Cadere e riprovare

[Yuuri! on Ice]

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    La luce azzurrina del cellulare illuminò la stanza. Nello scuro della notte, fu più che sufficiente a svegliare le due ragazze addormentate a letto. Dopo un breve stiracchiamento, Mila tirò fuori il braccio dal letto e cercò a tentoni il cellulare sul comodino. Lo prese e se lo portò sotto le coperte, scrollando il touch con il pollice per vedere che cosa aveva causato l’avviso luminoso.
    Era una mail dal suo allenatore.
    Tirò un sospiro di sollievo dopo averla letta.
    Le braccia di Sara apparvero dietro di lei e la abbracciarono, le mani si unirono sul suo petto prima di trascinarla indietro, più vicina a sé.
    “Che cosa c’è di tanto importante a quest’ora di notte?” chiese lei, la voce biascicata e impastata dal sonno.
    “Mi hanno assegnato due tappe di Gran Prix.”
    “Oh, bene. Dove sei? Siamo assieme?”
    “Russia e Cina.”
    “Meh,” borbottò Sara. “Io sono in Canada e in Francia. Meglio, eh, sono più vicina alla Francia che vuol dire meno rotture per gli spostamenti, ma…”
    Mila non rispose. Spense il cellulare e lo riappoggiò sul comodino. Sara si accoccolò ancora di più accanto a lei.
    “Eri davvero così preoccupata che non ti avrebbero dato tappe al Gran Prix?”
    “Per te è facile,” rispose Mila. “Sei l’unica pattinatrice decente della tua nazione. Io ho perso le Olimpiadi perché hanno fatto gareggiare una ragazzina, e adesso ne faranno gareggiare tre contemporaneamente.”
    Si morse leggermente il labbro, pensando che non era giusto prendersela con Sara solo perché era nata in un paese con una cultura del pattinaggio meno importante di quella russa, ma d’altronde, se non si sfogava con lei, con chi poteva farlo? E c’era davvero una parte terribile di lei che pensava che Sara fosse fortunata: con il suo parco salti, in Russia non sarebbe mai uscita dai confini nazionali.
    “Sei pur sempre la vicecampionessa olimpica in carica,” le ricordò Sara. “E quanti mondiali hai vinto?”
    “Vogliono che mi ritiri,” Mila rispose. “Ho fatto il mio tempo, anzi, anche di più considerando altre pattinatrici. Il quadriennio olimpico, e la medaglia olimpica. La mia carriera è finita.
    “Esagerata!”
    “Ho quasi diciannove anni. Sono vecchia.”
    Sara rise, il suo corpo che si agitava leggermente contro la schiena di Mila. “Allora io dovrei essere decrepita. E Brenzina cosa dovrebbe dire?”
    “Per i maschi è diverso.”
    “In cosa?”
    “Non puoi capire.”
    “Allora spiegamelo.”
    “Non capiresti.”
    Sara sbuffò. “Fai come ti pare.” E si voltò dall’altra parte, staccandosi anche un poco dal corpo di Mila e lasciando al freddo la traccia calda sulla sua pelle.
    Ma Mila non poteva spiegarlo. Sara era una privilegiata, non avrebbe mai capito cosa voleva dire perdere i campionati nazionali in Russia. Sara si poteva addirittura permettere di saltarlo e non l’avrebbe giudicata nessuno.
    Per lei era diverso.
    L’opinione pubblica russa l’aveva fortemente criticata dopo che aveva lasciato Yakov e la Russia per andarsi ad allenare in America con Celestino. Nonostante tutte le vittorie che aveva portato alla Russia e nonostante si fosse fatta addirittura portavoce degli atleti russi per la partecipazione alle olimpiadi, nel momento stesso in cui aveva deciso di proseguire la sua carriera ignorando i binari imposti dal corso che aveva preso il pattinaggio femminile russo, era diventata una traditrice della patria.
    Ma era l’unica soluzione, per lei. In Russia le pressioni sarebbero state troppe. Yakov non era come altri allenatori, teneva alla salute dei suoi atleti, motivo per il quale aveva impedito a Yurji di fare quadrupli prima di una certa età. Ma d’altronde era conosciuto di più per il suo talento nell’allenare il campo maschile, che aveva meno problemi di età, ed era anche fortemente criticato per il suo modo di allenare vecchio.
    Mila aveva necessità di andare da un allenatore che volesse valorizzare i propri atleti senza considerare il fatto che fossero russi, o già famosi.
    Celestino era stata la scelta migliore, e la prima cosa che gli aveva detto era che tutti i suoi salti erano impostati male. Il lutz, soprattutto, partiva sempre dal filo sbagliato, e anche il flip aveva un filo troppo piatto. Pure l’axel aveva una partenza non bellissima, e se Mila avesse continuato così non sarebbe mai riuscita a eseguirlo triplo, il quale era uno dei suoi obiettivi per cercare di restare al passo con gli altri.
    Ci avevano lavorato a lungo, e Mila aveva preso la presa su tutti i suoi salti, e su tutte le sue combinazioni triplo triplo. Lei, che era una di quelle pattinatrici che non cadeva mai in gara, che portava a casa quattro combinazioni anche quando sapeva che l’ultima sarebbe stata annullata, per il solo piacere di essere in grado di farlo, adesso aveva difficoltà con un semplice triplo doppio.
    Le prime gare furono un orrore da parte sua. Era anche cresciuta ancora di altezza e non aveva più la sicurezza di una volta. Ma Celestino era al suo fianco, e piano piano Mila aveva capito il suo modo di lavorare e aveva riacquisito una certa sicurezza sui salti. I giudici sembravano favorirla ancora come una volta e, nonostante tutte le polemiche iniziali, era stata convocata anche per il mondiale, doveva si era portata a casa la medaglia di bronzo.
    Ma le polemiche non erano cessate: molti pensavano fosse stata favorita in quanto russa, scippando la medaglia a una più meritevole atleta giapponese (più giovane e con il triplo axel nelle gambe), e molti non le avevano ancora perdonato il tradimento di aver lasciato la Russia, soprattutto considerando che non sembravano vedere chissà che incredibile miglioramento in lei.
    E adesso, era l’anno delle quadrupliste, ragazzine di quindici anni alte un metro e zero e di un peso minore di venti chili, in grado di fare tre o quattro salti quadrupli a gara come se nulla fosse. Potevano anche essere le peggiori interpreti al mondo, ma con un bagaglio tecnico del genere erano imbattibili.
    Altre atlete usa e getta, probabilmente, con un filo del luzt completamente errato e salti sottoruotati che venivano ignorati dalle giurie (giurie che lo avevano ignorato anche a lei finché non aveva deciso di lasciare la Russia). Nessuna di loro sarebbe arrivata alle Olimpiadi, fra tre anni. Ma ciascuna di loro avrebbe distrutto la carriera di Mila, che si rifiutava di fermarsi a tre anni di carriera e poco più.
    Ecco perché Sara non poteva capire. Lei avrebbe continuato a partecipare a Europei e Mondiali ancora per molti anni. Non gareggiava contro nessuno se non contro sé stessa.
    Mila gareggiava contro un intero sistema.
    Chiuse gli occhi e tentò di addormentarsi.

