Quel che è stato è stato

[Voltron Legendary Defender]

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    L’immagine che lo specchio gli restituiva era sempre la stessa da ormai sessant’anni, da quel momento in cui si era svegliato dalla capsula al suono della voce di Keith era rimasta sempre la stessa, quel viso comunque un po’ invecchiato dall’età ma non così tanto, non così da poter veramente indicare che, secondo gli standard terrestri, era un anziano con un piede nella fossa.
    All’inizio non ci aveva fatto così caso – i capelli bianchi lo rendevano quasi un anziano precoce rispetto ai suoi coetanei ancora con la chioma fulva – ma anno dopo anno divenne sempre più evidente. La cosa che gli diede la certezza definitiva era l’incontro annuale con i paladini. Alcuni di loro Shiro li vedeva solo in quell’occasione, e di anno in anno si vedeva che loro invecchiavano: era un po’ il modo in cui la pelle era meno tirata, più molla, gli occhi più appannati, la camminata stanca, i capelli che si ingrigivano.
    Shiro si guardava allo specchio e non riusciva a notare gli stessi cambiamenti.
    Era stato ancora più difficile notarlo con Curtis, che era al suo fianco ogni singolo giorno, ma alla fine la differenza nel loro modo di invecchiare era diventata sempre più chiara, e la cosa era peggiorata con figli, nipoti e bisnipoti. Se adesso Shiro guardava i loro album, il modo in cui tutti cambiavano tranne Shiro era ancora più evidente.
    (Prima o poi penseranno che io abbia fatto un matrimonio con un toy boy, e che tu abbia fatto un matrimonio d’interesse con un vecchio militare in pensione)
    Era stato divertente allora, adesso che Curtis era morto dopo essersi praticamente spento a fianco di Shiro, iniziando a perdere la memoria, a riesumare un passato che non c’era e a diventare l’ombra di se stesso, molto meno.
    L’unica differenza, come tutto nella vita di Shiro, era stato ovviamente Keith. Con l’età era diventato più alto, e anche più muscoloso, assumendo una fisionomia del corpo più simile a quella di un Galra, ma a livello di età non era invecchiato. I capelli erano rimasti soffici e neri, gli occhi vispi, e nessuna ruga sul suo viso di porcellana.
    (Sono i geni Galra. Probabilmente non vivrò a lungo come loro, ma considerando le due differenze lunghezze, per loro a sessant’anni è come se fossi a malapena adolescente. E va bene, eh, almeno i miei colleghi nelle Lame non mi vedranno invecchiare come sta invece succedendo a noi.
    Pensi che invecchieremo assieme?
    Abbiamo appena stabilito che né io né tu possiamo invecchiare.
    Intendo in futuro.
    Keith era rimasto in silenzio, e Shiro si era reso conto che sembrava quasi una proposta. Non gliel’aveva fatta allora, non era giusto che gliela facesse ora)
    Con un sospiro, Shiro lasciò perdere lo specchio e finì di sistemarsi la giacca. Sarah si era già occupata di tutto, anche di parlare con le pompe funebri, di preparare Curtis per la cerimonia finale. Probabilmente stavano finendo di caricare la bara in macchina in quel momento. Shiro temeva il momento in cui sarebbero stati in chiesa a celebrarlo, in cui i pochi amici ancora in vita avrebbero guardato a Shiro con quel misto di ammirazione e ribrezzo a cui era ormai abituato.
    (Io non piaccio agli amici di Curtis.
    Sono sicuro che non è vero, tu piaci a tutti.
    Una volta, forse, adesso ho perso del tutto il mio fascino. Saranno i capelli bianchi.
    Aveva riso, ma Keith no, come sempre.
    Se non gli piaci non ti meritano.
    Shiro non glielo disse, ma invidiava i rapporti che lui aveva stabilito all’interno delle Lame, quando lui a malapena conosceva i nomi delle persone che frequentavano il club di golf)
    “Nonno,” chiamò la voce di sua nipote Claudia alla porta. “Siamo pronti a partire.”
    “Arrivo.”
