Maschera

[One Piece] - what if?

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    Prologo

    Le lenzuola erano bianche, di seta purissima; qualunque altro tipo di stoffa avrebbe potuto irritare la sua delicata pelle. Tre cuscini riempiti di piume d’oca, abbastanza per poterci appoggiare comodamente la testa e non danneggiare il collo, con i boccoli biondi liberi di spargersi attorno. La persiana alla finestra era chiusa, ma permetteva comunque ad alcuni raggi di insinuarsi nella stanza scura e posarsi su di lui, pur senza disturbarlo: d’altronde, non si diceva che il sole baciava i belli?
    Cavendish era quindi comodamente sdraiato sul suo letto, dormendo e facendo bei sogni (come avrebbe potuto essere diversamente?), quando il suo vice-capitano ebbe la brillante idea di precipitarsi gridando nella sua cabina, con un seguito di uomini della ciurma piuttosto cospicuo.
    “Dannazione!” Cavendish balzò su, spaventato, e poi rivolse loro un’occhiataccia. “Quante volte vi ho detto che non voglio essere svegliato? Questo non farà bene alla mia pelle, me lo sento…” mormorò, accarezzandosi una guancia che ancora presentava le pieghe dei cuscini.
    “Sei bellissimo come sempre, Capitano,” cercò di rimediare uno dei suoi uomini, ricevendo un altro sguardo di disapprovazione. Senza trucco e con i capelli tutti all’aria? Ma certo!
    “Cosa c’è?” domandò seccato. Prima scopriva cosa volevano, prima poteva andare a sistemarsi, sperando che la sveglia improvvisa non gli avesse fatto venire le occhiaie.
    “Guarda qui!” disse il vice-capitano, mostrandogli la prima pagina di un giornale. “Al torneo che si tiene a Dressrosa questo mese hanno messo in palio il Foco Foco!”
    “Che hai detto?” Cavendish si mosse gattoni verso di lui sulle lenzuola di seta, strappandogli i fogli di mano e leggendoli talmente in fretta che le frasi assumevano significati casuali. Ovviamente non si trattava del giornale ufficiale controllato dal governo, ma di quello che circolava nell’ambiente della malavita e che ben conosceva ogni singola notizia potesse interessare i pirati o coloro che erano disposti a ricorrere a mezzi non proprio legali. Ed essendo Doflamingo uno dei massimi esponenti della criminalità organizzata della Rotta Maggiore, non c’era dubbio che potesse utilizzare a suo piacimento quel canale di comunicazione.
    La notizia doveva essere vera. Il perché il Foco Foco fosse stato messo in palio proprio in quel momento non gli era chiaro, ma ci doveva essere una ragione sotto.
    “Non pensi che sia un’ottima occasione?” domandò il suo vice-capitano. “Potresti ottenere un buon frutto e anche avere la possibilità di incontrare uno dei tuoi nemici.”
    Cavendish si voltò, passando lo sguardo sulla parete, dove erano disseminate le taglie delle supernova appartenenti alla Worst Generation, ormai completamente illeggibili a causa dell’uso come bersaglio; in alcune c’erano ancora infilati i coltelli. Con un premio del genere in campo, era probabile che almeno una di loro si sarebbe mossa per accaparrarselo. Almeno una.
    “In fondo…” mormorò, spostando quasi casualmente una ciocca bionda dietro le spalle, “…un potere bello come il fuoco non sarebbe perfetto per me?” I suoi uomini risposero in coro con grida quasi animalesche: non molto elegante, ma rendeva l’idea. “Benissimo. Cerchiamo di arrivare all’isola più vicina e recuperare un Eternal Pose per Dressrosa.” Scese finalmente dal letto. “Ora fuori di qui, così forse riuscirò a rendermi presentabile!”
    Una volta che i suoi uomini chiusero la porta della cabina dietro di loro, Cavendish andò ad aprire la finestra, per far entrare luce ed aria nella stanza. Poi si diresse verso il bagno: doveva essere pronto a quello che sarebbe arrivato.
    Avrebbe preso il Foco Foco a qualsiasi costo, ma non per la ragione che la sua ciurma credeva.

    Prima Parte

    Aprì la manopola dell’acqua e lasciò che l’acqua corresse lungo il fondo della vasca. Mentre aspettava che si riempisse totalmente, tolse la camicia da notte, gettandola in un angolo, e passò ad osservare il suo corpo nudo al grande specchio. Non un livido, una cicatrice, pelle liscia e chiara, splendida. Contemporaneamente, però, una corporatura snella, femminile, che nascondeva la sua vera forza. Non poteva negare che quello fosse stata sempre la causa dei suoi problemi. I femminuccia, i frocetto, le offese in generale si erano sempre sprecate. Non aveva avuto problemi a mettere a posto le persone, anche se non sempre era facile, specie quando veniva preso di mira dai ragazzi più grandi.

    La mano gli faceva male: una piccola perdita, rispetto alla soddisfazione di aver appena spaccato il naso a quel tipo.
    “Chi è la femminuccia adesso?” domandò, accennando ad un sorriso.
    “Bastardo! Adesso te la faccio vedere io! Prendetelo!”
    Cavendish sapeva che quel tipo non era solo, i bulli e i codardi non lo erano mai, ma di solito riusciva a cavarsela anche in inferiorità numerica. In quel caso, però, aveva sottovalutato il fatto che i due compagni del deficiente erano più grandi e grossi tipo il doppio di lui. Avrebbe facilmente potuto batterli in velocità e agilità, se non fosse stato per la sua eccessiva sicurezza che l’aveva fatto temporeggiare.
    Non importava quanto fosse forte, le mani che gli stavano serrando le braccia sembravano fatte d’acciaio, impedendogli di scappare. Colpì uno dei suoi assalitori con un calcio, ma la posizione non gli permetteva di metterci troppa forza, quindi non sortì alcun effetto sperato. Tornò a rivolgersi verso il tipo dal naso sanguinante, senza vacillare. Non avrebbe mica pianto o implorato, non era una femminuccia, lui. Non era una femmina in nessuna sua parte.
    Anche l’altro dovette pensare la stessa cosa, perché sembrava un po’ deluso nel vedere la sua reazione. Ma si riprese in fretta, ghignando e schioccando le dita.
    “Più ti guardo più non posso fare a meno di pensare che tu sia una ragazza,” gli disse. “Vediamo un po’ se ce l’hai il pisello là sotto.” Cavendish agitò braccia e gambe il più possibile, sia per rendergli l’operazione più difficile, sia per cercare di sottrarsi alla loro presa, con l’unico risultato di prendersi un destro sul viso, che gli fece sanguinare il labbro. “Ehi, c’è davvero! Una donna col pisello, mai vista una cosa simile!”
    “Non sono una donna!” replicò Cavendish con odio. Un naso rotto era decisamente troppo poco per l’umiliazione di ritrovarsi con i pantaloni calati fino alle ginocchia in quella maniera.
    “E anche se fosse una donna con un pene, che male ci sarebbe?” commentò allora una voce. Lui alzò lo sguardo e si ritrovò di fronte all’essere più strano che aveva mai visto. La Rotta Maggiore non era esattamente un posto per gente comune, ma quello li superava tutti: una testa enorme, sproporzionata rispetto al corpo, con capelli viola e ricci che la rendevano, se possibile, ancora più grande. La faccia era pesantemente truccata, benché sotto se ne riconoscessero le fattezze di un uomo. E il vestito!
    Era così preso a fissarlo che non si accorse che l’uomo aveva infilato le sue unghie nel fianco del suo assalitore e che quest’ultimo, piano piano, stava mutando d’aspetto. Non gli ci volle che poco affinché la trasformazione fosse completa, con quello che indebitamente era un seno femminile in evidenza oltre la camicia aperta. Non solo, tutta la sua corporatura aveva assunto fattezze da donna.
    “Donne come donne, uomini come uomini, ma anche donne come uomini e uomini come donne,” disse il nuovo arrivato, particolarmente soddisfatto del risultato, mostrando in evidenza le sue dita, molto più simili a siringhe in quel momento. “Il sesso non è importante, bisogna semplicemente esprimere se stessi.”
    Forse stava cercando di dire cose che avessero un qualche tipo di profondità, ma la metamorfosi fu sufficiente a convincere i bulli, quelli che avevano ancora tutte le cose al posto giusto, a scappare; l’altro era troppo sconvolto per riuscire a muoversi o anche solo ad articolare qualcosa di comprensibile, continuava semplicemente a toccarsi le tette, forse sperando di svegliarsi.
    “Qual è il tuo nome, ragazzo?” gli domandò il tipo che cambiava sesso alla gente. Cavendish fece un passo indietro: già somigliava ad una femmina, non era necessario che lo diventasse per davvero. Tuttavia inciampò nei sui stessi pantaloni calati, cadendo all’indietro. Pensò che fosse decisamente finita e che forse, almeno, le prese in giro sarebbero cessate. Invece l’uomo si limitò a pulirgli il sangue che gli scivolava dal labbro. “Che peccato, rischiare di rovinare un così bel viso…”
    Cavendish si sentì sollevare: era stato appena preso in braccio e caricato sulla spalla come una valigia qualsiasi. “Aspetta! Mettimi giù!” O almeno poteva lasciare che si tirasse su i pantaloni!

    In effetti si era trattato di un rapimento in piena regola. Riflettendoci, Cavendish si domandava ancora perché avesse opposto così poca resistenza. Chiuse il rubinetto dell’acqua e controllò che la temperatura fosse accettabile: non voleva certo scottarsi! L’unica spiegazione che si era dato era che, semplicemente, non aveva grandi alternative di fronte a sé e che un cambiamento era sempre meglio che rimanere in quell’isola del cavolo dove passava il tempo a farsi sfottere e a prendere a pugni quelli che lo facevano.
    Iva-san, alla fine, gli aveva insegnato molto. Anche se l’inizio non era esattamente stato dei più esaltanti.