    La prima tappa di Gran Prix fu un disastro.
    Mila cadde due volte durante lo short program, e sebbene i PCS l’avessero tirata un po’ su con il punteggio, non c’erano speranze di arrivare a podio, nemmeno con un libero perfetto. Non che Mila si sentisse in grado di essere perfetta, tra l’altro.
    Così sfumava anche la possibilità di arrivare alla finale, con due terzi posti, o con un quarto e un primo forse avrebbe potuto farcela, ma vedeva bene le altre di fronte a sé, che non avrebbero ceduto di una virgola. No, non c’era da sperarci in una finale.
    Era una delusione enorme: il primo anno, l’incertezza ci poteva stare. Adesso era al secondo anno con Celestino, avrebbe dovuto vedere i miglioramenti, non fare quel programma disastroso. Non capiva cosa fosse successo.
    Celestino, invece, sembrava un esperto nel gestire atleti che combinavano disastri, e attribuiva tutto all’ansia da prestazione.
    “Tu pensi che devi dimostrare qualcosa a qualcuno,” le disse, “e quindi ci pensi. Pensi a quello che penserà se fallirai, e questo ti crea ancora più paura di fallire, per cui, poi fallisci sul serio.”
    “Dimmi qualcosa che non so.”
    “Alla prossima tappa non avrai più niente da perdere, dato che la qualificazione alla finale è andata ormai. Pattina solo per vedere come sei in grado di farlo adesso.”
    Non era esattamente una cosa che Mila non sapeva, si era già fatta i conti sul Gran Prix, ma annuì ugualmente. Non che avesse molte altre alternative.
    Eppure dentro di sé rosicava: la finale poteva essere l’unica sua chance per accedere a mondiali e europei.