    Ignorando lo specchio un’ultima volta, uscì e venne accolto da un sorriso freddo di Claudia: aveva trentacinque anni, e ne dimostrava qualcuno di più. Al suo fianco, Shiro sembrava più giovane. E andava ancora peggio con sua figlia Sarah, che ormai di anni ne aveva sessantotto. Erano già in macchina, con i mariti di entrambe, che l’avevano sempre trattato con soggezione.
    (Non pensavo fosse così complicato essere padre.
    Mi risulta difficile crederlo, sei sempre stato bravo coi ragazzini. Soprattutto quelli difficili, tipo me.
    Forse sono troppo gay per occuparmi di una figlia femmina.
    Non dovrebbe essere il contrario?
    Così pensavo. Ma forse sono proprio io, Curtis è ottimo. È molto più figlia sua che mia.
    Mi dispiace, non posso aiutarti. Io non so come sia crescere con due parenti.
    Non volevo intristirti.
    Non l’hai fatto, sono io che non posso aiutarti in questo campo.
    Non hai intenzione di avere figli?
    Chissà, magari un giorno… c’è tempo. Vedo tanti bambini che hanno bisogno di una famiglia ogni giorno, ma non posso adottarli tutti io. In un certo senso, però, è come se lo facessi quando li aiuto a trovare una famiglia.
    Secondo me un giorno ne incontrerai uno e saprai che la famiglia giusta sei tu.
    Forse… Mi piacerebbe una figlia femmina. Vorrei chiamarla Calypso.
    Shiro non gli aveva mai rivelato che anche lui avrebbe voluto chiamarla così, ma Curtis aveva insistito per un nome più normale perché già essere figlia di Takashi Shirogane sarebbe stato pensante.
    Lì, nella tranquillità del pianeta Daibazaal, Shiro si era lasciato ad immaginarsi come sarebbe potuto essere Keith come padre)
    Apparentemente, l’unico felice della sua presenza era il figlio di Claudia, Roy, un quindicenne che lo accolse con un grosso sorriso.
    “È tua quella hoverbike parcheggiata fuori?” commentò, quando raggiunsero l’ingresso della chiesa. Si riferiva a un’hoverbike parcheggiata fuori, rossa fiammante, un ultimo modello che non era chiaramente di fabbricazione terrestre.
    “Credo sia dello zio Keith,” rispose Claudia.
    “Cosmico. Pensi che mi farà fare un giro, dopo?”
    “Non farai nessun giro in hoverbike il giorno del funerale del nonno,” ribatté Claudia secca.
    Sarah si avvicinò un po’ di più a Shiro e gli sibilò, “hai invitato Keith al funerale?” Aveva smesso di chiamarlo zio da anni ormai.
    (Che cosa c’è?
    Curtis è morto. Lo so che era ormai una questione di mesi, ma comunque…
    Mi dispiace tantissimo, Shiro.
    Grazie. Volevo dirtelo per primo… non sembrava reale prima di dirtelo.
    Vengo subito.
    No, no, Keith, non è necessario. So che sei impegnato…
    Posso prendermi un paio di giorni. Quand’è il funerale?)
    “Dovevo pur dirgli della morte di Curtis,” rispose Shiro. “Ed è il mio migliore amico, per cui ha voluto venire al funerale. Lo conosco da una vita, e anche tu. Ti ha tenuto sulle gambe quand’eri neonata.”
    Sarah sbuffò. “A volte penso che avresti preferito che fosse lui mio padre invece che papà.”
    “Non dire sciocchezze.” E si trattenne solo per un attimo dal risponderle: sei tu che non vuoi essere più figlia mia.
    (Sarah ha chiesto di poter cambiare nome all’anagrafe.
    Perché?
    Dice che il cognome Shirogane è troppo pesante, tutti si aspettano troppo da lei e lei non lo sopporta. Ha tenuto solo quello di Curtis. Forse è meglio così, per tutti.
    Mi dispiace, è colpa mia.
    Perché mai dovrebbe essere colpa tua?
    A quella domanda, Keith non aveva mai risposto)
    Il funerale non era molto affollato. C’era qualche amico di Curtis, quelli che passavano da lui spesso il fine settimana, e molti amici di Sarah che erano venuti per lei, qualcuno di Claudia, nessuno per Roy, che si era accomodato sbuffando nell’ultima panca della chiesa. Shiro ringraziò assente chiunque per le condoglianze, ma per la maggior parte lo lasciavano stare, preferendo chiacchierare fra di loro o con Sarah e Claudia e i rispettivi mariti.