    I membri della ciurma di Ivankov non erano altro che uomini vestiti da donna. Brutti uomini vestiti da donna, insomma, diversi da lui che almeno aveva i lineamenti femminili. Grandioso, fu il suo primo pensiero. Aveva fatto di tutto per evitare che la gente lo additasse come una femmina ed era finito in mezzo a gente che si comportava nell’esatto contrario.
    Si tirò semplicemente su i pantaloni, scoccando un’occhiataccia ad Ivankov che lo aveva lasciato in quelle condizioni per tutto quel tempo, e poi diede un’occhiata intorno. Adesso che la novità su di lui era passata e la gente aveva smesso di tirargli le guance, erano tutti ad occuparsi della preparazione per la partenza. Dato che non aveva niente da fare esplorò la nave: era stato spesso su un’imbarcazione per rubare, ma non aveva mai navigato. Si chiese come sarebbe stato.
    Nella sua esplorazione, incrociò un altro ragazzino come lui. Sedeva per terra, con la schiena appoggiata al parapetto, ed accarezzava un enorme lupo dal bellissimo manto argenteo. Poiché era l’unica figura su quella nave che vestiva come uno del suo stesso sesso, Cavendish si avvicinò con circospezione, chiedendosi se pure lui fosse stato raccattato per strada. Ma l’altro sembrò accorgersi di lui e voltò appena la testa per scrutarlo con i suoi occhi blu.
    “Sei un maschio?” domandò infine. Non era stata una vera e propria domanda, ma un’affermazione quasi seccata. Eppure era già un miglioramento: normalmente le persone chiedevano se fosse una femmina, almeno lui era stato più diplomatico.
    “Sì!” Per questo motivo la sua risposta fu forse un po’ troppo entusiasta. L’altro alzò gli occhi al cielo.
    “Che palle! Sono circondato da uomini che si vestono da donne. O che ci somigliano.” Scosse la testa, tornando ad accarezzare il suo lupo. “Mi sa che sono l’unico uomo qui.” Cavendish era decisamente stato troppo ottimista.
    “Io sono più che uomo!” esclamò, mettendosi davanti a lui. “Alzati e te lo faccio vedere.” Il ragazzo alzò leggermente il sopracciglio ed accennò ad un sorriso ironico, piegando l’angolo del labbro all’insù. Lentamente, si mise in piedi e si spazzolò delicatamente i jeans da una polvere invisibile.
    “Sentiamo, che cosa farai?” domandò. “Mi getterai un po’ di smalto addosso?”
    Cavendish progettava di dimostrargli che lo smalto se lo sarebbe creato col suo sangue, se proprio ci teneva, quando la nave diede uno scossone; allora capì che erano definitivamente partiti dall’isola. Ignorando totalmente l’altro si affacciò al parapetto ed osservò l’isola dove aveva sempre abitato che si allontanava lentamente. Era davvero fatta. Non si tornava indietro.
    Era così preso da quel momento che non si accorse inizialmente del fatto che l’imbarcazione dondolava parecchio e ciò gli dava parecchio fastidio. Quando provò a fare un passo verso la direzione della prua per vedere dove stavano andando si sentì girare appena la testa e lo stomaco attorcigliarsi. Si riaffacciò al parapetto e si assicurò di vomitare anche l’anima.
    Quando si voltò, trovò l’altro che lo stava fissando con le braccia incrociate e un sorriso soddisfatto in volto.
    “Femminuccia.”

    Ecco, quello era qualcosa che avrebbe preferito non ricordare. Sbatté via con forza il bagnoschiuma che aveva versato nella vasca e si prese tutto il tempo per entrare nell’acqua e rilassarsi con la bolle che si formavano e che lo avvolgevano. Era stato il suo primo viaggio su nave, era anche comprensibile che non fosse abituato. Ma Iulo era sempre stato un bastardo pieno di sé con il quale non potevi avere ferite aperte, o non avrebbe esitato a buttarci del sale dentro. E poi faceva del suo essere un “vero uomo” il suo cavallo di battaglia. Fortunatamente per Cavendish, Iva-san gli aveva insegnato che c’erano dei modi per sfruttare le sue debolezze.

    Mentre si guardava in uno degli specchi della grande sala da ballo, si chiese per quale assurdo motivo uno che truccava se stesso in maniera da essere il più inquietante possibile era in realtà in grado di sistemare un altro in maniera perfetta. Quando Ivankov l’aveva preso per ‘incipriarlo e cotonarlo’, cosa che sembrava decisamente adorare, Cavendish doveva ammettere di aver tremato all’idea di finire come uno della sua ciurma.
    Non che ora si sentisse totalmente a suo agio, ma rispetto alle conclusioni che aveva tratto inizialmente, era decisamente un passo in avanti. Non era stato un trucco invasivo, semplicemente della matita e del fard che accentuava la delicatezza dei suoi lineamenti e il blu dei suoi occhi. I capelli, che aveva sempre tenuto lunghi fino alle spalle perché non si era mai preoccupato di tagliarli, erano stati lavati e sistemati in maniera da essere ordinati in boccoli dorati.
    Insomma, pensò seccato, continuava a somigliare ad una femmina più di prima. Almeno era una bella femmina, non come Ivankov. E se non altro portava i pantaloni. A dire la verità non lo convinceva del tutto nemmeno l’abbigliamento scelto, con quel cappello dalla strana forma, il mantello e quei pizzi fru fru che spuntavano da ogni parte.
    Fissò il corridoio alla sua destra chiedendosi se non fosse meglio lasciare perdere ed andarsene, ma poi quell’insopportabile di Iulo gli avrebbe sicuramente dato del codardo e non se lo poteva permettere. Quindi alzò bene le spalle e fece qualche passo sicuro fino a raggiungere la zona centrale della sala da ballo. Ivankov, in versione femminile, stava amabilmente parlando con i padroni di casa, totalmente incurante di lui. Dall’altra parte, Iulo era seduto su uno dei divanetti e giocava a carte con le ragazzine presenti, le quali sembravano davvero apprezzare la sua compagnia.
    Avrebbe voluto unirsi a loro, ma prima doveva pensare a qualche frase ad effetto da dire, altrimenti Iulo l’avrebbe preso in contropiede e c’era il rischio che le femmine lo considerassero uno di loro, cominciando a chiedere consigli su make-up e roba varia. Gli era appena venuta in mente una cosa davvero figa, quando si ritrovò addosso gli sguardi di una delle donne presenti. Non convinto, fece un passo indietro per evitarla, ma lei stava guardando proprio lui.
    “Ma quanto sei carino!” Non era sicuro di aver sentito bene.
    “Io sono un maschio,” affermò quindi, per mettere subito in chiaro la cosa.
    “Ma certo che lo sei, tesoro,” fu la risposta della donna. “Ciò non toglie che tu sia molto carino. Ehi, guardate qui,” aggiunse, rivolgendosi ad altre due signore che parlavano poco distanti. “Il piccolo principe!”
    In poco tempo si ritrovò circondato da un numero non ben definito di donne e tutte le trovavano davvero carino. Piovevano complimenti da tutte le parti e soprattutto erano da parte di femmine sul fatto che lui fosse un ragazzino! Cavendish non era decisamente abituato a tutto ciò! E soprattutto non avrebbe mai immaginato che per essere riconosciuto come tale avrebbe dovuto accentuare la sua femminilità! Ma se funzionava, tanto meglio. Un po’ di fard non lo avrebbe reso meno uomo.
    Quando riuscì finalmente a districarsi dall’ingorgo di gonne che lo aveva circondato, sentì su di sé uno sguardo poco rassicurante. Allora alzò la testa e vide che Iulo era rimasto solo nel divano, dato che anche le altre ragazzine erano venute a vedere il “piccolo principe”.
    L’espressione che aveva manifestava appieno tutta la sua seccatura e Cavendish non poté trattenere il sorriso di soddisfazione. Uno pari.
    Anzi, era decisamente in vantaggio lui.


    Seconda Parte

    Era stato proprio quell’episodio a decretare la loro rivalità. Da quel momento avevano praticamente iniziato a litigare su qualunque cosa potesse costituire motivo di scontro, da qualunque cosa. Poteva essersi l’addormentarsi il più tardi possibile, con l’ovvia conseguenza che nessuno dei due dormiva praticamente mai (anche perché avrebbero finito per ritrovarsi del dentifricio un po’ ovunque). Poteva essere l’arrivare per primo a pranzo, o, meglio, far arrivare l’altro in ritardo. Insomma, riuscivano a tirare fuori una sfida da qualunque cosa.
    Era quindi inevitabile che prima o poi si sarebbero scontrati anche sulla specialità di Iulo: la spada.