    Sara era invece riuscita a classificarsi alla finale. All’ultimo posto, certo, senza possibilità di podio, però era là, tra le sei migliori pattinatrici, aveva un’altra gara e non aveva nemmeno il terrore che attanagliava Mila in attesa dei nazionali.
    Riuscì solo a mandarle un messaggio breve di congratulazioni, ignorando le sue chiamate. Al momento, riusciva solo a sentirla se era in una giornata buona, e di recente ce ne erano molte poche. Solo dopo la seconda tappa, quando era riuscita a presentare due buoni programmi (ma entrambi senza flip) se l’era sentita di parlare con lei, di risentire la sua voce.
    Non avevano parlato del pattinaggio. Sara aveva cianciato a lungo di suo fratello e delle ultime cosa che le aveva combinato e di come ancora non sospettasse nulla della loro relazione e di come fosse ancora completamente non consapevole di tutti i flirt che altri pattinatori maschi tentavano nei suoi confronti.
    Era stato bello per un po’ togliersi dalle spalle il peso delle convocazioni.

    Ma i Nazionali russi la riportarono diritta nel baratro in cui era caduta.
    Il secondo giorno di allenamenti, infatti, le si ruppe un pattino. Non ne aveva di ricambio, non molti pattinatori li avevano, adattandosi come un guanto a quelli che usavano sempre. Fare una gara con un paio di pattini nuovi era impensabile. Ritirarsi, ancora meno.
    Celestino, con calma e pazienza, senza smettere di far presente che avrebbe potuto rischiare un infortunio ancora più grave, le riparava il pattino con lo scotch.
    “Se non ottengo un buon risultato, addio europei e mondiali.”
    “Se cadi e ti infortuni, addio europei e mondiali ugualmente, forse per un tempo ancora maggiore.”
    “Nemmeno tu pensi che io possa farcela, vero?”
    “Non ho detto questo.”
    “Ma la base del tecnico da cui parto è più bassa di altre atlete.”
    “Il tuo tecnico era più basso l’anno scorso rispetto ad altre atlete, e sei arrivata a podio ugualmente.”
    Grazie alle giurie, non lo disse. Lo sapevano entrambi. Ma non avrebbe avuto una giuria favorevole questa volta, tutti con gli occhi brillanti nel vedere le quadrupliste. Nemmeno Yurji era così magro quando aveva quindici anni.
    Entrò in pista con rabbia in corpo e, nonostante non sentisse il pattino bene come al solito, fece il programma migliore della stagione. Mancò la combinazione triplo triplo facendo solo un doppio, ma nel complesso era stato un programma pulito.
    Che le valse il quarto posto dietro alle ragazzine.
    Sentiva già i mormorii dietro di sé, la consapevolezza che la stavano giudicando troppo vecchia, superata. L’anno prossimo ci sarebbero state altre quadrupliste ancora, altre ragazzine a farla sentire ancora vecchia, ancora alla fine della sua carriera, anche se aveva soltanto diciannove anni.
    “Che cosa vuoi fare?” le chiese Celestino.
    “Non me la sento di gareggiare così, domani,” disse lei infine. Aveva gli occhi bassi. “Hai ragione tu, non vale la pena di rischiare un infortunio.”
    Celestino annuì. “Una decisione giusta. Tu cambiati pure, vado a annunciare il ritiro alla commissione.”
    “Aspetta,” lo fermò lei. “Prima… vorrei scrivere una dichiarazione. Per spiegare.”
    “Sanno già tutti che hai il pattino rotto.”
    “Sì, ma… sappiamo tutti e due che un mio ritiro vuole anche dire che non parteciperò né agli europei né ai mondiali, nemmeno se una delle altre si infortunasse. La mia stagione quest’anno è finita, e vorrei essere io ad annunciarlo prima che lo dicano gli altri.”
    “Va bene. Quando hai finito di cambiarmi andremo entrambi in sala stampa.” La squadrò poi da capo a piedi, e lei aveva già di nuovo abbassato lo sguardo.
    “Ma non ti stai arrendendo, vero?”
    “No.”
    Ma nonostante la risposta, si sentiva debole e svuotata di tutte le energie. Magari non si era arresa, ma aveva perso, contro i suoi detrattori, contro il mondo del pattinaggio, contro le ragazzine e perfino contro la sua stessa fortuna.
    Valeva davvero la pena combattere?