    I paladini non c’erano. Pidge e Hunk erano stati i primi a lasciarci, a poca distanza l’uno dall’altra, colpa del lavoro pesante che facevano. Matt viveva lontano, e non sarebbe arrivato in tempo, e altri come gli ormai non più MFEs erano persone con cui aveva perso i contatti da anni. Lance era ancora vivo, ma bloccato a letto delirante: a quanto pare, il potere da alteano che gli aveva passato Allura non serviva a lasciarlo giovane, anzi, gli aveva invecchiato precocemente la mente. Coran lo vegliava giorno e notte, dopotutto erano rimasti loro due.
    Allura era ancora una ferita aperta. Se fosse viva, sarebbe stata nel novero di quelli che non invecchiavano mai. I tre leader, insieme ancora una volta.
    (Siamo ancora in tempo per trovarla.
    Credi che sia una buona idea? È passato così tanto tempo… per lei sarebbe come riviverle il suo risveglio un’ulteriore volta.
    Non è stato giusto. Avevamo promesso di uscirne tutti assieme. E poi ci siamo arresi.
    Tu non ti sei mai arreso.
    Invece sì. Sapevo che non avevo speranza di trovarla da solo, ma non sono stato abbastanza forte da convincere voi ad aiutarmi.
    Rimpianti, ancora rimpianti. Shiro si chiese quando aveva smesso di vivere solo di rimorsi, di cose che aveva fatto a dispetto di qualunque cosa.)
    C’era una piccola delegazione della Garrison, per pro forma, dato che Curtis non era più un loro dipendente da anni; o forse erano lì per Claudia e Sarah. Ogni tanto si dimenticava che sia Sarah sia Claudia erano andate alla Garrison, ed era proprio lì che avevano conosciuto i loro mariti. Il fatto è che nessuno di loro ne era uscito diplomandosi con i voti necessari per entrare nella gerarchia, e alla fine tutti loro avevano accettato blandi, grigi lavori impiegatizi. Nessuno di loro aveva mai volato per davvero.
    (I voti di Sarah alla Garrison non sono buoni. Credo che sia stato un errore mandarla lì.
    Era stata una delle poche decisioni su cui Curtis si era voluto impuntare, nonostante Shiro dicesse che non era poi così importante che seguisse le loro orme.
    Forse sono i professori che pretendono troppo da lei, perché è tua figlia.
    Sicuramente lei lo vive molto male. Ogni tanto penso che se non mi fossi dimesso per lei sarebbe stato anche peggio, i cadetti mi avrebbero visto tutti i giorni e l’avrebbero additata ancora di più.
    Perché lo pensi?
    Perché facevano la stessa cosa con te, quando era il mio studente. Tu non te ne sei mai accorto perché vivevi diritto come la traiettoria di un pianeta, ma c’erano tantissime voci su di noi.
    Keith l’aveva guardato fisso negli occhi.
    Le sapevo, quelle voci, ed erano disgustose. Ma io non ero tuo figlio.
    Ed eri talentuoso, più di quanto Sarah lo sarà mai. Quindi per lei sarebbe stato peggio.
    No, non lo sarebbe stato.
    Anni dopo, al matrimonio di Sarah, Keith aveva reiterato il concetto quando si era accorto che nessuno degli invitati era non terrestre, a parte Coran, Lance – se tale lo si voleva considerare – e Keith, tutti invitati per Shiro e non certo per Sarah.
    Sai, non si è mai mossa dalla Terra, a parte quei viaggi che abbiamo fatto a Daibazaal. Volevo mandarla alll’accademia della Coalizione, ma Curtis aveva preferito la Garrison, ma be’, poi è andata com’è andata. Meglio che se fossi rimasto Ammiraglio.
    Se fossi rimasto Ammiraglio, quest’ora Sarah sarebbe cresciuta a bordo dell’Atlas, visitando pianeta in pianeta, e sarebbe venuta in contatto con mondi nuovi e diversi. Forse non sarebbe mai diventata la pilota migliore del mondo, ma di certo non sarebbe stata grigia e chiusa di mente come adesso.