    Quella mattina, Cavendish aveva perso più tempo del solito in bagno, in quanto si era accorto di avere delle occhiaie spaventose (colpa delle sfide serali) e non aveva più intenzione di girare in quelle condizioni. Così, quando scese a fare colazione dopo essersi truccato di tutto punto, ovviamente sapeva di doversi sorbire le frecciatine di Iulo.
    “Le donne ci mettono di meno,” fu infatti la frase con cui venne accolto.
    “Se sono assieme a te di sicuro,” ribatté, mentre si sedeva a tavola e avvicinava a sé il piatto che Inazuma gli stava porgendo. “Dov’è Iva-san?” domandò. Era raro non vederlo in giro da quando lo aveva praticamente adottato. Non si dovette nemmeno girare per vedere Iulo che alzava gli occhi.
    “Vivi qui da parecchio e non hai ancora capito niente…” Ma evidentemente non avrebbe capito nulla nemmeno quella mattinata, perché Inazuma non sembrava aver intenzione di spiegare le cose per bene.
    “Aveva qualcosa da fare nel Mare Orientale,” fu infatti l’unica cosa che gli venne detta.
    “Bon, io vado ad allenarmi,” commentò Iulo, a cui evidentemente piaceva informare la gente delle sue decisioni, anche quando a suddetta gente non gliene poteva importare di meno. Allungò la mano verso la sua lupa, che era seduta ai piedi della sedia, e questa alzò la coda. Lui la afferrò ed un istante dopo stringeva in mano una lunga spada argentea.
    Cavendish fissò la scena con la coda nell’occhio, fingendo indifferenza. Aveva scoperto quasi subito che l’animale era in realtà un oggetto con un Frutto del Diavolo Zoan e ne era in qualche modo affascinato. Il fatto che fosse di proprietà di Iulo faceva sì che ogni interesse nei confronti di quell’arma svanisse immediatamente, anche solo per non dargli soddisfazione.
    Quel giorno però era diverso. Non c’era Iva-san con cui stare, o da cui imparare le cose (aka i trucchi per truccarsi). In pratica non aveva nulla di interessante da fare, così, finita colazione, seguì Inazuma alla zona aperta che veniva utilizzata come allenamento. Inizialmente si sistemò un po’ di lato, appoggiato contro un albero, e rilasciando uno sbadiglio, coperto in ritardo con il dorso della mano. Non aveva nessun interesse a rimanere a guardare Iulo, solo che non aveva altro da fare. Chissà, magari era una chiavica ed avrebbe potuto prenderlo in giro!
    Purtroppo, però, non lo era. Non lo era affatto. E Cavendish, fissandolo mentre muoveva la spada, con la lama che scintillava al sole, pensò che c’era qualcosa di aggraziato in quel tipo di combattimento. Certo, Iulo era comunque abbastanza rozzo, ma il concetto in sé non era male. Fino a quel momento, si era occupato di cose più spirituali. Lui sapeva combattere, ma non aveva mai imparato ad usare un’arma.
    “Pensi di poter insegnare anche a me?” domandò allora ad Inazuma, i cui poteri del Frutto avevano parecchie cose in comune con l’uso di una spada. Iulo, che si era fermato un attimo per bere dalla borraccia, gli scoccò un sorrisetto ironico, prima di gettarsi l’acqua rimanente in testa.
    “Non fa per te,” commentò, voltandosi. “Pensa se ti venissero i calli alle mani!”

    Cavendish lasciò che la schiuma scendesse lentamente dal palmo della mano, per osservarselo con cura. Usare una spada era davvero rischioso per la pelle, ma era diventato parecchio bravo a tenere sott’occhio la situazione. Impugnare il manico in un certo modo, una particolare crema, l’uso dei guanti, erano tutti trucchi che aveva imparato per evitare effetti collaterali. E così non aveva avuto problemi a diventare davvero bravo come spadaccino.
    Be’, insomma, proprio nessuno problema no.

    “Tieni,” disse Inazuma, porgendogli una delle spade che si usavano per gli allenamenti. Si capiva perché a differenza di quella di Iulo aveva la lama rovinata, rigata e anche un po’ arrugginita. Decisamente non adatta ad uno come lui, tanto che gli faceva schifo toccarla. Probabilmente i suoi pensieri erano intuibili dalla sua espressione, perché Inazuma spinse leggermente la spada in avanti per invogliarlo a prenderla.
    Allora Cavendish allungò la mano ed afferrò il manico, ma nell’esatto momento in cui l’altro mollò la presa, inciampò in avanti per il peso dell’arma. Si rimise in piedi ed afferrò l’impugnatura con entrambe le mani, cercando di alzarla fino all’altezza del suo petto, cosa che sembrava molto più facile quando era Iulo a farlo. Si sentiva sbilanciato, con tutti i muscoli delle braccia in tensione. Non appena accennò un passo, incespicò nuovamente.
    Ringraziò mentalmente che il pallone gonfiato non fosse nei paraggi, o l’avrebbe sfottuto a vita. Si rimise in piedi e provò nuovamente. Forse era come andare in bicicletta, non bisognava restare fermi troppo a lungo. Si guardò attorno per cercare un possibile bersaglio e lo individuò in un manichino poco distante. Allora concentrò tutte le sue energie per alzare la spada oltre la sua testa, pronto a lanciarsi verso il nemico… E il peso dell’arma lo trascinò all’indietro, facendolo cadere con il sedere a terra.
    “Forse per te ci vuole un altro tipo…” fu il commento di Inazuma, che era rimasto ad osservare tutta la scena senza dire una parola. Andò all’armadio e vi rovistò a lungo, finché non estrasse una spada. Anche questa era rovinata, ma la forma era completamente diversa dalla precedente, l’elsa era più sottile e così anche il manico. Era più lunga e flessibile.
    Quando Cavendish la prese in mano, non si sentì affatto sbilanciato, né doveva sforzare i muscoli per muoverla. Era come un’estensione naturale della sua mano. Certo, sembrava molto meno potente rispetto a quella che aveva provato prima, ma proprio per questo gli assomigliava: ingannava le apparenze sotto un aspetto femminile.
    “È un fioretto,” gli disse allora Inazuma.

    Si passò il panno sulle braccia, con delicatezza. Premeva leggermente, sentendo i muscoli al di sotto, che però non erano cresciuti abbastanza da rovinare il suo corpo longilineo. Il fioretto poteva essere più leggero da portare in mano, ma per diventare potente serviva parecchio allenamento e parecchia forza. Aveva sempre evitato di esagerare, per non sformare il suo corpo, puntando su velocità e destrezza, ma le sue braccia non erano male. Riuscire ad essere forti ed aggraziati nello stesso tempo non era decisamente da tutti.
    Non certo da Iulo.

    Il fatto è che si era reso conto di avere un talento naturale per il fioretto. Adorava la sensazione del vento che gli scuoteva i capelli e della lama che sibilava mentre lui tirava fendenti. Adorava sentire la resistenza degli oggetti mentre li colpiva e li tagliava, sapendo che era una sua scelta risparmiarli. E, si sa, i geni sono migliori degli altri e riescono meglio anche di chi si allena duramente, ecco perché li chiamano così.
    Ed ecco perché Cavendish scalpitava da sempre per sfidare Iulo, e solo Inazuma, che pian piano gli insegnava i trucchi, lo aveva trattenuto tanto da rimandare lo scontro per un mese. Ma persino lui sapeva che non sarebbe durato a lungo, perché dopotutto conviveva con i due ragazzini da troppo tempo, quindi li lasciò fare, limitandosi ad osservare a distanza per assicurarsi che non si ammazzassero a vicenda.
    “Non vale nemmeno la pena di sprecare Capitolina con te,” fu il commento di Iulo, che evidentemente trovava la cosa molto divertente. Lasciò che la spada si trasformasse in lupa e ne prese un’altra, una di quelle arrugginite per gli allenamenti. Cavendish la guardò male, con ribrezzo. Anche la sua inizialmente non era ridotta tanto bene, ma da quando aveva iniziato ad imparare si era anche preoccupato della manutenzione, aveva risistemato la lama, preparato un’elsa più morbida da stringere. Truccava il fioretto come truccava se stesso. Per questo aveva un’arma decisamente migliore, al momento.
    “Un giorno la tua presunzione ti costerà,” gli disse. Iulo piegò la testa di lato.
    “Oh, stai parlando con lo specchio?” E poi attaccò, senza preavviso. Cavendish credeva che la sua spada, più pesante, lo rallentasse; invece era parecchio veloce. E forte, tanto che avvertì il braccio tremare quando bloccò il primo fendente. Gli attacchi si susseguivano a distanza troppo ravvicinata di tempo perché potesse anche solo tentare di ribattere, si limitava ad indietreggiare cercando di trovare dello spazio.
    Poi, improvvisamente, Iulo si fermò. Cavendish avrebbe potuto accorgersi che non sembrava né stanco né preoccupato, invece era così preso dal fatto che fosse finalmente venuto il suo momento che si gettò verso di lui senza fiutare la trappola. In un attimo, sentì la spada che gli volava via dalle mani, infilzandosi nel terreno poco distante, e poi la spinta che Iulo gli diede lo fece cadere all’indietro, nella pozza alle sue spalle. Si rialzò con il fango che gli colava dai lunghi capelli biondi, ora diventati praticamente marroni e sentendo che probabilmente era zuppo fin nelle mutande.
    “Dio, se ne è valsa la pena perdere cinque minuti così!” Iulo aveva infilzato la sua spada al terreno e rideva a crepapelle tenendosi la pancia con le mani. Inutile dire che Cavendish era umiliato, non tanto per la sconfitta ma per lo schifo che aveva addosso, quindi non ebbe migliore idea che allungarsi in avanti ed afferrare l’altro per una gamba, trascinandolo nel fango con lui.
    Inazuma sospirò, mentre li vedeva accapigliarsi e cercare di tirarsi i capelli, pensando che si comportassero esattamente come dei bambini, nonostante si ritenessero estremamente maturi. Persino la lupa di Iulo sembrava pensarla come lui, perché si limitò a rimanere seduta ad osservare la scena, sbadigliando. Quando decise che si erano sfogati abbastanza, Inazuma recuperò le spade e li trascinò fino a casa. Convincerli non fu difficile, erano coperti di fango e desideravano solo farsi una doccia.
    Evidentemente non era la loro giornata fortunata, perché li stava aspettando una sorpresa.
    Ivankov era tornato dalla sua missione nel Mare Orientale e aveva portato altri due ragazzini con sé. Inazuma avrebbe potuto pensare che quel posto stava diventando sempre più simile ad un asilo infantile, se non avesse saputo il vero motivo per cui lo facevano, cioè allenare futuri rivoluzionari. Ma in quel momento non l’avrebbe pensato comunque, perché era troppo impegnato a stupirsi della novità: uno dei due era una ragazza.
    Anche Cavendish e Iulo se n’erano accorti immediatamente: era una cosa troppo incredibile, soprattutto per loro abituati ad essere circondati da travestiti. Peccato che fosse il momento peggiore per incontrarne una. Non cercarono nemmeno di rendersi presentabili, sapevano entrambi che sarebbe stato impossibile con tutto il fango che avevano addosso.
    “Sei una ragazza vera?” domandarono comunque, contemporaneamente, prima di scoccarsi un’occhiataccia a vicenda.
    Lei li guardò sbattendo le palpebre, e poi rifletté per un attimo con la mano appoggiata alla guancia, prima di voltarsi verso Ivankov e chiedere: “Ma dovrei offendermi?” Lui si limitò ad infilarsi le dita sul fianco e a farsi gonfiare i seni: come risposta era decisamente efficace. Allora lei rise e si voltò verso i due ragazzi. “Anna Bessonova.” Alzò una gamba sopra di sé, in una perfetta spaccata verticale. Anche quella, come risposta, era parecchio efficace. “Se dovremo stare in camera assieme, però, spero che vi facciate una doccia prima.”
    “È lui che non guarda dove cammina,” fece Iulo, alzando le spalle. “Normalmente sono più presentabile di così.”
    “Ah, questo lo dici tu!” ribatté Cavendish. “E comunque ha iniziato lui tutta questa storia,” aggiunse, ora ben consapevole che aveva solo giocato con lo scopo preciso di farlo finire nel fango. Un secondo dopo, erano di nuovo a cercare di tirarsi i capelli a vicenda, con Anna che trovava il tutto estremamente divertente.
    Inazuma allargò le braccia all’occhiata di Ivankov. Insomma, lo sapeva che facevano così, non era mica colpa sua. Il Regino stava quasi pensando di minacciarli con la trasformazione in donne, che sapeva essere sempre efficace, quando si fece avanti l’altro ragazzo che aveva portato con sé. Se n’era quasi dimenticato, perché era rimasto in silenzio per tutto quel tempo e in generale anche durante il viaggio aveva parlato poco.
    Nonostante avesse ancora metà viso e corpo completamente ricoperto di bende, riuscì ad afferrare sia Iulo sia Cavendish per i rispettivi baveri, ad alzarli come se fossero di gommapiuma e a scagliarli agli angoli opposti della stanza. I due erano talmente scioccati dalla cosa che non ebbero nemmeno la voglia di replicare. Anna continuava a trovare la cosa molto divertente ed applaudì alla scena. Anche Ivankov rimase impressionato alla sua forza e pensò che Dragon non si fosse sbagliato sul suo conto.
    “Ben fatto, ragazzo!”
    Lui si voltò a guardarlo, sorridendo.
    “Ho due fratelli che si comportano nella stessa maniera, so come si fa.”

