt Holt, il futuro compagno di spedizione di Shiro. “Niente di tutto questo era previsto. E non capisco perché, i miei calcoli erano perfetti!”
    “Vedi che ho fatto bene a non entrare,” disse un altro ragazzo, alto e smilzo, con due segni sulle guance, sotto gli occhi, azzurri e brillanti, il quale indossava una divisa simile a quella della Garrison, ma di un inusuale colore blu. “Di quanto credete che sia ringiovanito? Dieci anni? Sembra più piccolo di quando l’abbiamo conosciuto noi.”
    “Non sappiamo ancora se sia ringiovanito,” protestò non-Matt.
    “Keith? Ti ricordi chi siamo? Io sono Hunk. Siamo amici.”
    Ma Keith continuò a guardare i tre senza capire assolutamente di che stessero parlando. Forse stava ancora sognando e in realtà si trovava ancora al sicuro sul divano di Shiro. Si diede un pizzicotto sul braccio per capire se riusciva a svegliarsi.
    “Io so cos’è successo,” disse una quarta voce, e il cuore di Keith mancò un battito.
    Davanti a lui c’era Shiro – ma non il suo Shiro. Quello Shiro sembrava più vecchio di qualche anno, ancora più alto e grosso (per quanto fosse possibile), e aveva i capelli completamente bianchi, una cicatrice sul naso e soprattutto non aveva più il braccio destro, sostituito da un braccio di metallo che galleggiava al suo fianco. Ma era senza dubbio Shiro e Keith si sentì improvvisamente di nuovo al sicuro.
    “Questo è il Keith del passato, non è ringiovanito. Si è scambiato di posto con il nostro Keith.” E poi, guardando Keith direttamente, disse, “è la volta che sei rimasto a dormire nel mio appartamento, poco dopo che mi sono lasciato con Adam, è vero?”
    Keith si affrettò immediatamente ad annuire.
    “Come fai a saperlo?” domandò non-Matt.
    “Perché improvvisamente me lo sono ricordato,” spiegò Shiro. “Mi sono ricordato di quando è successo di incontrare un Keith che proveniva dal futuro. Non mi ricordo però cos’è successo dopo, per cui penso che il passato sia ancora in divenire?”
    “Oh, ma certo!” Non-Matt esclamò. “La linea temporale è fluida, proprio come nel film Ritorno al Futuro. Il che significa che le modifiche che apportiamo iniziano a fare effetto anche sulla nostra realtà, ma non tanto in fretta da non accorgercene. E da non potervi porre rimedio.”
    “Sì, ma più tergiversiamo, più rischiamo che la linea temporale subisca delle modifiche incontrollabili,” aggiunse Hunk. “Dobbiamo assolutamente ricambiare i due Keith prima che sia troppo tardi. C’è solo da sperare che Keith nel passato non dica più di quello che dovrebbe.”
    “Non lo farà,” disse Shiro, e si avvicinò ancora di più a Keith. “So che tutto dev’essere confuso per te. Rimetteremo a posto tutto e ti rimanderemo indietro. Ti fidi di me, vero?”
    “Ma certo,” annuì Keith. Era ancora un po’ rintronato da tutto quello che era successo, ma accettò la mano che Shiro gli offrì per alzarsi.
    “Va bene,” disse Non-Matt, “tutti fuori. La macchina ha subito un sovraccarico e adesso non sta ripartendo. Io e Hunk controlleremo cos’è successo e risolveremo il problema subito, così potremo rimandare indietro il Keith del passato appena possibile.”
    “Siete sicuro di riuscirci?” chiese il tipo con i segni sulla guancia. “La macchina non doveva essere del tempo, come riporterete Keith indietro?”
    “Evidentemente,” ammise non-Matt con dispiacere, “ho fatto un calcolo sbagliato e gli strappi nella realtà non hanno solo effetto nello spazio ma anche nel tempo. Keith deve essersi sentito attratto da quella che si apriva su un suo momento nel passato, basterà che questo Keith faccia lo stesso.”
    “Va bene,” disse Shiro, che aveva tenuto stretta la mano di Keith nella sua. “Vi lasciamo lavorare. Chiamateci appena avete finito.” Poi si rivolse ancora a Keith. “Vieni con me.”
    Keith lo seguì, sentendosi al sicuro al suo fianco, anche se aveva nella sua testa molte domande, cos’era successo nel frattempo, il perché del braccio meccanico, dove si trovavano, dato che quella non era decisamente la Garrison. Però, si rese conto che le risposte a quelle domande non gli importavano veramente, la cosa che lo rassicurava era che Shiro nel futuro era ancora vivo, ancora importante e apparentemente senza gli effetti della sua malattia, e lui e Shiro erano ancora amici.
    Shiro lo portò in un appartamento, grande ancora di più di quello che aveva alla Garrison, con l’angolo salotto e cottura e un’ampia camera matrimoniale, sicuramente usata da due persone.
    “Vivi qui con Adam?” chiese Keith, senza nemmeno accorgersene. Era stupido considerando che Shiro gli aveva già detto che si erano lasciati, ma insomma… per quanto Keith ne sapeva erano passati anni.
    “Adam è morto.”
    “Oh… mi dispiace.”
    “Grazie, ma comunque ci eravamo lasciati anni fa.”
    Allora Shiro stava con un altro, evidentemente. Chissà chi era. Keith si scoprì che non gli interessava saperlo, probabilmente avrebbe vissuto il momento in cui Shiro lo incontrava o glielo presentava, e anche se saperlo in anticipo poteva essere positivo, non voleva intristirci pensandoci.