    Era la prima volta che criticava la figlia di Shiro, nonostante i rapporti si fossero raffreddati di recente, e così aspramente. Ma Keith era sempre rimasto così, schietto come sempre. Allora Shiro aveva sorriso, guardando Sarah col vestito bianco, e aveva sospirato. Shiro non aveva la forza di difenderla, non quando aveva chiaramente scelto, senza nemmeno un’oncia di rimorso, che fosse solo Curtis ad accompagnarla all’altare.
    Tua figlia verrà su meglio.
    Ed avrebbe potuto essere la loro figlia)
    Keith era proprio lì, con la sua solita divisa da Lama, e scambiava due parole con uno degli ufficiali, sicuramente qualcosa di lavoro. Ma interruppe bruscamente la conversazione, quando vide Shiro avvicinarsi. Si alzò in piedi e gli riservò un sorriso dolce prima di abbracciarlo.
    “Mi dispiace moltissimo,” gli disse.
    “Grazie per essere venuto.”
    “Non avrei potuto mancare.”
    Erano circa sei mesi che non si vedevano, Curtis era già malato all’epoca ma Shiro si era preso un paio di giorni per raggiungere Keith su Nuova Altea per una conferenza che stava tenendo. Keith non visitava la Terra ormai da anni, e aveva contatti con la Garrison solo via video saltuariamente.
    (Da quando è morta Pidge, non ho altri legami qui.
    Ehi, e io?
    Tu sei un mio legame per tutto l’universo.)
    “Ciao, Keith.” Sarah si era avvicinata e lo salutò fredda.
    Ci mise un attimo a riconoscerla, Shiro gli aveva mandato delle fotografie ma praticamente non si erano più visti da quando Claudia si era sposata; un altro evento dove era stato invitato più per Shiro che per altro.
    “Ti trovo bene. Mi dispiace per la tua perdita.”
    “Grazie.”
    Si scambiarono un abbraccio altrettanto freddo. Poi Sarah lo reintrodusse a suo marito, a suo genero e anche alla stessa figlia Claudia, dicendogli un secco, “non so se ti ricordi…” come se fosse stato Keith a lasciarli fuori dalla sua vita e non il contrario. Shiro fu sul punto di puntualizzarlo, ma poi lasciò perdere, non voleva litigare proprio al funerale di Curtis.
    L’arrivo di Keith fu l’unica cosa che scosse Roy dalla sua apatia. “Zio Keith!” lo salutò con entusiasmo, anche se non l’aveva mai visto. “Senza offesa, eh, ma tu sei lo zio più figo di tutti, non posso credere finalmente di beccarti. Sai, ho letto tutto di te.”
    Keith si schernì un poco. “Tutte brutte cose, immagino.”
    “Seeeh,” fischiò Roy. “Alla Garrison hanno ancora tutti i tuoi record, lo so, li ho visti una volta. Tu e il nonno siete tipo delle figure mitologiche lì, è fantastico. E poi sei mezzo Galra, vero? Io di alieni non ne ho incontrato mezzo, ma mi piacerebbe, sai, mi sono scaricato un documentario sulla guerra e cavoli se mi sarebbe piaciuto guidare uno di quei leoni. E poi-”
    Fu Sarah a interrompere quel monologo, con un sibilo. “Ti sembra il momento, al funerale di tuo nonno?”
    “Il nonno era una noia mortale. Ha rovinato il nonno, alla Garrison lo pensano tutti.”
    Gli occhi di Sarah brillarono di rabbia e Shiro pensò fosse sul punto di tirare uno schiaffo a Roy, ma poi non lo fece. Con uno sguardo quasi di sfida, disse, “il matrimonio è quello che ha salvato il nonno. Tu non sai com’era una volta.”
    Per tutta risposta, Roy si volto verso Keith e disse, “è vero?”
    Tutti gli sguardi furono su Keith, ma fu Shiro a intervenire, e stavolta fu lui a dire, “vi pare il momento, a tutti, adesso?” E quello sembrò funzionare soprattutto su Sarah, che scosse la testa e si allontanò dal gruppo con una scusa leggera.
    “Il prete è arrivato, credo dovreste tutti prepararvi.”