    Terza Parte

    Cavendish si stava osservando allo specchio. Poi, lentamente, si passò una mano sulla parte sinistra del viso, accarezzandoselo. Il suo volto, ovviamente, era perfetto. Non sapeva cosa avrebbe potuto fare trovandosi nella stessa condizione di Sabo, con la cicatrice da bruciatura che glielo sfigurava completamente. Senza contare quella al braccio, con il mignolo e l’anulare della mano mancanti. Prese il phon e la piastra per sistemarsi i capelli.
    Forse era proprio per la sua menomazione che sia lui sia Iulo lo apprezzavano senza considerarlo un rivale.

    “Ecco fatto, cosa te ne pare?” domandò soddisfatto, ammirando il suo lavoro. La cicatrice di Sabo era del tutto scomparsa, nascosta da centimetri di fondotinta e mascherata da tocchi di fard.
    “Caspita, sei molto più bravo di me,” commentò Anna, che aveva osservato con curiosità tutta l’operazione. “Devi insegnarmi!”
    “Certo!” rispose Cavendish gonfiando il petto. Iulo, che era sdraiato sul letto a leggere un libro, sbuffò. Sabo si osservo a lungo allo specchio, accarezzandosi leggermente la guancia non più ferita, prima di sfregarci sopra il dorso della mano, rovinando completamente l’opera d’arte.
    “Scusa, ma tutta questa roba mi pizzica,” si giustificò sorridendo nei confronti dell’amico, che ovviamente lo stava guardando con un’espressione mista di orrore e raccapriccio. “Poi non fa niente. Una cicatrice fa molto pirata.” A quella frase, tutti lo guardarono curiosamente.
    “Ti piacciono i pirati?” domandò Anna. Sabo annuì con vigore.
    “Sì, ho sempre voluto diventare un pirata.”
    “Oh, quindi vuoi diventare un ladro e un pluriomicida.” Iulo aveva gettato il libro ai piedi del letto e si era alzato a sedere, ticchettando un piede per terra. “Io i pirati li odio.”
    “Non tutti i pirati sono così, lo sai,” replicò Sabo, incrociando le braccia. “Alcuni di loro vogliono semplicemente essere liberi.” Iulo fece una risatina, che però uscì come una specie di sbuffo. “Parlo sul serio,” disse allora Sabo, con tono freddo.
    “Forse sì.” L’altro incrociò le braccia. “Ma sai, la libertà di una persona non dovrebbe intaccare quella degli altri. E se tu sei un pirata, non hai regole. Le regole ci vogliono. Certo, quelle di adesso non sono un granché…” aggiunse sussurrando e scostando per un attimo lo sguardo. “Ma non averle del tutto non è la soluzione.” Appoggiò il mento sul palmo della mano. “Dimmi un po’, hai mai ucciso qualcuno?”
    “Non ho mai ucciso nessuno!” rispose l’altro, con un tono di voce un po’ troppo alto.
    “E rubato?” Alla seconda domanda, Sabo si umettò leggermente la labbra e poi annuì. Iulo alzò le spalle, con un sorriso. “Se questa la chiami libertà…”
    “Be’, non si può negare che i pirati abbiano una cattiva fama,” disse Anna, che fino a quel momento aveva guardato lo scontro con occhi attenti e seri. “Però anche noi uccideremo qualcuno e ruberemo qualcosa, di qui in avanti.”
    “Davvero?” si lasciò sfuggire Cavendish, che non aveva una vera opinione sull’intera faccenda. “E perché mai?” Iulo sbuffò.
    “Com’è possibile che tu sia qui da una vita e non ti sia ancora accorto di niente?” gli domandò. “Iva-san è un rivoluzionario agli ordini di Dragon. Noi siamo qui per allenarci per essere in grado di unirci a loro.” Data poi l’espressione praticamente pietrificata dell’altro, alzò gli occhi al cielo, prima di guardare Anna, che invece ridacchiava. “Vogliamo distruggere il Governo Mondiale.”
    “Davvero?!” ripeté Cavendish, questa volta davvero stupefatto. Certo, lui di queste cose politiche non ne sapeva molto, però l’ordinamento del mondo era così da qualcosa come mille anni, il pensiero che ci fosse qualcuno che aveva voglia o possibilità di cambiarlo era semplicemente una cosa pazza da credere. “Perché?!”
    “Perché fa schifo,” fu la risposta, secca, di Anna. Iulo, che era sceso dal letto e si era avvicinato ai tre, la guardò con un sorriso triste.
    “Hanno ucciso i tuoi genitori, vero?” domandò.
    “Hanno ucciso molta più gente che solo i miei genitori. Hanno distrutto la mia isola.” Lei aveva abbassato lo sguardo ed il tono era basso e freddo. “Non sarò un granché meglio di un pirata, ma voglio che di Mariejoa non rimanga più niente.” Sabo si osservò la mano menomata.
    “Siamo in due,” disse. E poi, notando che Iulo lo stava osservando curiosamente, aggiunse: “Non sarò un pirata di quelli che dici tu. Voglio solo essere libero, quindi prima devo fare in modo che lo sia l’intero mondo, no?” L’altro ricambiò il sorriso.
    “Credo ancora che i pirati siano il peggio del peggio, ma…” Si voltò verso Anna. “Siamo in tre.” Lei rialzò finalmente la testa, illuminandolo con un terzo sorriso.
    Cavendish rimase a fissare il gruppetto, sentendosi quasi escluso. Lui non aveva alcun interesse in tutto quello che stavano dicendo, francamente non ci aveva mai pensato e soprattutto non aveva alcun motivo per unirsi ai rivoluzionari. Però era deprimente il pensiero che loro sapessero cosa fare della loro vita e lui no.
    “E tu?” gli domandò allora Anna, come se si fosse accorta solo in quel momento che era presente una quarta persona nella stanza.
    “Be’, io mi limiterò ad essere bellissimo,” commentò lui, scostando una ciocca bionda dietro la spalla. Iulo scoppiò a ridere.
    “Non è un lavoro, cretino.”
    “Lo dici solo perché tu non lo potresti fare,” ribatté Cavendish, che in realtà si sentiva davvero punto sul vivo della cosa.
    “Oh, invece posso essere bellissimo e rivoluzionario allo stesso momento, sai.”
    “Be’, allora io sarò pirata e bellissimo contemporaneamente!”

    In realtà l’aveva detto tanto per, dato che Iulo li odiava. Di certo, non credeva che sarebbe successo davvero. Uscì dal bagno e recuperò i suoi vestiti: aveva un certo tipo di stile, che aveva scelto già da tempo, e che lo caratterizzava come pirata. Un grande pirata, aggiunse mentalmente, dando un’occhiata ad uno dei tanti avvisi di taglia appesi sopra il letto.
    Ritraevano il suo profilo migliore.
    Le scelte della vita erano strane: in quel momento l’aveva detto per far arrabbiare Iulo, e invece lo era diventato per Sabo. D’altronde, lui era sempre stato al suo fianco.