    “Non ti posso svelare molto di quello che succederà nel futuro,” disse allora Shiro, “ma andrà tutto bene. Davvero. Quello che ti ho promesso ti succederà. Anzi, meglio di così. Ti ho sempre detto che avevi grande potenziale, e hai persino superato tutte le mie aspettative.”
    Classico di Shiro, pensare di spronarlo e di rassicurarlo su quelle che erano le potenzialità di Keith, quando il sogno segreto di Keith alla fine era solo quello di essere alla sua altezza, di camminare al suo fianco. Annuì, con un leggero sorriso.
    E poi si decise, cosa aveva da perdere? Quello era il Shiro del futuro, tutto quello che doveva succedere era già successo.
    “Il Keith del futuro ti ha mai parlato della cotta spaventosa che avevo per te a questa età?”
    Shiro sembrò sorpreso della domanda, poi arrossì improvvisamente e sorrise. “Sì. E mi ha rinfacciato per anni di non essermene mai accorto, ma che ci vogliamo fare, in queste cose sono sempre stato lento.” Poi aggiunse, “non ti preoccupare, anche per questo andrà tutto bene.”
    Probabilmente intendeva dire che Keith l’aveva superata, d’altronde erano probabilmente passati anni. Anche se per adesso Keith riteneva impossibile smettere di amare Shiro, chissà quante cose nel futuro gli erano successe.
    “Certo,” disse solo. “Posso chiederti un favore?”
    “Assolutamente sì.”
    “Possiamo dormire assieme?” chiese Keith. “Solo un pochino, mentre aspettiamo che tutto si risolva.”
    “Va bene.” Shiro gli dedicò un sorriso dolce.
    Si accomodarono in quel grande letto, e Keith cercò con grande sforzo di non pensare all’altra persona che ci dormiva assieme, con cui Shiro condivideva la vita. Affondò contro il suo petto: Shiro era sempre stato più grande di lui, e adesso era gigantesco. Keith si sentì protetto, chiuse gli occhi e si godé il momento, lasciandosi cullare dal respiro regolare di Shiro e dalle sue braccia che lo stringevano a sé.
    Sapeva di non poter desiderare niente di più in quel momento, e si convinse che quello gli sarebbe bastato. Gli doveva bastare, inutile illudersi. Poi guardò il viso di Shiro, così tranquillo, così rilassato, e d’istinto gli venne da sporgersi appena e poggiare le labbra sulle sue: erano morbide e umide, ed era strano, ma non spiacevole. Shiro mormorò qualcosa, appena, e poi ricambiò al bacio quasi senza accorgersene, schiudendo le labbra e poggiando una mano dietro la nuca di Keith, che lo lasciò fare, con vergogna.
    Poi Shiro aprì gli occhi e capì. Arrossì imbarazzato. “Scusami, ti ho scambiato per un altro.”
    “No, non scusarti, io…” Anche Keith arrossì. “Almeno una volta sono riuscito a baciarti, ecco.” Si vergognò di quelle parole immediatamente, e scostò lo sguardo.
    Allora Shiro lo abbracciò da dietro e gli sussurrò all’orecchio, “scusa se ti ho fatto aspettare così tanto.”
    Poi non-Matt chiamò attraverso il telefono, dicendogli che la macchina era pronta per far tornare Keith nel suo mondo, per cui si separarono, non senza un certo imbarazzo, e andarono di nuovo nel laboratorio, dove si erano di nuovo radunati tutti gli altri.
    “Molto bene, Keith,” disse non-Matt, “devi entrare nella macchina e poggiare le mani sui pomelli. Una volta che la macchina sarà in funzione, dovrai concentrarti sulle tue sensazioni. Probabilmente ti sentirai attratto da qualcosa… segui quella sensazione. E puff, tutto si risolverà.”
    Sinceramente a Keith sembrava tutto troppo facile, ma dato che non-Matt pareva convinto di quello che diceva, annuì. “Ci proverò.”
    Il braccio di Shiro era sulla sua spalla e emanava calore. “Ce la farai di sicuro. Ci rivediamo nel passato.”
    “Già.”
    Entrò ed eseguì tutto come gli aveva detto non-Matt, chiudendo gli occhi e concentrandosi. Avvertì una sensazione, e poi di nuovo quell’idea di chi gli tirava la pelle per strappargliela: cercò di orientarsi verso quella sensazione, finché non sentì che perdeva la presa sui pomelli a cui era aggrappato. Quindi anaspò, rischiò di cadere, ma due braccia lo avvolsero e lo presero in tempo.
    “Keith! Sei tornato!”
    Keith aprì gli occhi e si ritrovò di nuovo nel vecchio appartamento di Shiro alla Garrison. Ed era praticamente avvinghiato a Shiro, che lo teneva in equilibrio. Ancora imbarazzato per quel bacio, si scostò appena. “Sì…”
    “Ho incontrato il te stesso del futuro,” sorrise Shiro. “Avresti dovuto vederlo, com’eri cresciuto, e com’eri forte… L’ho sempre detto che avevi delle grandi potenzialità.” Poi sembrò imbarazzato. “Mi ha detto che andrà tutto bene, a Kerberos.”
    Keith pensò a Shiro, a come l’aveva visto nel futuro, con cicatrici e braccio meccanico. Ma sembrava stare bene, essere felice, quindi doveva probabilmente essere andato tutto bene a un certo punto.
    “Io ho visto te. Sì, andrà tutto bene.”
    E Shiro lo abbracciò di nuovo, senza preavviso. “Grazie per essere sempre stato al mio fianco,” gli sussurrò.
    “Lo sarò sempre,” rispose Keith. Era quello che desiderava davvero.
     
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