    Roy ne approfittò immediatamente. “A proposito, è tua quella hoverbike? Mi fai fare un giro? Va bene anche se guidi tu.”
    “Adesso basta,” disse Claudia. “Ne abbiamo già parlato. Andiamo a sederci.”
    E mentre la famiglia si allontanava per prendere posto nelle prime posizioni, Roy si trattenne ancora un secondo, e disse piano, non troppo perché Shiro non potesse sentirlo, “è vero o no?”
    Shiro non si aspettava che Keith rispondesse, invece sentì la sua voce chiara: “No, non è vero.”
    (Credevo scherzassi quanto mi hai detto che ti ritiravi.
    Lo so, non è da me. Ma diciamo che non avrei mai pensato di superare i trent’anni, e di non essere più in grado di pilotare dopo i venticinque. Adesso ho la possibilità di avere una nuova vita, e magari di prendermi qualcosa che non pensavo avrei potuto avere. E poi, diciamolo, non credi che io abbia vissuto abbastanza vite, con tutto quello che mi è capitato?
    Io non ti ho salvato perché ti rovinassi così.
    Shiro ci era rimasto male – si sposava con una persona buona a cui voleva bene, voleva vivere una vita felice, avere dei figli, magari dei cani e gatti. Era la prima volta che Keith gli rinfacciava il fatto di averlo salvato, e a Shiro non era piaciuto. Lo ripagò con la stessa moneta.
    Allora forse non avresti dovuto rubarmi Black e il posto da leader di Voltron.
    Probabilmente no. Ma io non posso più farci niente, tu invece sei ancora in tempo.
    In un attimo di timore, Shiro temeva che la loro amicizia sarebbe finita in quel momento, nel momento in cui Shiro aveva rivelato alcuni suoi pensieri segreti, ma non quelli che forse avrebbero cambiato il corso della sua vita, e Keith aveva fatto trapelare tutta la sua irritazione.
    Invece Keith gli aveva scritto il giorno dopo, si era offerto di dargli una mano a trasferirsi, a patto che lo avvertisse per tempo, e Shiro lo aveva candidamente accettato di nuovo nella sua vita)
    Il funerale fu una cerimonia intima, molto bella. Sarah tenne un discorso molto sentito sul padre, facendo riferimento al fatto di essere stata adottata, ma proprio per questo si era sentita ancora più amata. Quand’era bambina il padre lavorava ancora, ed era un piacere vederlo tornare a casa e rivolgerle il sorriso più ampio che avesse, solo per lei. Ricordò le vacanze che avevano fatto assieme loro due quando Shiro era via per la visita annuale ad Allura (e con malizia Shiro pensò che era una frecciata a lui stesso), il giorno del matrimonio e la nascita della figlia.
    Adesso sono rimasta sola, concluse il discorso. Sono vecchia, sono io la capofamiglia, eppure mi sento ancora bambina in questo momento, e avrei bisogno di mio padre. Ma so che continuerà a vegliare su di me da lassù.
    Si era anche premurata di non lasciare uno spot disponibile per Shiro, non l’avrebbe fatto parlare al funerale di suo marito. È imbarazzante che sembri così giovane, gli aveva detto, e poi aveva fatto un commento durante il discorso in cui diceva che era troppo preso per poter parlare, ma che ringraziava tutti i presenti.
    Shiro si sentì defraudato del suo stesso matrimonio. Keith, che era tornato a sedersi su una delle ultime panche, aveva uno sguardo serio sul viso, ma Shiro riconobbe la leggera irritazione dal modo in cui stringeva le braccia.
    Quando le cose tra Shiro e Sarah avevano iniziato ad andare così male?
    (Eh, niente, ero veramente commosso, manco l’avessi partorita io. Tre chili e mezzo di puro amore, un parto facilissimo.
    Sono contento per te, nonnino.
    Mamma mia, non dirmelo, ancora non posso crederci che è successo. Mi sento ancora così giovane.
    Per me tu giovane non lo sei mai stato, old timer.
    Ah ah, divertente. Ma dimmi, riesci a passare uno di questi giorni? Appena hai finito la missione.
    Non sono sicuro che a Sarah faccia piacere.