    Le lame cozzavano fra di loro, sfrigolando e brillando al sole caldo che li illuminava. Nonostante fosse in grado di parare il fendente, la spada avversaria finiva per far apparire la bocca da lupo, mordendo e distruggendo la sua.
    “Dannazione!” esclamò Cavendish, gettando via l’elsa ormai inutilizzabile. Iulo ridacchiò, mentre Capitolina si trasformava e si faceva accarezzare.
    “Lascia perdere,” gli disse. “Non puoi battere né me né lei.” Inutile dire che non era una cosa che faceva bene alla sua autostima.
    “Non riesco proprio a capire perché la sua spada sia più forte delle mie,” si sfogò con Sabo, il quale come arma usava un bastone e quindi spesso veniva usato come sparring partner. Avrebbe capito se fosse stata la prima, quella piena di ruggine, ma aveva fatto in modo di comprarsene di nuove, resistenti. Eppure tutte, immancabilmente, finivano spezzate.
    “La risposta è qui,” gli disse allora Sabo, mostrandogli un libro. Cavendish lo guardò un po’ dubbioso: a differenza sua, non era un assiduo lettore. Si sedette comunque accanto a lui, pronto a seguire la sua spiegazione. “Al mondo esistono delle spade che sono meglio di quelle comuni, e si dividono in tre categorie. Capitolina fa parte del secondo gruppo, le spade di pregevole fattura. Solo le altre dello stesso gruppo, o di quello superiore, possono resistere alla forza della sua lama.”
    “Allora mi basta averne una così!” esclamò Cavendish, quasi strappandogli il libro dalle mani per sfogliarlo. In pratica era una grande enciclopedia di tutte le spade famose, con tanto di storia da quando erano state forgiate ai possessori più famosi. Trovò quasi immediatamente Capitolina, che si diceva fosse stata donata dalla dea dell’amore e della guerra ad un grande conquistatore del passato, che soggiogò un intero impero da solo e poi rinunciò alla carica di imperatore.
    Erano tutte di forma e fattura differente, passando dalle sciabole alle katane, ma lui ne cercava una particolare. Mentre continuava a girare le pagine, Sabo parlava, spiegandogli chi aveva la tale arma, animandosi soprattutto quando si trattava di un famoso pirata. Era chiaro che si era informato parecchio sull’argomento.
    “E questa?” domandò Cavendish, che aveva finalmente trovato un fioretto. E non un fioretto qualsiasi, ma uno con fodero e manico intagliato, e con lama che brillava come l’argento. Sabo si sporse per guardarla meglio.
    “Credo che questa sia custodita in un museo. Dovrei controllare meglio…”
    Lesse la storia: era appartenuta ad un famoso paladino, che l’aveva utilizzata per sconfiggere i nemici del suo regno, uccidendo un intero esercito da solo. Aveva provato a distruggerla per impedire che i nemici la prendessero, finendo per spezzare a metà la catena montuosa contro cui l’aveva lanciata. Quella spada sicuramente non sarebbe stata distrutta da un morso di Capitolina!
    Anche se ciò che convinse Cavendish che quella fosse la sua arma ideale fu che, secondo la leggenda, il paladino in questione era il più bel cavaliere del regno. Chi meglio di lui avrebbe potuto ereditarla?

    La Durlindana. La teneva su un cuscino, a fianco del suo letto, in maniera da poterla avere a portata di mano se fosse successo qualcosa e allo stesso tempo evitare che si danneggiasse. E la puliva ogni mattina, affinché la lama fosse sempre splendente. Cavendish la prese e la passò sotto il raggio di luce che penetrava dalla finestra, ammirandone i riflessi. La prima volta che l’aveva vista, era prigioniera sotto una teca di vetro.

    Non aveva chiesto né a Sabo né ad Anna di aiutarlo, ma loro erano venuti lo stesso, lui perché si considerava un suo amico e ci teneva a dargli una mano, lei semplicemente perché lo trovava divertente. Comunque sia, erano finiti chiusi stretti l’uno all’altro nel condotto d’aria del bagno del museo Bastile, nel regno Carolingio, aspettando che arrivasse l’orario di chiusura.
    La Durlindana sarebbe stata messa all’asta l’indomani. Cavendish aveva visto gli acquirenti: nessuno di loro aveva i requisiti per essere il suo possessore. Solo lui li aveva. Per cui dovevano rubare la spada prima che venisse portata fuori. Sabo aveva esperienza nei furti ed Anna lo considerava un buon allenamento per le sue missioni future come rivoluzionaria, per cui si era affidato a loro. Anche se, mentre sentiva i suoi capelli riempirsi di polvere e ragnatele, pensò che, forse, non fosse stata una buona idea.
    Quando le ultime pulizie furono finite e la luce spenta, poterono finalmente scendere da quello spazio stretto e tornare a respirare con tranquillità. La prima cosa che fece Cavendish fu correre allo specchio a verificare la situazione, anche se la luce delle torce non gli permetteva di esaminare tutta l’entità del danno. Dato che gli altri due erano abituati a certe scene, lo lasciarono fare.
    “Il primo giro di controllo dovrebbe raggiungere la sala degli specchi fra venti minuti,” disse Sabo guardando l’orologio. “Sbrighiamoci.”
    Spensero le torce e uscirono dal bagno, passando poi rasente il muro e abbassandosi ad ogni finestra, che lasciava penetrare un sottile filo di luce lunare, sufficiente però a permettere alle lumacamere di individuarli. Fortunatamente avevano passato tutto il giorno precedente a studiarne i movimenti per poterli evitare. Solo nella sala degli specchi furono costretti a metterla fuori uso, perché puntava esattamente verso la zona della spada.
    “Ora i minuti sono diventati cinque,” disse Anna, sapendo che i guardiani ai monitor avrebbero dato l’allarme. Cavendish fece per saltare i cordoni rossi di protezione che separavano il pubblico dalla colonna che esponeva la Durlindana, ma Sabo lo fermò stringendogli un braccio.
    “Aspetta.” Fece scivolare la torcia sul pavimento vicino alla colonna, ma questa non fece in tempo a raggiungerlo, perché il quadrato attorno alla spada si piegò su se stesso, facendo cadere la lampada in una voragine, prima di richiudersi. Sabo si scambiò un’occhiata sorridendo con Cavendish, e poi indicò la spada. “Ci penso io.”
    Prese il suo bastone, il quale conteneva due lame retrattili alle estremità. Lo allungò sopra il quadrato che si apriva, raggiungendo la vetrina che racchiudeva la spada al suo interno e, lentamente, infilò al di sotto una delle due lame. Si avvertì chiaramente il suono del vetro che si alzava leggermente, quindi Sabo drizzò lentamente il bastone, cercando di non far precipitare la vetrina dall’altra parte. Quando ci fu abbastanza spazio per recuperare la spada, si rivolse ad Anna: “A te.”
    Lei sorrise, quindi estrasse il suo nastro da ritmica e, con attenzione, lo lanciò lasciando che si avvolgesse attorno al fodero della Durlindana, quindi con un movimento secco, la pescò staccandola dalla sua base. Cavendish la afferrò al volo e nemmeno si accorse del nastro che veniva tirato via. Anche se non aveva fatto nulla per meritarsela, aveva sentito chiaramente un brivido mentre stringeva la spada. A malapena avvertì Sabo, che gli aveva appoggiato una mano sulla spalla. Invece, avvertì distintamente il suono dell’allarme che iniziava a squillare.
    “Probabilmente c’era un sensore anche sotto la spada,” ipotizzò Sabo, che aveva iniziato a strattonarlo per farlo riprendere.
    “Sbrighiamoci.” Anna corse alla finestra e la aprì, quindi saltò sul cornicione per lanciare una corda verso uno degli alberi vicini. Essendo al secondo piano sarebbe stata la maniera più veloce e sicura per evitare le guardie.
    Ma prima che gli altri la potessero raggiungere, delle inferriate caddero dal soffitto, bloccando ogni singola finestra. Lei rimase a guardarli dall’altra parte, insicura sul da farsi.
    “Tanto ormai ci hanno scoperto, usciamo dall’entrata principale,” le disse Sabo, perciò Anna annuì e scomparve al di sotto del piano. Lui invece si diresse dalla parte opposta rispetto a quella da cui venivano le guardie, anche se era la più distante dalle scale. Avevano appena imboccato il corridoio oltre la lunga sala degli specchi, quando avvertirono un rumore dietro di loro. Voltandosi, notarono che dal soffitto era caduto uno spesso muro d’acciaio.
    “Ce ne sono degli altri!” gridò Cavendish, alzando lo sguardo. Sabo lo afferrò per una mano e riprese a correre.
    “Dobbiamo raggiungere la fine del corridoio prima che ci intrappolino!” esclamò. Già sapeva che non avrebbero fatto in tempo, perché le mura cadevano a terra più in fretta di quanto riuscivano a correre. Allora, usando il fatto che la presa dell’altro non fosse stretta come la sua, si bloccò e poi lo tirò con forza in avanti, gettandolo in avanti di un centinaio di metri. “Vai avanti e porta fuori la spada, io me la caverò.”
    “No!” Cavendish si rialzò immediatamente dopo la caduta, senza nemmeno preoccuparsi di risistemarsi i capelli, ma era troppo tardi, dato che gli bastò appena per vedere il muro che gli toglieva la visuale sull’altro. “Sabo!” Cercò di raggiungerlo, ma altre pareti gli precipitarono davanti, bloccandolo. Sentì il rumore degli ultimi che lo intrappolavano definitivamente, ma non se ne preoccupò affatto. Batté la mano contro la parete, senza alcun risultato.
    Abbassò lo sguardo sulla Durlindana che stringeva quasi senza rendersene conto. Be’, era il caso di verificare se oltre ad una spada bella fosse anche una spada forte. La estrasse dal fodero e la puntò contro il muro, prima di tirare un fendente. Il fioretto si piegò come se fosse elastico, ma non fece alcun danno. Poiché la lama non si era scheggiata in alcun modo, Cavendish riprovò e riprovò finché non sentì il braccio intorpidirsi.
    A quel punto si arrese e la gettò a terra, sedendosi davanti alla parete. Se la Durlindana era forte come si diceva, voleva dire che era lui lo spadaccino mediocre. Se invece era una spada tutta apparenza e niente sostanza… Non era tanto diversa da lui, che evidentemente era in grado solo di truccarsi, non altro.
    Si riusciva a respirare, così chiusi in due muri d’acciaio? Perché non c’erano finestre, solo quattro pareti che lo circondavano da tutti i lati. Poi, improvvisamente, avvertì un rumore alle sue spalle e si voltò, scattando in piedi. Era rimasto in silenzio e al buio così a lungo che si era spaventato.
    Qualcosa stava grattando il pavimento, cercando di infilarsi sotto la parete. Quindi, si sentì un rumore di metallo che cozzava e l’acciaio si avvolse su se stesso, come quando si apre una lattina di conservati, provocando una breccia al centro. Solo in quel momento notò che ciò che stava spostando il muro era Capitolina, che in forma di spada mordeva l’acciaio come fosse un pezzo di carne cruda.
    Il filo di luce che penetrava dal fondo illuminò la figura di Iulo che entrava; probabilmente aveva divelto tutte le pareti fino a quel punto. Lui lo guardò incrociando le braccia, mentre la sua lupa si accovacciava ai suoi piedi.
    “Vedi, è per questo che odio i pirati,” gli disse. “Fanno sempre di testa loro e poi combinano questi casini.” Cavendish non era in vena di dargli ascolto, in quel preciso momento.
    “Sabo-” iniziò, ma poi si bloccò perché avvertì un altro suono dietro di loro. Si voltò, e vide la parete al centro che veniva bombata da colpi ripetuti che venivano da dietro, fino a spaccarsi completamente. Poi Sabo spinse le due fratture verso direzioni opposte per fare una breccia abbastanza larga da passarci in mezzo. Si bloccò, vedendo i due.
    “Oh.” E poi sorrise, fissando Iulo. “Credevo non volessi aiutare dei pirati.”
    “Non posso permettere che ti arrestino adesso, non prima della rivoluzione,” rispose lui. “Comunque vedo che il mio intervento è stato inutile,” aggiunse, accennando all’acciaio spezzato.
    “Come hai fatto?!” esclamò allora Cavendish, recuperata la voce.
    “Haki,” disse Sabo semplicemente, alzando le spalle. “Per questo ti avevo detto di andare avanti, immaginavo di riuscire a romperle.”
    “In pratica, sei tu la palla al piede,” commentò Iulo ridacchiando. “Be’, alla fine ti preferirei anche io come estetista piuttosto che come pirata.” E poi rimase quasi incredulo, quando non ricevette la rispostaccia che si aspettava. Cavendish aveva semplicemente abbassato lo sguardo e poi si era piegato a recuperare la spada per metterla ne fodero.
    “Non dargli retta,” disse allora Sabo, anche lui poco convinto dalla reazione. “Io personalmente ti prenderei in ciurma anche adesso.”
    “Non penso che serva un estetista su una nave pirata,” rise Iulo, scuotendo la testa.
    “No, ma uno spadaccino in gamba con una spada famosa può essere utile. E poi ho bisogno di un vicecapitano.”
    Cavendish lo stava fissando incredulo. Nonostante non avesse combinato nulla per tutto quel tempo e fra tutti fosse stato decisamente il più inutile, Sabo era disposto ancora a dargli fiducia. Non se lo sarebbe definitivamente scordato. Però non gli andava nemmeno di ammetterlo, soprattutto davanti ad Iulo che continuava a ridacchiare. Allora rialzò le spalle con fare altezzoso, gettando una ciocca oltre la spalla.
    “Grazie, ma sono troppo bello per essere solo un vice,” rispose. “Però ho bisogno di un navigatore. Saresti il benvenuto.” A quelle parole, Sabo fece un sorriso triste.
    “Anche mio fratello mi voleva come navigatore…” mormorò. “Ma io volevo fare il capitano.”
    “Bene, quindi finirete per farvi concorrenza e litigare e bla bla, pirati, andiamo,” commentò Iulo agitando la mano, mentre si infilava nel buco della parete che lui stesso aveva aperto.
    “Ammetti che sei geloso perché nessuno ti ha chiesto di entrare in ciurma,” ridacchiò Sabo, mentre lo seguiva.
    “E ci sarà un motivo!” aggiunse Cavendish allegro.
    “L’unico motivo che avrei per entrare nelle vostre ciurme sarebbe per arrestarvi,” rispose Iulo, facendogli una smorfia. “Anzi, vedete di farvi dare una taglia alta, così posso anche guadagnarci.”