    Sentì Sara tramite via messaggio per comunicarle che non si sarebbero viste agli Europei (per Natale e Capodanno era impossibile, perché Sara doveva obbligatoriamente passarli con la famiglia) ma non la sentì al telefono prima della fine degli Europei.
    Sara riuscì ad arrivare al quarto posto, subito dopo le quadrupliste. Alcuni articoli on-line la definirono la prima dopo le marziane, e in un senso poteva anche essere vero, ma Mila avrebbe dovuto essere una marziana anche lei, visto da dove veniva, e invece…
    Però adesso, forse, Sara poteva capire un po’ di più cosa significava perdere contro di loro. Ma Sara era invece particolarmente allegra. Aveva fatto due programmi puliti, aveva ottenuto il massimo della stagione e partiva carichissima per i mondiali. Michele stava super preso perché anche lui aveva sfiorato il podio per pochissimi centesimi per cui erano già in pieno allenamento pre-mondiali.
    Mila li invidiava tantissimo.
    “Come riesci a non essere arrabbiata?”
    “Dopo aver perso, intendi?”
    “Sì. No. Dopo aver perso perché sei vecchia e ci sono delle quindicenni che saltano come grilli.”
    Sara rise, una risata ampia e cristallina. “Please, Mila, check your Russian privilege.”
    “Che cosa?”
    “Tu pensi che sia ingiusto questo modo di pattinare per le ragazzine russe? Sono d’accordo,” disse Sara. “Queste a malapena sanno mettere due crociati uno di fronte all’altro eppure ottengono otto o nove nei PCS come se piovesse, mentre altre atlete, solo perché magari non sanno fare una combinazione triplo triplo, non si vedono riconosciute la loro bravura nei passi a terra.”
    Mila rimase in silenzio. Lei stava pensando di più alla capacità di saltare.
    “Ma vedi, Mila, io con questa ingiustizia ci convivo dall’inizio della mia carriera,” continuò Sara. “Te l’ho detto che Michele è arrivato quarto? Gli hanno dato meno di otto alla voce performance. A quello che è arrivato prima di lui, quasi nove. Prova a guardare la differenza tra le loro due performance. Ma, ehi, l’altro pattinatore era francese. È da tutta la vita che vedo atlete prendere punteggi che non meritano sulla base della loro nazionalità. È da tutta la vita che perdo medaglie per questo. Almeno adesso ne sei consapevole anche tu.”
    Non l’aveva detto in modo cattivo, anzi, c’era un che di dolce nel suo tono. “Come riesci ad andare avanti?”
    “Perché amo il pattinaggio e amo pattinare,” Sara rispose, e Mila poteva sentire la sua alzata di spalle. “Quindi scendo in pista con l’idea di fare la miglior performance possibile, e poi di sperare in Dio. E tu, Mila, quando hai smesso di amare il pattinaggio?”
    Alle scorse olimpiadi, Mila pensò subito. Quando non aveva vinto la medaglia d’oro per colpa di un’altra quindicenne. Eppure la sua era stata una buona performance, non aveva commesso errori palesi, e di certo i giudici avevano alzato l’asticella dei PCS della sua avversaria a discapito dell’effettiva prestazione. Non c’era molto altro che Mila avrebbe potuto fare in quella situazione, evidentemente non c’era molto che numerose pattinatrici potevano fare contro le regole dell’ISU.
    A Sara però disse un’altra cosa.
    “Non lo so, ma voglio iniziare di nuovo.”
     
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