    Ma dai, perché? Lo so che ultimamente vi siete un po’ persi di vista, ma…
    Tu chiediglielo. Se vuole vengo a conoscere tua nipote, altrimenti no.
    Shiro l’aveva chiesto a Sarah, che era sembrata quasi infastidita dalla cosa. Alla fine, Keith non era mai venuto, e Claudia l’aveva conosciuta solo molto più avanti, quando era troppo tardi).
    Dalla chiesa andarono al cimitero, a seppellire la bara. A quel punto sia Claudia sia Sarah singhiozzavano visibilmente. Shiro era al loro fianco, immobile. Era certo che avrebbe sentito la mancanza di Curtis, c’era come un vuoto dentro di sé che non riusciva a spiegarsi, ma allo stesso tempo non era abbastanza triste da piangere. Forse perché era abituato alla perdita, si era indurito con gli anni. O forse, speranzosamente, gli sarebbe arrivata la botta dopo, tutta assieme.
    Keith era rimasto per tutto il tempo in disparte, ben lontano dalla famiglia ma anche da qualsiasi gruppo del funerale. Una volta che la gente iniziò a disperdersi, con gli ultimi saluti e le ultime condoglianze ormai poco sentite, si avvicinò e mise una mano sulla spalla di Shiro.
    “Ti accompagno a casa?”
    Shiro annuì. “Volentieri. Tu devi ripartire subito?”
    “Posso fermarmi qualche giorno, non è un problema. Davvero,” aggiunse, con uno sguardo eloquente, impedendo a Shiro di protestare.
    Non lo fece. Non voleva tornare nella casa vuota. “Grazie.”
    “Starai da papà, Keith?” domandò Sarah.
    Invece di rispondere, Keith si voltò verso Shiro, che disse, “se vuoi, certamente.”
    “Pensavamo di stare noi un po’ con te, papà,” disse allora Sarah, rivolgendosi unicamente a Shiro. “Ma evidentemente, come sempre, hai di meglio da fare.”
    “Non è che la presenza di Keith vi impedisca di venire,” le fece presente Shiro gentilmente.
    “Invece sì.” E se ne andò, ricongiungendosi con la sua famiglia. La vide agitarsi mentre parlava con suo marito, e poi Claudia tirò uno schiaffo a Roy e lo trascinò via. Non passarono nemmeno a salutare Shiro, e lui pensò che, ora che Curtis era morto, non aveva davvero nessun legame con la sua famiglia.
    “Lo rovineranno, quel ragazzo,” commentò Keith, ed era strano che si lasciasse andare a commenti del genere. Come quello di prima.
    “Così come Curtis ha rovinato me?”
    Non si aspettava che l’avesse sentito, e la sorpresa fu chiara sul suo volto, ma poi non disse nientr’altro, solo annuì. “Sono sicuro che pensasse di agire per il tuo bene, ma è così.”
    (A te Curtis non piace.
    Non è vero.
    Stasera hai parlato solo con me.
    Ho giocato anche con Sarah.
    Ignorando Curtis quando lei cercava di parlarle.
    Uno sbuffo seccato.
    Non è che Curtis non mi piaccia… è okay. Solo che non ho niente in comune con lui.
    È mio marito.
    Non ha niente in comune nemmeno con te infatti.)
    Alla fine ritornarono a casa silenziosamente, con la hoverbike di Keith, Shiro che stava dietro e si aggrappava a lui, e mentre il vento gli passava tra i capelli, rimpianse le corse che si facevano quand’erano più giovani e più liberi.
    Era il giorno del funerale di suo marito, e non voleva essere arrabbiato anche con Keith. Quindi, quando parcheggiarono davanti a casa di Shiro e scesero, Keith con il suo zaino sulle spalle, disse, “ti chiedo scusa io per il comportamento di Sarah. Sai che era molto affezionata a Curtis, più che a me alla fine, forse non è mai riuscita a smettere di vedermi come l’eroe che tutti attorno a lei consideravano. È un po’ fuori di testa per questo.”
    “Non è così.” Keith scosse la testa. “Sono anni che Sarah mi odia, so anche il momento esatto in cui ha iniziato. Ho cercato di essere civile perché è tua figlia, ma francamente, non so se me la sento ancora di esserlo dopo tutto quello che ti ha fatto. La realtà è che sono sempre stati la famiglia di Curtis, non la tua.”