    Stava scherzando. Non sapeva che sarebbe diventato poi qualcosa di molto serio. Cavendish si infilò la Durlindana alla cintura e poi si ammirò nello specchio. Perfetto. Era passato tantissimo tempo da quell’avventura, ora avrebbe potuto fare a pezzi quelle maledette pareti come il burro, non aveva più bisogno di Iulo che venivano a salvarlo. Anzi, sarebbe stato in grado di difendersi da lui, se mai avesse provato ad arrestarlo.
    Pensava anche che sarebbe stato in grado di proteggere lui Sabo, se fosse successo qualcosa. Da quel punto di vista sbagliava.
    Si allungò verso la scrivania, estrasse il cassetto e rovesciò a terra il contenuto. Tra il marasma di trucchi e pettini, spuntò una vecchia fotografia. Avevano cercato di rimanere in posa quando Iva-san li aveva fotografati, ma non c’erano riusciti, quindi erano venuti molto naturali: lui e Iulo che si tiravano i capelli, Sabo che tentava di separarli e Anna che ridacchiava.
    Anche se il loro lavoro come rivoluzionari li aveva portati molto distanti, era sempre stato sicuro che nulla si sarebbe rotto fra di loro. Anche se avrebbe fatto a meno di Iulo, s’intende.
    Aveva sbagliato anche quella previsione.


    Quarta Parte

    Il tacchi dei suoi stivali facevano rumore mentre correva nei corridoi dell’ospedale, ma non gli importava. Le infermiere non l’avrebbero fermato, lo sapeva; era troppo bello per subire una ramanzina. Controllò distrattamente i numeri sulle porte, fino a raggiungere quello che gli avevano detto, che si trovava proprio in fondo, svoltato l’angolo. Non doveva essere un caso, probabilmente stavano cercando di tenerlo nascosto.
    La porta era chiusa, quindi bussò. Era lontano quando Anna l’aveva chiamato, perciò non poteva essere sicuro che fossero ancora lì. Lo scoprì quando sentì la voce di Iulo rispondergli: “Alla buon’ora!” Solo allora entrò, scoccandogli un’occhiataccia.
    “Non è colpa mia se tutte le infermiere mi hanno trattenuto,” gli rispose, agitando una mano con nonchalance. Iulo ridacchiò.
    “Come se potessero accontentarsi di te dopo che hanno avuto me.”
    “Be’, dato che sei già qui, suppongo che tu sia un po’ troppo veloce per loro.”
    “Se avete intenzione di vedere chi ce l’ha più lungo, voglio assistere,” intervenne Anna, prima che Iulo potesse ribattere. “Ma non qui.” I due ragazzi si scambiarono un’occhiataccia, ma tacquero.
    Cavendish chiuse la porta dietro di sé e si avvicinò a loro, che erano seduti al fianco del letto. Lui invece rimase in piedi ad osservare. Sabo era sempre stato di carnagione chiara, ma così era diventato quasi trasparente. Solo l’orribile bruciatura che lo sfigurava spiccava. Non era nemmeno chiaro se stesse respirando o no, il petto si alzava appena, e tutti quei tubicini collegati alla bocca e al naso contribuivano a peggiorare il suo aspetto. Il suono della macchina a cui erano collegati era fastidioso, ma ricordava a Cavendish che il cuore stava ancora battendo.
    “Cos’è successo?” domandò. Al lumacofono non ne avevano parlato.
    “Kizaru,” disse solo Anna. Poi allungò la mano e strinse quella immobile di Sabo. “Non era previsto che ci fosse, abbiamo abbassato la guardia…” mormorò lentamente, come se contemporaneamente stesse ricordando l’avvenimento.
    “Ci ha salvato,” terminò allora Iulo, che aveva lo sguardo che vagava da tutt’altra parte. Solo in quel momento Cavendish notò che entrambi erano feriti: lei aveva la benda che le spuntava dalla scollatura della camicetta, lui un intero braccio fasciato, e un cerotto ad un angolo del viso.
    “Si riprenderà?” domandò ancora. Anna strinse le labbra.
    “Può darsi, non lo sappiamo.”
    “Non che abbia importanza,” aggiunse Iulo, alzando le spalle. Cavendish lo fulminò con lo sguardo, ma prima che potesse parlare lui alzò una mano per fermarlo e proseguì: “Uno dei raggi laser di Kizaru gli ha danneggiato la colonna vertebrale. Secondo i medici non potrà più camminare.” I due rimasero a fissarsi a lungo, mentre la consapevolezza della cosa risuonava all’interno della stanza. Poi Cavendish si voltò di nuovo verso il letto.
    Era tipico di Sabo rimanere indietro a salvare gli amici. Chissà da chi aveva imparato a comportarsi così! A mettere gli altri prima di se stesso. Lui lo riteneva stupido, eppure era alla fine uno dei motivi per cui tutti lo apprezzavano. Sapeva benissimo che stava facendo il rivoluzionario solo per il momento, che il suo vero sogno era diventare un pirata. E adesso non avrebbe più potuto farlo.
    Non ascoltò nemmeno troppo Anna, che spiegava che con le tecniche moderne forse c’erano ancora delle speranze, dopotutto si parlava di persone che avevano creato dei cyborg. Pensò solo che Sabo gli era stato a fianco a lungo, anche quando faceva i capricci, e forse era il momento in cui facesse qualcosa per lui. Dopotutto, non aveva nemmeno un’idea di cosa fare della sua vita, quindi… Perché no?
    “Credo che diventerò un pirata,” disse ad alta voce, quasi senza accorgersene, dando una conclusione ai suoi pensieri. Sapeva di avere lo sguardo degli altri su di sé, ma non ci fece caso finché non sentì Iulo afferrarlo per il bavero.
    “Che cazzate stai dicendo?” Gli sputò quasi in faccia. “Lo fai per Sabo? Pensi che abbia un senso, una cosa del genere?” Cavendish si scostò da lui con la mano.
    “Mi stai rovinando il vestito,” commentò, mentre si rimetteva a posto il colletto della camicia.
    “Rispondi.” La voce di Iulo era bassa e roca, nulla di più distante dal tono canzonatorio che usava di solito.
    “E anche se lo facessi per lui?” fu allora la risposta, con tono seccato. Il continuo della frase era “tanto non ho nient’altro da fare”, ma non lo disse. Aveva sempre avvertito una sorta d’inferiorità, nel non avere un obiettivo a parte il riuscire a truccarsi ed essere sempre più bello.
    “È stupido.” Iulo alzò gli occhi al cielo. “Be’, non che potessi aspettarmi molto da te, ma… È molto stupido.” Allungò una mano ad indicare Sabo. “Credi davvero che serva a qualcosa? Cosa farai, ti presenterai qui con la tua bella taglia sulla testa nella speranza che si svegli? Che grande idea!”
    Cavendish non aveva pensato proprio a quello. Aveva più pensato che difficilmente qualcuno che non poteva più camminare sarebbe potuto diventare un pirata, ma se fosse stato il capitano, avrebbe potuto prendere in ciurma chiunque. E voleva Sabo come suo compagno. E non poteva credere che Iulo, dopo essere stato salvato proprio da lui, potesse rimanere seduto a non fare nulla, come se non gli importasse.
    “Non sono fatti tuoi,” rispose, fingendosi impegnato a sistemare il lembo del suo mantello. “Tu odi i pirati, io sinceramente non ho problemi.”
    “Parli come se non fosse una cosa grave.”
    “Perché non è una cosa grave!” Sabo gli aveva parlato a lungo di cosa significasse per lui essere un pirata, che aveva finito per assimilarlo. Non era altro che girare per il mondo in completa libertà. Non c’era nulla di male in tutto ciò. E considerando che anche i rivoluzionari ce l’avevano col Governo Mondiale, dov’era il problema nell’ignorare le loro leggi?
    Iulo estrasse Capitolina e prima che Cavendish potesse reagire gli aveva già tagliato la cinta che gli teneva la Durlindana al fianco, facendola cadere a terra, quindi gli puntò la lama alla gola. Anna, che fino a quel momento li aveva lasciati sfogare, balzò in piedi e gli strinse il braccio, ma lui se la scrollò di dosso in malo modo.
    “Ti avverto, Cav,” disse, gelido. “Se diventi un pirata, non m’importerà. Mi prenderò la tua taglia. Continua ad allenarti con quella tua spada, perché il nostro prossimo incontro potrebbe essere l’ultimo.” Poi rinfoderò la spada ed uscì, sbattendo la porta dietro di sé talmente forte che si avvertì subito la lamentela di una delle infermiere.
    “Ma che diavolo gli prende…” commentò Cavendish sottovoce. Anna scosse la testa, poi fece un piccolo sorriso.
    “Mai sentito parlare di UST, vero?”