    “Sono sicuro che non è così,” rispose Shiro. “Certo Curtis aveva legato con lei in una maniera che non mi è mai riuscita, ma è pur sempre mia figlia.”
    “Nemmeno più di nome ormai,” puntualizzò Keith. “Shiro, lo sai che ti voglio bene e farei qualsiasi cosa per te, e per questa ragione non mi sono mai intromesso negli affari fra te e Curtis, ma lui ti ha plasmato come voleva, e tu l’hai lasciato fare perché era quello che pensavi fosse necessario. Adesso però Curtis è morto. Non voglio davvero ballare sulla sua tomba, è stato una persona molto importante per te, ma adesso hai la possibilità di andare avanti.”
    Tutte quelle frasi gli sembrarono ingiuste, e ancora di più nei confronti di un morto. Dentro di sé Shiro si rammaricava perché, se era davvero tutto ciò che pensava, avrebbe dovuto dirglielo prima. Avrebbe dovuto dirglielo prima che si sposasse, prima che adottassero Sarah, prima che fosse troppo tardi.
    Invece se n’era andato. Si era preso la leadership di Voltron, si era preso il compito di riunire i Galra, e Shiro era rimasto indietro, a ricostruire i cocci della sua vita che lui aveva salvato. Non gliel’aveva chiesto, a dirla tutta.
    Invece disse, “non è vero, quelle tra me e Curtis sono stati compromessi. Si fa così, nel matrimonio.”
    Keith non rispose finché non furono in casa.
    “Chi ha deciso quando e dove sposarvi? Chi ha deciso che era meglio se ti ritiravi per fare terapia? Chi ha deciso dove andare ad abitare? Chi ha deciso di adottare Sarah, e di chiamarla così? Guarda caso, Claudia ha il nome della sorella di Curtis, non di qualcuno legato a te. E Roy anche.” Agitò il braccio per indicare la casa attorno a sé. “Guarda questa casa. C’è qualcosa di tuo qui? Di quello che tu sei sempre stato?”
    “Perché mi dici queste cose adesso?” chiese infine Shiro. “Mio marito è appena morto, e tu mi stai dicendo che ho buttato la mia vita. Non è giusto.”
    Si sentì tremare, ma non era la rabbia, e nemmeno la tristezza. Era una sensazione, quella, orgogliosa, di voler aver ragione a tutti i costi. Ma dovunque si girava, vedeva l’impronta di Curtis, di quello che lui era, di come si era preso Shiro quasi come un marito trofeo e di come Shiro gliel’aveva lasciato fare perché, per una volta, voleva qualcosa di tranquillo, comprensibile. Curtis lo era, era facile.
    Keith non era mai stato nulla di tutto ciò. Per diventare suo amico aveva dovuto scavalcare dei muri quasi invalicabili, e aprire i suoi a lui. Keith era difficile, era pericoloso. Eppure, a vederlo adesso, riusciva a immaginarsi tutta un’altra vita, una vita in cui non era bloccato sulla terra con una famiglia, in una casa col giardino e i vicini normali (il cane era morto un paio di anni prima).
    No, la vita con Keith sarebbe stata nomade, a dormire nel freddo del pavimento della nave che Keith chiamava casa, o all’addiaccio su qualche pianeta, e i loro vicini sarebbero stati alieni, blu, rossi, verdi, persone diverse. E lui non sarebbe stato Takashi Shirogane, salvatore della Terra, marito e padre devoto, ma solo Shiro il pilota, l’esploratore.
    Era una vita che aveva sempre avuto paura di affrontare, proprio lui, perché significava andare oltre quello che Keith rappresentava e che gli aveva sempre dato.
    “No, no, Shiro, non stavo dicendo questo.” Ora Keith lo stava abbracciando stretto, gli stava trasmettendo il suo calore, e lentamente il tremore cessò. Keith lo trascinò a sedere sul divano. “Sicuramente sei stato felice con Curtis, e con Sarah, e con Claudia. Ma loro hanno preso la loro strada, hanno preso le loro decisioni. Tu sei ancora libero di decidere che cosa vuoi.”