    Non aveva mai capito cosa intendesse dire, ma sinceramente non gli importava. Era troppo arrabbiato. E aveva continuato ad esserlo a lungo, anche se la cosa era andata a suo favore perché era diventato davvero bravo, con la spada. Però non si era reso veramente conto di quanto quella vicenda avesse significato, almeno per Iulo.
    Voltò la fotografia: dietro c’era scarabocchiato un numero di lumacofono, ma non l’aveva mai chiamato. Non avrebbe saputo che cosa dirgli, anche perché erano entrambi troppo orgogliosi per chiedere scusa per primi. E aveva la netta impressione che Iulo pensasse che l’essere diventato pirata, per lui, fosse stata anche una forma di ripicca.
    Però credeva anche che le cose si sarebbero sistemate da sole, se Sabo si fosse ripreso. Era sempre stato un collante, fra di loro, perché era quello che guardava oltre le apparenze.

    Era arrivato per ultimo anche la seconda volta, ma era normale. Adesso che era diventato un pirata era sempre in giro per la Rotta Maggiore, non gli era stato facile nemmeno giustificare la deviazione con la sua ciurma. Ma erano passati due anni, voleva assolutamente vederlo! Anche se, dopo ciò che era successo a Marineford, il mondo era in rivoluzione e quindi non era esattamente il momento migliore per risvegliarsi.
    Anna era seduta in corridoio, stavolta. Sembrava addormentata, ma quando lui le si avvicinò lei aprì gli occhi e gli sorrise. “C’è il dottore dentro,” disse, dato che lui aveva scoccato uno sguardo alla porta. Allora Cavendish si sedette al suo fianco.
    “Iulo?”
    “Se n’è andato.” Anna si stiracchiò. “Ha detto che se fossi arrivato tu avrebbe dovuto arrestarti e non ne aveva granché voglia. Almeno, questa è la versione ufficiale.”
    “Che idiota,” fu l’unica cosa che gli uscì dalle labbra. Non gliene importava un fico secco della versione ufficiosa. Lei si appoggiò con la testa al palmo della mano, mordendosi un labbro.
    “Devo dire che pensavo in effetti in una conclusione diversa…” mormorò sottovoce, tanto che lui non riuscì a capire nulla delle frasi successive, UST e roba varia. Be’, non che contasse troppo, se Iulo si comportava da imbecille non erano affari suoi. Non gl’importava.
    Aspettarono in silenzio, finché il dottore non uscì dalla sala. Vedendoli, fece un cenno d’assenso e lasciò la porta socchiusa, prima di allontanarsi. Anna si voltò verso Cavendish e annuì, per indicargli di andare.
    Lui si alzò, ma prima di andare domandò: “Come sta?”
    “Non bene. Lo vedrai.”
    Non era la risposta che sperava, ma non fece altre domande, perché Anna aveva girato la testa verso la finestra e non lo stava più guardando. Quindi aprì la porta ed entrò nella stanza. Cercò a tentoni la luce e l’accese, perché era semibuia e non riusciva a distinguere bene il luogo.
    Sabo era sdraiato sul letto, con i cuscini che lo tenevano eretto, e stringeva fra le mani un foglio spiegazzato, che fissava con sguardo vacuo. Non si era voltato né quando l’altro era entrato, né quando aveva acceso la luce. Cavendish gli si avvicinò con cautela, sbirciando leggermente per vedere cosa fosse quel foglio.
    Era una avviso di taglia.
    Di Ace Pugno di Fuoco.
    Un po’ contrariato, si sedette a fianco del letto. La guerra di Marineford era stata importante a livello internazionale, quindi non c’era da stupirsi che gli altri gliene avessero parlato. Sicuramente avrebbe portato conseguenze anche per i rivoluzionari. Ma, al momento, la cosa più importante era che lui fosse lì. Attese un attimo, sperando che l’altro si voltasse a guardarlo, ma non successe.
    “Sai, sono diventato un pirata,” disse allora Cavendish, che non sopportava di non essere considerato. Estrasse dalla tasca la sua taglia. “Guarda qui: centoventi milioni. Niente male, eh?” Rimase fermo, aspettando una qualsiasi reazione, che però non arrivò. Sabo non aveva nemmeno mosso gli occhi, che continuavano a rimanere fissi sul viso sorridente di Ace nella foto.
    Cavendish davvero non sopportava di non essere considerato. Di getto, afferrò l’altro avviso e glielo strappò dalle mani. A quel punto, Sabo lo guardò, ma non era l’espressione che si era aspettata. Era quasi d’odio. Con forza, gli riprese dalle mani il foglio e lo strinse a sé, continuando a fissarlo come se per lui fosse un estraneo. Cavendish rimase a ricambiare lo sguardo, incapace di proferire parola.
    “Scusami,” mormorò alla fine Sabo, dopo parecchi minuti di silenzio. Abbassò lo sguardo sulla taglia, che l’altro aveva ancora stretta fra le mani, e sorrise. “Davvero niente male. Sono contento per te.” E poi tornò con lo sguardo sulla foto di Ace.
    “Che succede?” domandò Cavendish. Quello non era l’amico che conosceva. Lo vide deglutire ed aprire la bocca senza emettere alcun suono.
    “Mio fratello,” riuscì a sussurrare Sabo, alla fine.
    Dato che non era sicuro di aver capito bene, sbatté le palpebre più volte, aspettando in un’illuminazione che non arrivò. Lui sapeva che aveva due fratelli, di cui parlava spesso, ma uno dei due non poteva essere Pugno di Fuoco. Era impossibile, la sua stessa esistenza era già una cosa strana. Ma era vero che c’era pure Cappello di Paglia in mezzo, che sarebbe stato il secondo fratello…
    “Non di sangue, ovviamente.” La frase di Sabo lo riscosse dai suoi pensieri, e quindi si rimise ad ascoltare con attenzione. “Avevamo fatto il patto di considerarci come fratelli, ma poi sono successe un sacco di cose e ci siamo separati…” La voce si faceva sempre più flebile, fino a tacere totalmente. “Sai quando mi sono svegliato?” Cavendish scosse la testa: Anna l’aveva chiamato una settimana fa, ma immaginava che non fosse la data esatta. “Il giorno della battaglia di Marineford. Giusto in tempo per scoprire che mio fratello era morto e io non avevo fatto nulla per salvarlo.” Il tono era sprezzante, ma le lacrime iniziarono a scorrere dalla sue guance.
    “Non è stata colpa tua…” cercò allora di consolarlo Cavendish, senza troppa convinzione. Sabo era sempre stato quello forte, quello sicuro, quello con un sogno. Vederlo con il cuore spezzato era qualcosa così fuori dal mondo che non sapeva davvero cosa poter dire. Era proprio vero che quella guerra aveva cambiato tutto.
    “Guardami.” Sabo allungò una mano ad indicare le sue gambe. “Non sono riuscito a combinare nulla di buono nella vita. Non sono diventato un pirata, alla prima missione seria mi sono fatto quasi ammazzare, ora non posso più nemmeno camminare.” La mano si strinse attorno all’avviso di taglia di Ace, spiegazzandola tutta. “E adesso mio fratello è morto…” Le lacrime, che prima si erano un attimo arrestate, tornarono copiose, e lui iniziò a singhiozzare contro quel foglio di carta.
    Cavendish era rimasto senza parole, perché non aveva idea di cosa dire. Se vedeva una ragazza piangere, di solito bastava un suo sorriso per farla smettere. Quanto agli uomini, in media se ne fregava altamente. Eppure adesso aveva davanti una delle persone a cui teneva di più al mondo e non sapeva che cosa fare. Poteva uscire truccato tutte le mattine, ma a parte quello non sapeva veramente fare nulla.
    “Entra nella mia ciurma!” esclamò allora all’improvviso. Era sempre stato il suo obiettivo, dopotutto, quello di averlo come compagno da quando aveva scoperto che probabilmente non avrebbe potuto più camminare. “La Rotta Maggiore è splendida! Be’, non quando me, ovviamente…” Sabo si voltò verso di lui e per un attimo, tra le lacrime spuntò un sorriso.
    “Grazie,” gli disse. “Ma non voglio diventare la tua palla al piede.”
    Cavendish stava per rispondergli che non lo era, che non lo sarebbe stato affatto, ma lo vide appoggiarsi contro il cuscino e chiudere gli occhi, con le guance bagnate e la taglia stretta al petto. E non seppe cos’altro dirgli.
    Lentamente, si alzò ed uscì dalla stanza.


    Epilogo

    Erano passati due anni, da allora. Cavendish chiamava Anna di tanto in tanto per sapere se c’erano novità, ma non aveva avuto più il coraggio di contattare Sabo. Non finché non fosse stato in grado di dargli qualcosa di davvero concreto per farlo stare meglio, non semplicemente un po’ di trucco per coprire una cicatrice. Per quella che aveva nel cuore, il fondotinta non bastava.
    Ma il Foco Foco avrebbe potuto funzionare.
    Si avvicinò alla parete dove erano appese le taglie delle supernove, ciascuno dei quali era completamente rovinate dai tagli procurati dai coltelli quando li usava come bersaglio. Lentamente, tolse la lama che ancora era infilata in quella di Rufy Cappello di Paglia. Il fratello di Sabo. Si chiese se anche lui si sarebbe presentato a reclamare il frutto di Ace.
    Si voltò un attimo, e ci fu il dramma. Qualcuno aveva infilzato con uno dei suoi stessi coltelli uno dei suoi avvisi. Chi aveva osato rovinare il suo viso, anche solo in fotografia? Si gettò contro e tolse l’arma, consapevole che ormai era troppo tardi per rimediare al danno, ma si accorse che appeso al manico c’era un piccolo sacchetto. Lo aprì: dentro conteneva l’Eternal Pose per Dressrosa.
    Poteva averglielo portato un’unica persona: sbatté la porta uscendo, vedendo i suoi uomini sul ponte tutti intenti a lavorare per stabilire una rotta. Sembrava che non si fossero accorti di nulla, ma Cavendish chiese comunque: “Avete visto qualcuno?” Senza attendere nemmeno risposta, che fu comunque negativa, si sporse oltre il parapetto, sia a prua che a poppa, ma non c’erano imbarcazioni né qualsiasi altro mezzo nei dintorni.
    Seccato, tornò in cabina come una furia, con somma incredulità dei suoi uomini, dato che avrebbe potuto rovinarsi la piega a correre così. Una volta chiusa la porta dietro di sé, prese il lumacofono e compose finalmente quel numero dietro la fotografia. Suonò libero per qualche minuto, poi finalmente si sentì il rumore della cornetta dall’altra parte della linea, ma nessuno rispose. Cavendish deglutì, ma non aprì bocca.
    “Troppo tardi.” La voce ironica di Iulo risuonò sicura attraverso il lumacofono, assieme alla sua risatina. Era chiaro che si riferiva al fatto che non si fosse accorto della sua presenza. “Certo, visto il tempo che passi in bagno…”
    “Credevo che volessi arrestarmi,” commentò allora lui, sullo stesso tono. “Hai avuto paura?” Poteva quasi immaginarsi la sua espressione, con il labbro leggermente piegato da una parte e le sopracciglia alzate.
    “No, solo che sarebbe controproducente dato che mi servi per recuperare il Foco Foco,” replicò con noncuranza. “Oppure non ne sei in grado? In ogni caso, speravo che avessi una taglia un po’ più alta, ma ultimamente le supernove-”
    “Ne sono in grado benissimo!” Cavendish non era più abituato a discutere con lui, si era quasi dimenticato di quanto fosse snervante. E di quanto sapesse dove colpire. “Tu, piuttosto! È anche amico tuo!” Il nome di Sabo aleggiava nella conversazione fin dall’inizio. Era il motivo di quella telefonata, ma nessuno voleva nominarlo.
    “Dragon non ne approverebbe, se andassi a ficcare il naso negli affari di Doflamingo. Non posso farlo, ho degli ordini e nessuno sarebbe contento se combinassi un casino.” La voce di Iulo era rassegnata. “Tu, d’altro lato…” Sul volto di Cavendish si formò un sorriso trionfante.
    “Essere un pirata non sembra così male adesso, eh?”
    “Avresti potuto andare a Dressrosa anche senza essere un pirata.” La voce di Iulo si era rifatta fredda, come l’ultima volta che ricordava di averla sentita. Cavendish ebbe immediatamente la tentazione di rispondergli male, ma la conversazione sarebbe finita come tre anni prima. E lui si era sempre domandato cosa sarebbe potuto succedere, anche a Sabo, se le cose fossero andate diversamente. Allora si sedette sul suo morbido letto e sospirò.
    “Perché odi tanto i pirati?” domandò. Per qualche minuto, avvertì solo il respiro dall’altro lato della cornetta.
    “Mio padre era un marine. Non sai quante storie mi ha raccontato…” Iulo tranciò il discorso a metà, e dato che a lui pareva un motivo idiota, stava per replicare, ma l’altro proseguì: “Soprattutto, mi ha raccontato di un suo amico d’infanzia. Anche lui voleva diventare pirata perché il governo non gli piaceva e voleva essere libero. È finita che si sono quasi ammazzati a vicenda.”
    “Be’, tu non sei un marine,” fu il commento di Cavendish, che si sentiva un po’ Capitan Ovvio. Non trovava infatti attinenza con la cosa, dato che i rivoluzionari non andavano in giro a salvare il mondo dai criminali, ma cercavano di ricostruirlo dal principio.
    “Non c’entra,” rispose Iulo. “È che la vita da pirata ti consuma. Non hai regole, e alla fine te le crei da sole. E non riesci più a distinguere le cose. La moralità.” Gli amici. Lui non lo disse, ma era l’unica conclusione a quella frase.
    “A me non è successo. E non sarebbe successo nemmeno a Sabo.” Era stato proprio lui ad insegnargli cosa significasse essere un amico, non se lo sarebbe mai potuto scordare.
    “È solo perché il sangue macchia troppo i vestiti.” La sua voce adesso era tornata la solita, ma Cavendish non capì se lo stesse sfottendo oppure se fosse una maniera scherzosa per cambiare argomento. Gli andava bene in entrambi i casi.
    “Già, e puzza. E mi rovina i capelli.” Lo sentì scoppiare a ridere.
    “Allora mi dispiace, perché temo che al torneo ti spettinerai un po’.”
    “Di quello non preoccuparti, me la so cavare.”
    Sembrava una discussione unicamente estetica, ma entrambi sapevano che stavano parlando anche della difficoltà che poteva essere battersi con le persone che desideravano il Foco Foco.
    “Tra l’altro, pare che il frutto del diavolo sia stato messo in palio per attirare in trappola Cappello di Paglia,” mormorò Iulo, quasi fra sé, cosciente che fosse un’informazione estremamente importante. Era il fratello di Sabo, dopotutto. Erano dalla stessa parte. “Be’, prendi a calci in culo qualche pirata anche da parte mia.”
    “Questo credo di poterlo fare.”
    Non si salutarono nemmeno, misero semplicemente giù la cornetta allo stesso tempo. Poi Cavendish alzò lo sguardo a guardare l’avviso di taglia di Rufy: il suo volto quasi non si distingueva. Aveva sempre finto con i suoi uomini di avercela anche con lui, in quanto supernova, ma naturalmente nel suo caso era una farsa, per nascondere la storia di Sabo. In realtà era impaziente di conoscerlo.
    Si chinò per raccogliere la roba che aveva rovesciato a terra e si mise davanti allo specchio. Come aveva immaginato, il brutto risveglio della mattina gli aveva fatto venire le occhiaie. E le preoccupazioni una piccola ruga sulla fronte. Fortuna che sapeva come nascondere il tutto, con la sua passione per il trucco.
    Non avrebbe rivelato nulla, al torneo. Avrebbe continuato a far finta di avercela con tutte le supernova, per dare meno sospetti sull’unico motivo per cui si trovava in quel luogo, e dei legami che lo collegavano a Rufy, il quale ne era all’oscuro e come tale doveva rimanere. Avrebbe indossato la sua maschera con il make-up, come sempre. Come quando cercava di fare l’uomo, lo spadaccino o il pirata.
    Aprì la porta e si sporse sul ponte principale, per lanciare al suo navigatore l’Eternal Pose.
    “Rotta per Dressrosa, andiamo a prenderci il Foco Foco.”
     
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