    “Vorrei te,” ammise Shiro. “Fare quello che fai tu.”
    La sorpresa venne sostituita subito dalla tristezza. “Non è una buona idea essere me, Shiro. È colpa mia se il tuo rapporto con Sarah è rovinato, e probabilmente Curtis era troppo innamorato perché rovinassi anche il tuo rapporto con lui.”
    “Ma che stai dicendo…” La voce di Shiro andò scemando mentre si ricordava di quello che Keith aveva detto prima. “Da quando Sarah ha iniziato a odiarti?”
    “Ti ricordi l’estate che siete venuti a trovarmi a Daibazaal?” gli disse Keith, non con qualche imbarazzo. “Io e te eravamo andati a fare quella gita nel deserto con le hoverbike, Curtis e Sarah non avevano voluto venire…”
    “Oh, sì, mi ricordo, Sarah aveva circa quattordici anni,” Shiro rise. “Eravamo stati beccati da una tempesta di sabbia e siamo rimasti fuori tutta la notte… Ci ho messo giorni a liberarmi di tutta quella sabbia…”
    “Be’, quello è stato il momento in cui Sarah ha iniziato a odiarmi.”
    “Non capisco.”
    Keith sospirò. “È stato il momento in cui ha capito che tu non avresti mai amato Curtis come amavi me, e che io ti amavo nella stessa maniera, e che io sarei stato sempre al primo posto nella tua lista di priorità. E allora lei decise che sarebbe stata dalla parte di Curtis sempre, anche contro di te.” Scosse la testa. “È inutile negarlo, è stata proprio lei a dirmelo, anni dopo, quando ero venuto a vedere Claudia. Non mi voleva nella sua vita, perché non mi voleva nella tua.”
    Shiro si ricordò di quando Keith era venuto a vedere Claudia, e di come poi se n’era andato improvvisamente in tutta fretta, con la scusa di un’emergenza improvvisa delle Lame. E Shiro gli aveva creduto, forse perché era più facile farlo.
    “Sarebbe stato meglio che me le avesse dette in faccia, forse avrebbe sofferto di meno.”
    “Sei pur sempre suo padre, credo temesse che parlarne con te avrebbe rovinato il matrimonio con Curtis, e lei non voleva questo. Ero io il nemico, io la persona da allontanare.” Scosse le spalle. “Ma io sapevo che si sbagliava, e quindi sono stato egoista e sono rimasto tuo amico.”
    “Claudia non si è sbagliata,” disse allora Shiro. “Ha capito le cose prima di tutti, prima ancora di me. Ma quello che ha detto è vero: io non ho mai amato e amerò mai una persona quanto te, Keith.”
    Il rossore si spanse immediatamente sul viso di Keith, e lui distolse lo sguardo. “Non me l’avevi mai detto.”
    “No. Ero incazzato dopo tutto quello che era successo, e tu ti comportavi come se niente fosse. Ti amavo e ti odiavo assieme, e poi tu te ne sei andato e io ho pensato che fosse semplicemente più facile dimenticare tutto. Ma non sono mai riuscito a farlo, nonostante tutto.”
    “Nemmeno io.” Keith sorrise. “Sono contento che tu non l’abbia fatto.”
    “Posso venire con te?”
    “Dove?”
    “Dovunque?”
    “Domani?”
    “Domani, dopodomani, per sempre.”
    Erano anni che non vedeva Keith piangere, da che si ricordasse l’aveva fatto solo una volta, alla morte di Allura, ma di nascosto a tutti, anche a lui. Invece adesso stava piangendo in piena luce, lacrimoni che gli riempivano gli occhi e scorrevano velocemente sulle guance, senza che lui potesse fare nulla per fermarli.
    Shiro gli accarezzò il viso, i capelli, si baciarono con il sale delle lacrime che si mescolava sulle sue labbra, e finalmente tutto tornò al suo posto. Il buco che Shiro sentiva nel petto si era improvvisamente dissolto, come se fosse sempre stato per la mancanza di Keith, e fino a quel momento ci aveva infilato dentro Curtis, la famiglia, solo per rimediare a quella mancanza.
    “Sì, sì, sì.”
    Era l’inizio di una nuova vita.
     
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